I comunicatori messicani hanno realizzato una protesta in questa capitale per condannare gli omicidi contro il loro sindacato, che lunedì 15 ha perso in forma violenta il giornalista Javier Valdéz.
Reporter, fotografi, cameraman e vari professionisti di differenti organizzazioni giornalistiche, hanno reclamato davanti al monumento dell’Angelo dell’Indipendenza nell’emblematico Paseo de la Reforma, la fine dell’impunità dei crimini contro il sindacato .
Le radio emittenti hanno riportato mobilitazioni in varie località del paese . Con il lemma «#Nos están matando» (ci stanno ammazzando) i comunicatori di questo paese hanno condannato l’assassinio di Valdéz avvenuto nella città di Culiacán, nello stato di Sinaloa.
Valdéz lavorava per il quotidiano Ríodoce, a Culiacán, ed era famoso per le sue investigazioni e i suoi libri sulla calamità che rappresentano i gruppi criminali associati al traffico di droga.
Valdéz era anche corrispondente del quotidiano nazionale La Jornada, la cui corrispondente in Chihuahua è stata ugualmente assassinata nell’aprile scorso davanti a suo figlio da sicari del crimine organizzato, ha riferito Prensa Latina.
A Sinaloa sono state organizzate diverse marce da parte di reporter e gruppi della società civile.
In varie manifestazioni si è avvertito che il Messico è il terzo paese più pericoloso per esercitare il giornalismo e l’assassinio di sei giornalisti in questo 2017 pesa con la mancanza di chiarimenti sugli omicidi.
Per questo si grida «No al silenzio!», ha informato La Jornada.
Il portale digitale di notizie Noroeste non ha pubblicato nessuna informazione ma ha diffuso: «Uccidere un giornalista è confermare che non c’è libertà d’espressione, che si cancella il diritto di ogni messicano di sapere quello che succede nel nostro paese».
Nella città di Culiacán, gridando «Esigiamo giustizia, nemmeno un altro giornalista», reporter e cittadini hanno raggiunto la spianata della cattedrale per protestare contro l’assassinio di Javier Valdéz.
La protesta dei suoi colleghi va contro il governo federale e le autorità statali, quando sommano 126 i comunicatori sociali assassinati in Messico dal 2002 ad oggi e vanno aggiunti altri 20 in condizioni di scomparsi, dicono i dati della Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
Al principio di maggio Filiberto Álvarez, comunicatore della stazione radio La Señal de Jojutla, nella zona sud dello stato di Morelos, è stato ucciso con cinque pallottole.
Poi sono morti uccisi Max Rodríguez, giornalista del Colectivo Pericú, della Bassa California Sud, il 14 aprile e Miroslava Breach, Corrispondnete di La Jornada e collaboratrice di Norte e El Diario de Chihuahua, in Chihuahua.
Ricardo Monlui Cabrera, direttore del giornale El Político di Xalapa, El Político de Córdoba e del portale www.elpolitico.com.mx, di Veracruz, è stato ultimato il 19 marzo e Cecilio Pineda, collaboratore dei quotidiani La Voz de Tierra Caliente e El Universal, a Ciudad de Altamirano,in Guerrero, è stato ucciso il 2 marzo scorso.
Il presidente Enrique Peña Nieto ha definito indignante il crimine contro Javier Valdéz ed ha disposto che la Procura Generale assuma l’investigazione del caso.
In un messaggio nel suo spazio della rete sociale Twitter, ha affermato: «Reitero il nostro impegno con la libertà d’espressione e della stampa, fondamentali per la nostra democrazia».
Ma quel che è vero è che i giornalisti muoiono per le pallottole sparate in Messico contro di loro e che i responsabili nella stragrande maggioranza dei casi non appaiono mai davanti alla giustizia.