Il costo della non solidarietà. Perché siamo internazionalisti?

Javier Gómez Sánchez https://lapupilainsomne.wordpress.com

Bisognerebbe fermarsi sulla tastiera, quando si parla del ‘costo della solidarietà’ e pensare al costo che avrebbe avuto non essere stati solidari. Soprattutto quando a non essere esistita tale solidarietà cubana molte cause progressiste e movimenti rivoluzionari, nel mondo, non avrebbero trionfato.

Possiamo dire a quelli che parlano di costi che hanno ragione, che il costo del sentimento internazionalista della Rivoluzione cubana è stata altissimo, tanto alto come quello di se stessa, perché la Rivoluzione cubana, senza essere inter-nazionale, non solo oggi non esisterebbe ma che mai sarebbe accaduta.

Allora affrontiamo l’argomento, parliamo dei ‘costi dell’internazionalismo e del ‘costo del non internazionalismo’.

In questi ultimi tempi, in cui sono stati così significativi i riavvicinamenti diplomatici tra i governi di Cuba e USA, possono segnalarsi momenti in cui, in precedenza, si era cercato di giungere ad una qualche comprensione.

Un ‘modus vivendi’ che anche portasse alla totale eliminazione del blocco, cosa che neppure oggi è accaduta.

Chi conosce le interiorità diplomatiche sanno che in quelle occasioni, in cui nessuno dei governi USA cercò l’avvicinamento, posero sempre sul tavolo una serie di condizioni. Una sorta di ‘Zanjón diplomatico’.

Invariabilmente appariva che Cuba smettesse di aiutare le organizzazioni e movimenti rivoluzionari in America Latina ed in Africa. Che tremenda decisione allora, in una Cuba che non era nemmeno quella di oggi, per quanto sprovvista ci sembri oggi, era la Cuba degli anni ’60, ’70, anche ’80 e parte degli anni ’90 in cui tale proposta era sul tavolo.

Abbandonare il sostegno a questi movimenti, ai guerriglieri, ai gruppi clandestini urbani, avrebbe persino significato un risparmio per Cuba, più un allevio nel sacrificio e pericolo in vite che implicava, e tra l’altro ricevere il favore economico USA ed occidentale: si sarebbe tolto l’isolamento, sarebbero fluiti i prestiti bancari ed i crediti, gli investimenti stranieri, sarebbe giunta la tecnologia per l’industria, per l’agricoltura, per la salute, per la vita tutta.

Avremmo potuto chiedere con la nostra bocca: un impianto di nichel, un cantiere navale, una fabbrica di elettrodomestici, un gigantesco sistema di irrigazione e serre, una centrale elettrica … no meglio una centrale elettronucleare di ultima tecnologia! Perché con questa carta di scambio avremmo potuto chiedere ciò che avremmo voluto. E lo avremmo ottenuto, come lo hanno ottenuto gli altri paesi dell’America Latina che ci circondano, in prossimità degli USA, sommersi nella demoralizzazione, nella violenza e nel traffico di droga?

Anche si seppe che ai sovietici gli facevano le stesse offerte se smettevano di aiutarci.

Ma quale sarebbe stato il costo del ‘non internazionalismo’? Il costo di aver abbandonato coloro che lottavano in Africa e in America Latina? Il costo di avere detto: ‘Questi sono africani e latini, noi siamo cubani?

Avrebbe significato la morte. Lo sterminio di migliaia di combattenti rivoluzionari, l’annientamento di completi Movimenti in America Centrale, Argentina, Uruguay, Cile, Brasile.

Aver abbandonato i popoli dell’Africa che lottavano contro il colonialismo, il post colonialismo, e l’espansione dell’apartheid del Sud Africa. Se avessimo abbandonato gli arabi che lottavano per un socialismo nel Medio Oriente, se avessimo smesso di inviare qualsiasi cosa al Vietnam devastato. Cuba non avrebbe potuto mai più mostrare la faccia al mondo. Mai avremmo potuto mettere piede sul tappeto di un forum internazionale, né all’ONU, né nei Non Allineati, né all’OSPAAL, senza passare per la vergogna degli sguardi di tali popoli.

O sì, per i tappeti di Washington, dove camminano i lacchè. I nostri ministri degli esteri sarebbero diventati esperti in tappeti perché avrebbero dovuto camminare guardando il pavimento.

Cosa significherebbe la parola ‘Cuba’ oggi nel mondo? Cosa si penserebbe quando si direbbe tale parola: ‘cubano’?

Per questo non poteva neppure passare per la testa di smettere di essere internazionalista. Perché Cuba era, allo stesso tempo, avanguardia e retroguardia di quei movimenti rivoluzionari.

Migliaia di rivoluzionari venivano ad addestrarsi, a riposare, a studiare, a curarsi, a operarsi. Inviavano le loro famiglie, le loro mogli, i loro figli, per poter dedicarsi alla lotta. Dove li potevano inviare? Ad una clinica in Cile, in Argentina, in Uruguay? Ad una scuola, ad un asilo nido nel bel mezzo della selva del Centro America?

Molti dei rivoluzionari latino-americani che caddero -con scuole a Cuba che portano i loro nomi come non ce ne sono nei loro paesi- e di coloro che sono sopravvissuti, poterono lasciare figli perché Cuba esisteva.

Altri che incontrarono la morte in montagna, in strada, in un appartamento spifferato, poterono fuggire o morire con dignità, perché portavano nelle loro mani un’arma che giunse loro da Cuba.

Non mancarono, come non mancano mai, gli ingrati, che fuggendo da governi sconfitti, da dittature instaurate, con la morte alle calcagna, trovarono rifugio con i figli nelle braccia in questa Cuba, che gli apriva le sue porte. Con condomini, asili e istituti prefabbricati. La Cuba senza supermercati agli angoli. E così tra alcuni di coloro che arrivavano ci fu disprezzo per quello che il popolo cubano, con sforzo, aveva fatto per se stesso e se lo toglieva per darlo a loro. Dicevano: ‘Che orribili edifici, che piccoli appartamenti’ senza pensare che li costruirono cubani che, in precedenza, vivevano in una capanna di terra, o in ¨llega y pon¨ (baracche urbane).

E terminarono, continuando il viaggio, a vivere in Francia, Svezia, Svizzera, sinché nei loro paesi la cosa andò cambiando, e vi ritornarono.

Anni dopo, nel bel mezzo del Periodo Speciale ed ancora oggi, ci visitano alcuni che militarono, a suo tempo, in quei movimenti rivoluzionari che Cuba non abbandonò. Le loro vite hanno preso strade diverse, a volte sono scrittori, a volte sono giornalisti, altri sono funzionari o addirittura ministri. E quando camminano per i nostri viali bui, di edifici vecchi e brutti, dove passano anche difficilmente le Ladas sovietiche, si compiacciono, si sentono sollevati, e anche nelle loro coscienze, si sentono leggermente riscattati. ‘Guardate questo, il fallimento del socialismo, del comunismo, di tali idee così folli’ Ed in fondo sono contenti di essersi scoloriti, di aver abbandonato la lotta, di aver voltato le spalle, di essere fuggiti lasciando dietro gli altri.

Di aver fatto quello che Cuba non ha mai fatto. Addirittura ci sono stati anche farisei che ci sono venuti a parlare di ‘democrazia’.

Per ognuno di questi ci sono altri che sanno riconoscere il tremendo costo che, per loro, avrebbero avuto se Cuba avesse cessato di essere internazionalista.

Oggi ci sono guerriglie trasformate in partiti perché hanno avuto fiducia in Cuba e sono stati sostenute da questa, non per abbandonare le loro armi, ma per prendere armi nuove. Ci sono partiti al governo perché Cuba era lì, quando erano clandestini.

Questo ci porta alle forme che ha preso il nostro internazionalismo di oggi ed ai critici del suo ‘costo’.

link I parte


El costo de la no solidaridad (Parte II) ¿Por qué somos internacionalistas?

Por Javier Gómez Sánchez

Habría que detenerse sobre el teclado, a la hora de hablar de ¨costo de la solidaridad¨ y pensar en el costo que hubiese tenido no haber sido solidarios. Especialmente cuando de no haber existido esa solidaridad cubana muchas causas progresistas y movimiento revolucionarios en el mundo no hubiesen triunfado.

Podemos decirles a los que hablan de costos que tienen razón, que el costo del sentido internacionalista de la Revolución Cubana ha sido altísimo, tan alto como el de ella misma, porque la Revolución Cubana sin ser inter-nacional no solo hoy no existiría, sino que nunca hubiese ocurrido.

Entonces, subiendo la parada, vamos a hablar de ¨costo del internacionalismo¨ y del ¨costo del no internacionalismo¨

En estos tiempos recientes en que han sido tan significativos los acercamientos diplomáticos entre los gobierno de Cuba y de Estados Unidos, pueden señalarse momentos en los que antes se había intentado llegar a algún entendimiento.

Un ¨modus vivendi¨ que incluso llevara a la eliminación total del bloqueo, algo que ni siquiera hoy ha ocurrido.

Los que conocen las interioridades diplomáticas, saben que en esas ocasiones en que algunos gobiernos norteamericanos buscaron acercamiento, pusieron siempre sobre la mesa un grupo de condiciones. Una especie de ¨Zanjón diplomático¨

Invariablemente aparecía que Cuba dejara de ayudar a las organizaciones y movimientos revolucionarios de América Latina y de África. ¡Que tremenda decisión entonces, en una Cuba que no era ni siquiera la de hoy, por muy desbastecida que esta nos parezca, era la Cuba de los 60, de los 70, incluso la de los 80 y parte de los 90 en que esa propuesta estuvo sobre la mesa.

Abandonar el apoyo a esos movimientos, a las guerrillas, a los grupos clandestinos urbanos, hubiese significado hasta un ahorro para Cuba, más un alivio en el sacrificio y peligro en vidas que implicaba, y de paso recibir el favor económico norteamericano y occidental: Se levantaría el aislamiento, fluirían los préstamos bancarios y los créditos, las inversiones extranjeras, llegaría la tecnología para la industria, para la agricultura, para la salud, para la vida completa.

Hubiésemos podido pedir por nuestra boca: ¡Una planta de níquel, un astillero naval, una fábrica de electrodomésticos, un sistema gigantesco de regadíos e invernaderos, una central eléctrica….no, mejor una central electronuclear de la última tecnología! Porque con esa carta de cambio hubiésemos podido pedir lo que quisiéramos. Y lo hubiésemos obtenido, ¿como lo han obtenido los demás países latinoamericanos que nos rodean en la vecindad de Estados Unidos, sumergidos en la desmoralización, la violencia y el narcotráfico?

También se supo luego que a los soviéticos les hacían los mismos ofrecimientos si dejaban de ayudarnos a nosotros.

¿Pero cuál hubiera sido el costo del ¨no internacionalismo¨? ¿El costo de haber abandonado a los que luchaban en África y en América Latina? ¿El costo de haber dicho: ¨Esos son africanos y latinos, nosotros somos cubanos?

Hubiese significado la muerte. El exterminio de miles de luchadores revolucionarios, la aniquilación de Movimientos completos, en Centroamérica, en Argentina, en Uruguay, en Chile, en Brasil.

De haber abandonado a los pueblos de África que luchaban contra el colonialismo, el post colonialismo, y la expansión del apartheid surafricano. Si hubiésemos abandonado a los árabes que luchaban por un socialismo en el Medio Oriente, si hubiésemos dejado de enviar lo que fuera al Vietnam devastado. Cuba no hubiese podido más nunca dar la cara ante el mundo. Jamás hubiésemos podido pisar la alfombra de un foro internacional, ni en la ONU, ni en los No Alineados, ni en la OSPAAL, sin pasar por la vergüenza de las miradas de esos pueblos.

O sí, por las alfombras de Washington, por donde caminan los lacayos. Nuestros cancilleres se hubiesen hecho expertos en alfombras, pues hubiesen tenido que caminar mirando para el piso.

¿Qué significaría la palabra ¨Cuba¨ hoy en el mundo? ¿En que se pensaría cuando se dijera esa palabra: ¨cubano¨?

Por eso no podía ni pasarle por la cabeza dejar de ser internacionalista. Porque Cuba era al mismo tiempo vanguardia y retaguardia de esos movimientos revolucionarios.

Miles de revolucionarios venían a entrenarse, a descansar, a estudiar, a curarse, a operarse. Enviaban a sus familias, a sus esposas, a sus hijos, para poder dedicarse a la lucha. ¿A dónde los iban enviar? ¿A una clínica en Chile, en Argentina, en Uruguay? ¿A una escuela, a una guardería en medio de la selva centroamericana?

Muchos de los revolucionarios latinoamericanos que cayeron -con escuelas en Cuba que llevan sus nombres como no las hay en sus países- y de los que sobrevivieron, pudieron dejar hijos porque existió Cuba.

Otros que encontraron la muerte, en el monte, en la calle, en un apartamento delatado, pudieron escapar o morir con dignidad, porque llevaban en sus manos un arma que les llegó de Cuba.

No faltaron, como no faltan nunca, los malagradecidos, los que huyendo de gobiernos derrocados, de dictaduras instauradas, con la muerte pisándole los talones, encontraron refugio con sus hijos en brazos en esta Cuba que les abría sus puertas. Con edificios de apartamentos, círculos infantiles y becas de prefabricado. La Cuba sin supermercados en las esquinas. Y por ser así entre algunos de los que llegaban hubo desprecio de lo que el pueblo cubano con esfuerzo había hecho para sí y se quitaba para dárselos a ellos. Decían: ¨Que horribles edificios, que pequeños apartamentos¨ sin pensar que los construyeron cubanos que antes vivían en un bohío de tierra, o en un ¨llega y pon¨.

Y terminaron continuando viaje, viviendo en Francia, en Suecia, en Suiza, hasta que en sus países la cosa fue cambiando, y volvieron.

Años después, en medio del Período Especial y todavía hoy, nos visitan algunos que militaron en su época, en esos movimientos revolucionarios que Cuba no abandonó. Sus vidas han tomado diversos caminos, a veces son escritores, a veces son periodistas, otras son funcionarios o hasta ministros. Y cuando pasean por nuestras avenidas oscuras, de edificios viejos y feos, por donde pasan también incómodos los Ladas soviéticos, se regodean, se sienten aliviados, e incluso en sus conciencias, se sienten ligeramente redimidos. ¨Miren eso, el fracaso del socialismo, del comunismo, de esas ideas tan locas¨ Y en el fondo se alegran de haberse desteñido, de haber abandonado la lucha, de haber vuelto las espaldas, de haber huido dejando atrás a otros.

De haber hecho lo que Cuba nunca hizo. Hasta los ha habido que, fariseos, nos han venido a hablar de ¨democracia¨.

Por cada uno de esos hay otros que saben reconocer el costo tremendo que para ellos hubiese tenido que Cuba dejara de ser internacionalista.

Hoy hay guerrillas convertidas en partidos porque han confiado en Cuba y han sido apoyadas por esta, no para abandonar sus armas, sino para tomar armas nuevas. Hay partidos gobernando porque Cuba estuvo ahí cuando eran clandestinos.

Eso nos lleva a las formas que ha tomado nuestro internacionalismo de hoy y a los críticos de su ¨costo¨.

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