Almagro e l’OSA puzzano di zolfo

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Può un’organizzazione istituzionale affermare che uno Stato vive una situazione di alterazione dell’ordine democratico, violando le istituzioni proprio di quella stessa organizzazione che dichiara questa condizione? L’organizzazione degli Stati Americani (OEA) lo ha fatto lo scorso 3 aprile rispetto alla Repubblica Bolivariana del Venezuela. Si è trattato di una botta di alienazione, di ossessione, di aberrazione o di follia? Niente di tutto questo.

E’ accaduto in pieno stato di coscienza. Come sappiamo, l’Organizzazione degli Stati Americani, durante una riunione del suo Consiglio Permanente, ha disegnato questo scenario, lo stesso che aveva cercato di istallare a maggio del 2016 e alla fine dello stesso anno. Nel primo progetto, solo il Paraguay si è identificato con questa posizione e nel secondo il Vaticano ha raccomandato di continuare con il tavolo di dialogo fra governo e opposizione.

Adesso la Bolivia, non in quanto alleato del Venezuela, ma per l’autorità che le attribuisce rappresentare la Presidenza pro tempore di quel Consiglio, è stata ignorata violando le istituzioni dell’organismo secondo quanto stabilito dall’articolo 6 del Regolamento di quell’organizzazione, che recita: “In caso di assenza temporale o di impedimento del Presidente, sarà sostituito dal Vicepresidente e, in caso di assenza temporale o di impedimento di entrambi, eserciterà la presidenza il rappresentante titolare più anziano”. Nessuno dei due erano assenti. La presidenza del Consiglio ha semplicemente sospeso la sessione del Consiglio considerandola inidonea, che si è comunque realizzata con la presidenza dell’Honduras secondo la terza possibilità dell’art. 6. E’ così che funziona questa OEA, infischiandosene se altera l’ordine, se c’è o non c’è democrazia, se si rispetta o meno la legge.

All’OEA e a una potente e ben orchestrata macchina di mezzi di comunicazione costa riconoscere che nell’aprile del 2002 c’è stato un colpo di stato in Venezuela; che è stato un golpe quello del 2008 in Bolivia, con la ribellione di quattro governatori contro il presidente Evo Morales; che la stessa cosa è successa nel 2009 nell’Honduras di Manuel Zelaya; che nel 2010 polizia e militari hanno attentato contro Rafael Correa, in Ecuador; che nel 2012 il Congresso ha sostituito Fernando Lugo, in Paraguay, con un golpe parlamentare come quello contro Dilma Roussef in Brasile. Eppure, il fatto che in Venezuela il Tribunale Supremo di Giustizia assuma le funzioni di un Parlamento in stato di disobbedienza –attenzione: non vuol dire dissolvere l’Assemblea Nazionale-, è immediatamente scoppiato nelle televisioni, nelle agenzie, in internet e dovunque si diffondano notizie, come un colpo di stato. E la “salvatrice” OEA si affretta, infliggendosi lei stessa un golpe istituzionale –che può anche essere definito di stato-, a dichiarare “alterazione democratica” in quel paese. In verità, anche dando il beneficio del dubbio, è poco serio e non è credibile.

Dopo 70 anni la sua storia continua ad essere vergognosa. Guardiamola da vicino, ma con cautela perché è infettiva.

Nella conferenza di San Francisco (aprile 1945), in cui venne fondata l’ONU, la diplomazia nordamericana, appoggiata dai paesi latinoamericani, ha difeso la “autonomia” del Sistema Interamericano –nato un mese prima nella Conferenza Interamericana sui Problemi della Guerra e della Pace, a Chapultepec-, ottenendo che nell’art. 51 della Carta dell’Organizzazione mondiale si garantisse la soluzione di controversie mediante metodi e sistemi “americani”.

La Conferencia Panamericana de Río de Janeiro (Agosto 1947) ha approvato una risoluzione che ha dato origine allo strumento che darà vita alla clausola di permissività strappata all’ONU: il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR), che ribadiva il principio di “solidarietà” continentale sbandierato da Washington, allo scopo di affrontare qualsiasi situazione che mettesse in pericolo la “sua pace” in America e di adottare le misure necessarie, compreso l’uso della forza. Con il TIAR è stata imposta nel continente la volontà yankee che costituisce una minaccia permanente per la sovranità dei paesi latinoamericani.

Più tardi, a maggio del 1948, la Conferenza Internazionale Americana di Bogotà dette vita alla OEA, con il sanguinoso prologo dell’assassinio del leader liberale colombiano Jorge E. Gaitán, di grande favore popolare, delitto che scatenò una grande insurrezioni nota come il Bogotazo, brutalmente repressa e che è servita a manipolare il corso e i risultati della Conferenza visto che gli Stati Uniti hanno calcato la mano sulla minaccia che rappresentava per la democrazia l’ “auge” dell’Unione Sovietica e del comunismo, accusato di aver causato le morti del Bogotazo.

Da allora, la retorica relativa ai postulati sull’indipendenza e a sovranità delle nazioni e sui diritti dell’uomo e dei popoli, sono lettera morta.

Nel 1954 il Guatemala è stato invaso da truppe mercenarie organizzate dalla CIA, che hanno destituito il governo di Jacobo Arbenz. La OEA si era già prestata prima ad approvare una risoluzione che introduceva la variante di un intervento collettivo regionale, in chiara violazione della sua stessa Carta e di quella dell’ONU.

L’appoggio all’invasione di Playa Girón nel 1961, le azioni dispiegate in campo politico-diplomatico per isolare Cuba, concluse con la sua espulsione nel gennaio del 1962 e la rottura delle relazioni diplomatiche dei paesi della regione con l’isola caraibica, hanno significato un livello di accanimento tale da rendere sempre meno credibile l’organizzazione.

Gli Stati Uniti hanno fatto sbarcare i loro marines a Santo Domingo nell’aprile del 1965 per impedire la vittoria del movimento popolare costituzionalista. La OEA ha inviato nella capitale il suo segretario generale, l’uruguaiano José A. Mora, con lo scopo apparente di ottenere una tregua, mentre invece dilazionava una decisione per consentire alle truppe yankee di consolidare il controllo. Dopo numerose trattative, gli Stati Uniti hanno ottenuto con il margine risicato di un voto l’approvazione di una risoluzione che disponeva la creazione di una Forza Interamericana di Pace che ha consentito, per la prima volta sotto lo stemma della OEA, un intervento collettivo in un paese dell’area.

Nel marzo del 1982 ci fu l’intervento britannico che ha dato inizio alla guerra delle Malvine, la prima aggressione di una potenza extra continentale su un paese del Sistema Interamericano, cosa che, secondo il TIAR, avrebbe dovuto convocare a una solidarietà continentale per l’aggredito. Invece gli Stati Uniti hanno appoggiato politicamente e militarmente la Gran Bretagna e hanno imposto sanzioni economiche all’Argentina. Che ha fatto l’OEA? Ha tardato a reagire, ha adottato una tiepida risoluzione invocando la fine del conflitto e solo un mese dopo ha condannato l’attacco armato e ha ingiunto che fossero tolte le misure applicate contro l’Argentina.

Ottobre 1983: un golpe militare ha deposto il primo ministro di Grenada, Maurice Bishop, morto assassinato per mano dei golpisti. Anche a Grenada gli Stati Uniti hanno inviato una forza di invasione di 1900 marines. Ancora una volta il principio di non intervento perdeva valore. Nell’OEA, la maggioranza approvava quest’operazione come “misura preventiva”, mentre altri la ripudiavano.

Ha taciuto sulla morte di Salvador Allende, sull’assassino e sulla sparizione forzata di decine di migliaia di sudamericani durante la tenebrosa Operazione Condor. Non ha promosso la pace in Centroamerica negli anni 80, in un conflitto che è costato circa 100.000 vite umane. Non ha appoggiato le indagini per chiarire la morte sospetta del generale Torrijos a Panama.

Proprio l’11 settembre 2001, mentre crollavano le Torri Gemelle a New York, è stata promulgata la Carta Democratica Interamericana, che stabiliva le regole che erano obbligati a rispettare i paesi membri. Prima non si poteva essere marxisti-leninisti; adesso bisognava adottare come requisito la democrazia rappresentativa borghese e il “Dio Mercato”.

E’ questa Carta che oggi si vuole applicare al Venezuela, la stessa che dalla rivoluzione di Chávez ha portato avanti 22 processi elettorali e che ha meritato questa affermazione, che non è né del chavismo né del ALBA: “Considerando le 92 elezioni che abbiamo controllato, io direi che il processo elettorale in Venezuela è il migliore del mondo”, ha detto l’ex presidente statunitense James Carter. Per l’applicazione del documento di cui sopra non servono alienazione, ossessione, aberrazione o follia. La OEA e il suo Segretario Generale Luis Almagro, compiono la squallida missione per cui è stata creata questa istituzione. Un articolo apparso il 30 marzo, quattro giorni prima della riunione del 3 aprile, smaschera l’ex Ministro degli Esteri uruguayano e l’organismo da lui diretto. Lo ha scritto la giornalista argentina Telma Luzzani su Tiempoar.com. : “Esiste una gravissima denuncia contro l’attuale Segretario Generale dell’OEA, Luis Almagro, che lo vede coinvolto in un’operazione commando pianificata dal Pentagono contro il Governo del Venezuela. Il dato si trova in un documento intitolato Venezuela Freedom 2, datato 25 febbraio 2015 ed è firmato dal Capo del Comando Sud, Ammiraglio Kurt Tidd. Bisogna ricordare che gli Stati Uniti non hanno mai messo in discussione la sua autenticità e neanche quella dell’accordo fra il Pentagono e Almagro”, racconta Telma.

“Consta di 12 punti e prospetta, fra l’altro, un progetto di assedio e di asfissia contro il Governo di Nicolás Maduro e, nel piano politico interno, insistere su un governo di transizione e sulle misure da prendere dopo la caduta del regime, compresa la formazione di un gabinetto di emergenza”, si legge nell’articolo.

Il punto ottavo è quello che coinvolge direttamente Almagro: “Sul piano internazionale bisogna insistere sull’applicazione della Carta Democratica, come abbiamo concordato con Luis Almagro Lemes, segretario generale dell’OEA”, si legge nel testo.

Ciò spiega, aggiunge la collega Telma, l’ansia con cui Almagro si è dedicato fin dall’ inizio del suo incarico nell’OEA a far cadere il governo di Maduro. “Almagro condanna quotidianamente la detenzione del venezuelano Leopoldo López (il quale, come dice il politologo Atilio Borón se avesse commesso le stesse cose negli Stati Uniti, non avrebbe avuto solo 13 anni di carcere, ma probabilmente un ergastolo) ma non dice una parola sugli omicidi dei dirigenti sindacali in Colombia, né dei crimini quotidiani in Honduras o in Messico, né delle denunce di persecuzione da parte delle organizzazioni sociali e di sinistra contro il Governo di Horacio Cartes in Paraguay”, afferma la giornalista.

Hugo Chávez direbbe, come ha detto nell’aula dell’Assemblea Generale dell’ONU, qui c’è puzza di zolfo.

(Granma, 12.4.2017)

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