Come funzionano le rivoluzioni colorate

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Alcuni documenti fatti trapelare da “Wikileaks” mostrano come agisce un’organizzazione che addestra i movimenti “di opposizione” in tutto il mondo – dall’Egitto al Venezuela [il riferimento è alle “rivoluzioni colorate” che animarono Nord Africa e parte del Medio Oriente nel 2011, ndt].

Nella parte superiore di un documento (nell’intestazione) c’è un pugno chiuso, simbolo dell’organizzazione. Nel testo vi si legge: “C’è una forte tendenza presidenzialista in Venezuela. Come possiamo cambiare tutto questo? Come possiamo lavorare su questo punto?”.

Successivamente sono riportate le seguenti frasi: “Economia: il petrolio è del Venezuela, non del governo. Si tratta del suo denaro, è un suo diritto… Questo messaggio dev’essere adattato a tutti i giovani, non solo agli studenti universitari… E le madri, che cosa vogliono? Il controllo della legge, che la polizia agisca sotto il controllo delle autorità locali. Noi forniremo le risorse necessarie per ottenere questi risultati”.

Il testo non è redatto in spagnolo né è stato scritto da membri dell’opposizione venezuelana; è stato scritto invece in inglese e prodotto da un gruppo di giovani con base dall’altra parte del mondo, precisamente in Serbia, Europa.

Il documento, intitolato “Analisi della situazione in Venezuela, gennaio 2010”, prodotto dall’organizzazione “Canvas”, che ha sede a Belgrado, è tra i documenti della società di intelligence “Stratfor” rilasciati da “Wikileaks”.

Le ultime notizie fatte trapelare da “Wikileaks” [nel 2012, ndt] e a cui “Pública” ha avuto accesso – dimostrano che il fondatore dell’organizzazione [Julian Assange, ndt] ha sempre avuto rapporti con gli analisti di “Stratfor”, una società statunitense che ‘mescola’ giornalismo, analisi politica e metodi di spionaggio per vendere “analisi di intelligence” a clienti che includono aziende come Lockheed Martin, Raytheon, Coca-Cola e Dow Chemical – per monitorare le attività dei loro oppositori ambientalisti – oltre alla U.S. Navy (la Marina Militare degli Stati Uniti).

Il “Canvas” (“Center for Applied Nonviolent Action and Strategies”,

“Centro per l’applicazione delle strategie nonviolente”) è stato fondato da due leader studenteschi serbi che hanno partecipato alla vittoriosa rivolta che ha rovesciato il ‘dittatore’ Slobodan Milosevic nel 2000.

Per due anni gli studenti hanno organizzato ‘proteste creative’, marce e numerosi atti che hanno finito per destabilizzare il regime.

Hanno poi fatto di queste esperienze un manuale e si sono messi ad insegnare a diversi ‘gruppi di opposizione’ di vari Paesi come organizzarsi per sconfiggere il proprio governo.

Così è stato anche in Venezuela, dove hanno cominciato a formare i leader dell’opposizione già dal 2005.

Nella sua trasmissione televisiva, l’allora Presidente venezuelano Hugo Chávez aveva accusato il gruppo di studenti di volere un ‘colpo di Stato’ e di essere al servizio degli Stati Uniti. “Questo si chiama ‘colpo di Stato morbido’”, aveva detto Chavez.

I successivi documenti analizzati da “Pública” hanno dimostrato che se Chavez non aveva ragione al 100%, non aveva neanche del tutto torto.

Gli inizi in Serbia

“Ci sono voluti dieci anni di organizzazione studentesca durante gli anni ’90”, ha detto Ivan Marovic, uno degli studenti che hanno partecipato alle proteste contro il governo di Milosevic, ma che non ha legami con il gruppo “Canvas”.

“Alla fine, il sostegno dall’estero è venuto fuori. Sarei sciocco a negarlo. Questi aiuti hanno giocato un ruolo importante nella fase finale delle proteste. Sì, gli Stati Uniti hanno dato soldi, ma un po’ tutti hanno dato denaro: i tedeschi, i francesi, gli spagnoli, gli italiani. Tutti collaboravano perché nessuno sosteneva Milosevic”, ha detto Marovic.

“A seconda del Paese hanno donato in una certa quantità. Gli americani hanno un ‘braccio’ operativo formato da diverse ONG molto attive nel sostenere determinati gruppi, altri Paesi come la Spagna ci hanno sostenuto tramite il Ministero degli Esteri”. Tra le ONG citate da Marovic ci sono il “National Endowment for Democracy” (NED), un’organizzazione finanziata dal Congresso degli Stati Uniti, la “Freedom House” e l’”International Republican Institute”, quest’ultimo legato al Partito Repubblicano – entrambi ricevono ingenti finanziamenti dall’USAID, l’agenzia di sviluppo degli Stati Uniti che ha guidato i movimenti ‘golpisti’ in America Latina negli anni ’60, compresi Paesi come il Brasile.

Tutte queste ONG sono ‘vecchi amici’ dei governi latino-americani, tra cui anche i più recenti. L’IRI, per esempio, ha fornito “corsi di formazione politica” per 600 leader dell’opposizione haitiana nella Repubblica Dominicana durante gli anni 2002 e 2003.

Il ‘colpo di Stato’ contro Jean-Bertrande Aristide, Presidente eletto democraticamente, ha avuto luogo infatti nel 2004. Indagato dal Congresso degli Stati Uniti, l’IRI è stato accusato di essere dietro due organizzazioni cospirative che avevano come fine quello di rovesciare Aristide.

In Venezuela, il NED ha inviato 877.000 dollari a ‘gruppi di opposizione’ nei mesi precedenti il fallito ‘colpo di Stato’ del 2002, come rivelato dalNew York Times”.

In Bolivia, secondo documenti del governo degli Stati Uniti ottenuti dal giornalista Jeremy Bigwood, collaboratore di “Pública”, l’USAID ha mantenuto un “Ufficio per iniziative di transizione” che ha investito 97 milioni di dollari in progetti di “decentramento” e di “autonomie regionali” dal 2002, per rafforzare le amministrazioni statali che si opponevano a Evo Morales.

Raggiunto da “Pública”, il leader di “Canvas”, Srdja Popovic, ha detto che l’organizzazione non ha ricevuto alcun finanziamento governativo da alcun paese e il suo principale finanziatore è [stato] l’uomo d’affari serbo Slobodan Djinovic, che era anche un leader studentesco.

Tuttavia, in una presentazione di “PowerPoint” dell’organizzazione rilasciata da “Wikileaks”, si sostiene che partner di “Canvas” e IRI sia la “Freedom House”, che riceve a sua volta ingenti finanziamenti dall’USAID. Per il ricercatore Mark Weisbrot del “Center for Economic and Policy Research” di Washington, organizzazioni come l’IRI e la “Freedom House” “non promuovono affatto la democrazia”.
“Per la maggior parte del tempo esse promuovono l’esatto contrario. Generalmente sostengono le politiche degli Stati Uniti in altri Paesi, e ciò significa opposizione a governi di sinistra, ad esempio, o a governi che non sono graditi agli Stati Uniti”.

Fase due: dalla Bolivia all’Egitto

Guardando la stessa presentazione di “PowerPoint”, impressionano le performance del “Canvas”. Tra il 2002 e il 2009 esso ha tenuto 106 seminari, raggiungendo 1.800 partecipanti provenienti da 59 Paesi diversi.

Non si tratta solo di obiettivi “sensibili” per gli americani – il “Canvas” ha addestrato ad esempio “attivisti” anche in Spagna, Marocco e Azerbaigian – ma l’elenco comprende molti di questi Paesi-obiettivo: Cuba, Venezuela, Bolivia, Repubblica dello Zimbabwe, Bielorussia, Corea del Nord, Siria e Iran.

Secondo lo stesso “Canvas”, il suo coinvolgimento è stato importante in tutte le cosiddette “rivoluzioni colorate” che si sono succedute nei Paesi dell’ex-Unione Sovietica negli anni 2000.

Il documento indica come “casi di successo” il “trasferimento di conoscenze operative“ al movimento “Kmara” nel 2003 in Georgia, il gruppo che ha lanciato la “Rivoluzione delle rose” e che rovesciò l’allora Presidente; diede un “piccolo aiuto” anche alla “Rivoluzione arancione” nel 2004 in Ucraina; istruì “gruppi di formazione” che hanno fatto la cosiddetta “Rivoluzione dei cedri“ nel 2005 in Libano; ha sostenuto diversi progetti delle ONG in Zimbabwe e la coalizione di opposizione a Robert Mugabe; ha curato l’addestramento di attivisti in Vietnam, Tibet cinese e Birmania, così come progetti in Siria e in Iraq rivolti a “gruppi pro-democrazia”.

E, in Bolivia, si è occupato di “preparare le elezioni del 2009 con i gruppi di Santa Cruz” – conosciuto come il più arcigno gruppo di opposizione a Evo Morales.

Fino al 2009, il principale manuale di addestramento del gruppo, “Lotta nonviolenta – 50 punti importanti” era stato tradotto in cinque lingue, compresi l’arabo e farsi.

Una delle azioni del gruppo “Canvas” che ha guadagnato maggior visibilità è stato l’addestramento della leadership del “Movimento 6 aprile”, considerato l’embrione della cosiddetta “primavera egiziana” [del 2011, ndt].

Il movimento è stato organizzato inizialmente su “Facebook” per protestare in solidarietà ai lavoratori tessili della città di Mahalla al Kubra, sul Delta del Nilo. Era la prima volta che si utilizzava il noto social network per scopi del genere in Egitto. A metà del 2009 Mohammed Adel, uno dei leader del “Movimento 6 aprile” si è recato a Belgrado per essere “istruito” da Popovic. Nelle e-mail intercorse con gli analisti della “Stratfor”, Popovic si vantava di mantenere rapporti con i leader di quel movimento, e in particolare con Mohammed Adel – che si è rivelato poi essere una delle principali fonti di informazione sulla “rivolta” in Egitto del 2011. Nelle comunicazioni interne della “Stratfor”, egli è citato con il nome in codice di “RS501”.

“Abbiamo appena parlato con alcuni dei nostri amici in Egitto e abbiamo scoperto un paio di cose”, informa il 27 gennaio 2011. “Domani la ‘Fratellanza Musulmana’ porterà i suoi sostenitori nelle strade, allora la situazione potrebbe essere ancora più drammatica… Abbiamo ottenuto informazioni più precise su questi gruppi e sul modo in cui si sono organizzati nei giorni scorsi, ma stiamo ancora cercando di mapparli”.

I documenti della “Stratfor”

I documenti fatti trapelare da “Wikileaks” mostrano come il “Canvas” si comporti meno indipendentemente di come voglia apparire. In almeno due occasioni, Srdja Popovic ha scritto via e-mail di aver partecipato a riunioni del “National Security Council”, il “consiglio di sicurezza” del governo statunitense. La prima riunione menzionata ha avuto luogo il 18 dicembre 2009 e il tema in oggetto erano la Russia e la Georgia.

A quel tempo faceva parte del “National Security Council” il ‘grande amico’ di Popovic – secondo le sue stesse parole -, il consulente senior di Obama per la Russia, Michael McFaul, poi ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca fino al 2014.

Nella stessa riunione, come riportato da Popovic successivamente, si discusse del finanziamento degli oppositori in Iran attraverso “gruppi pro-democrazia”, tema di speciale interesse per Popovic.

“La politica verso l’Iran è curata all’interno dell’NSC da Dennis Ross.

Egli stava acquisendo un crescente ruolo in merito all’Iran nel Dipartimento di Stato sotto il segretario-assistente John Limbert.

I finanziamenti per i programmi “pro-democrazia” in Iran erano aumentati da 1,5 milioni di dollari nel 2004 a 60 milioni di dollari nel 2008 (…).

Dopo il 12 giugno 2009 il National Security Council ha deciso di terminare gli effetti dei programmi esistenti, che avevano avuto inizio con Bush.

A quanto pare la logica era che gli Stati Uniti non desideravano essere individuati mentre tentavano di interferire nella politica interna dell’Iran. Gli Stati Uniti non volevano dare al regime iraniano una scusa per rigettare i negoziati sul programma nucleare”, ha affermato il serbo, poiché l’amministrazione Obama stava agendo come “un elefante in un negozio di porcellane” con la sua nuova politica estera.

“Come risultato, il “Centro di documentazione sui diritti umani in Iran”, la “Freedom House”, l’IRI e l’IFES videro le loro richieste di finanziamento rigettate”, scrive Popovic in un’ e-mail ai primi di gennaio del 2010.

Un’altra riunione del NSC a cui Popovic partecipò sarebbe avvenuta alle ore 17 del 27 luglio 2011, come Popovic ha riferito all’analista Reva Bhalla.

“Questi ragazzi sono fantastici”, ha commentato entusiasta in un’e-mail l’analista di “Stratfor” per l’Europa orientale, Marko Papic. “Aprono un ufficio in un Paese e tentano di rovesciarne il governo. Quando ben utilizzate, queste sono armi più potenti di un battaglione dell’Air Force”.

Marko spiega ai suoi colleghi di “Stratfor” che il centro “Canvas” – nelle sue parole, un gruppo di “esportatori di rivoluzioni” – “dipende ancora nel finanziamento dagli Stati Uniti e fondamentalmente interviene tentando di rovesciare dittatori e governi autocratici (cioè quelli che non sono graditi agli Stati Uniti)”. Il primo contatto con il leader del gruppo, che diventerà la sua punta più testarda, ha avuto luogo nel 2007. “Da allora hanno prodotto ‘intelligence’ su Venezuela, Georgia, Serbia ecc.”.

In tutte le e-mail, Popovic dimostra grande interesse per lo scambio di informazioni con lo “Stratfor”, che egli chiama “la CIA di Austin”.

Per questo, il centro “Stratfor” è presente nei contatti degli attivisti in differenti Paesi. Oltre che a mantenere rapporti con una società dello stesso filone ideologico, in quel rapporto si stabilivano proficui scambi di informazioni. Ad esempio, a maggio del 2008 Marko dice a Popovic di sapere che l’intelligence cinese stava considerando di attaccare l’organizzazione per il suo lavoro con gli attivisti tibetani. “Questo è stato già previsto”, gli risponde Srdja.

Il 23 maggio 2011 egli chiede informazioni sull’autonomia regionale dei curdi in Iraq.

Il Venezuela

Uno dei temi più frequenti nelle conversazioni con gli analisti dello “Stratfor” è il Venezuela. Srdja aiuta gli analisti a capire che cosa sta pensando l’opposizione. Tutte le comunicazioni, scrive Marko Papic, sono costituite da e-mail sicure e crittografate.

Sempre nel 2010, il leader del “Canvas” si è recato nella sede della “Stratfor” ad Austin per relazionare sulla situazione venezuelana.

“Quest’anno dobbiamo aumentare definitivamente le nostre attività in Venezuela”, spiega il serbo in un’e-mail di presentazione della sua “Analisi sulla situazione in Venezuela,” il 12 gennaio 2010.

Per le elezioni del settembre dello stesso anno, egli riferisce che “siamo in stretto contatto con gli attivisti e le persone che stanno cercando di aiutarli”, chiedendo che l’analista non diffonda o pubblichi questa informazione. Il documento, inviato per e-mail, sarebbe stato “la base della nostra analisi su ciò che abbiamo intenzione di fare in Venezuela”.

Il giorno dopo, ripete in un’altra e-mail: “Per spiegare il piano d’azione che inviamo, diciamo che si tratta di una guida su come fare una rivoluzione”. Il documento, al quale “Pública“ ha avuto accesso, è stato scritto all’inizio del 2010 dal “dipartimento di analisi” dell’organizzazione e riporta, oltre ai principali supporter di Chavez, anche l’elenco delle principali istituzioni e organizzazioni che fungono da sostegno al governo ‘chavista’ (tra i quali l’esercito, la polizia, la magistratura, le industrie nazionali, il corpo insegnanti e il consiglio elettorale), i principali leader con i quali poter creare una coalizione efficace e i suoi “potenziali alleati” (tra cui gli studenti, la stampa indipendente e quella internazionale, i sindacati, la confederazione venezuelana degli insegnanti, il “Rotary Club” e la Chiesa cattolica).

Alla fine, le indicazioni del “Canvas” sembrano essersi rivelate abbastanza esatte. Tra i principali leader dell’opposizione che sarebbero stati in grado di unificarla era indicato Henrique Capriles Radonski, governatore di Miranda e candidato dell’opposizione alle elezioni presidenziali di ottobre [2012] della Mesa de Unidade Democratica [il raggruppamento dell’opposizione al governo di Chavez dell’epoca, ndt], oltre al Sindaco del Distretto Metropolitano di Caracas, Antonio Ledezma, e all’ex sindaco di Chacao, Leopoldo Lopez Mendoza.

Due leader studenteschi, Alexandra Belandria, del gruppo “Cambio”, e Yon Goicochea, del “Movimento Studentesco Venezuelano”, sono anch’essi menzionati.

L’obiettivo della strategia, riporta il documento, è “fornire la base per una pianificazione più dettagliata e potenzialmente realizzabile da parte delle componenti interessate e dal centro ‘Canvas’”. Questo piano “più dettagliato” sarebbe stato sviluppato successivamente con “le parti interessate”.

In un’altra e-mail, Popovic spiega: “Quando qualcuno chiede il nostro aiuto, come è il caso del Venezuela, di solito chiediamo ‘come si dovrebbe fare per fare questo?’ (…). In questo caso abbiamo tre campagne in corso: l’unificazione dell’opposizione, la campagna per le elezioni di settembre (…). In circostanze NORMALI, gli attivisti vengono e si uniscono al nostro lavoro in un formato “workshop”. Noi semplicemente li guidiamo, a ciò dà grande efficienza al piano poiché gli attivisti lo creano essi stessi, si tratta di una loro creazione completa, in altre parole, è un lavoro autentico. Noi semplicemente diamo loro gli strumenti per poterlo realizzare”.

Ma con il Venezuela la situazione è stata differente, e Popovic lo spiega: “Nel caso del Venezuela, a causa del completo disastro che si è verificato, il sospetto che circola tra i gruppi di opposizione e la disorganizzazione, abbiamo dovuto cominciare da zero. Se loro (gli analisti) procederanno a compiere i prossimi passi, ciò dipende esclusivamente da loro; in altre parole, se riconoscono che la mancanza di UNITÀ può fargli perdere le elezioni prima ancora che queste abbiano luogo”.

Coloro che hanno ricevuto questa relazione (come lo staff della “Stratfor”, ad esempio) potrebbero aver imparato che, secondo la logica dei pensatori del “Canvas”, i principali temi da affrontare da parte dell’opposizione venezuelana sarebbero dovuti essere:

– criminalità e mancanza di sicurezza: “La situazione peggiora drammaticamente dal 2006. Questo è un buon motivo per un cambiamento”.

– istruzione: “Il governo si sta prendendo cura del sistema educativo: gli insegnanti devono essere incoraggiati. Perderanno i loro posti di lavoro oppure si sottometteranno! Devono essere incoraggiati e ci sarà un rischio. Dobbiamo convincerli che le classi alte della società sono dalla nostra parte; essi hanno una responsabilità a cui noi diamo valore. Gli insegnanti devono motivare gli studenti. Chi li influenzerà? Come li raggiungeremo?”.

– gioventù: “Il messaggio deve essere rivolto ai giovani in generale, non solo agli studenti universitari”.

– economia: “Il petrolio del Venezuela non è di proprietà del governo, è proprietà della gente, è suo denaro, è un suo diritto! Programmi di welfare State”.

– donne: “Cosa vogliono le madri? Leggi di controllo? La polizia che agisce sotto il controllo delle autorità locali? Soddisferemo questo bisogno. Non vogliamo più banditi”.

– trasporti: “I lavoratori devono poter arrivare sul loro posto di lavoro. Il denaro è il loro. Dobbiamo chiedere responsabilità e, sia come sia, noi non possiamo farlo”.

– governo: “Redistribuzione della ricchezza, ognuno deve avere un’opportunità”.

– “C’è una forte tendenza presidenzialista in Venezuela. Come possiamo cambiare ciò? Come possiamo lavorare su questo punto?”.

E, alla fine, Popovic termina la sua e-mail con una dura critica nei confronti dei venezuelani, che articola così: “Inoltre, non esiste una cultura della sicurezza in Venezuela. Sono ritardati… è sembra tutto uno scherzo!”, riporta il sito “Pública”.

Contattato da “Pública”, il leader del “Canvas” ha negato che l’organizzazione elabori piani d’azione personalizzati per mettere in atto rivoluzioni. Ed era molto meno entusiasta della sua “guida” designata per il Venezuela.

“Insegniamo alla gente come analizzare e comprendere i conflitti non-violenti e – durante il processo di apprendimento – chiediamo che gli studenti e i partecipanti utilizzino gli strumenti che noi forniamo loro durante il corso. Anche noi impariamo da loro! Poi mettiamo insieme il lavoro da loro realizzato con informazioni pubbliche per creare dei “case studies” (‘studi di caso’). E questi vengono trasformati a loro volta in analisi più articolate da parte di due stagisti.
Noi usiamo queste ricerche e le condividiamo con altri studenti, attivisti, ricercatori, professori, organizzazioni e giornalisti con i quali collaboriamo – e che sono interessati a comprendere i fenomeni di empowerment della gente”.

A domanda, Popovic ha anche risposto sulle critiche mossegli da Hugo Chavez nel suo spettacolo televisivo: “È una formula ben nota… Per decenni i regimi autoritari in tutto il mondo hanno indicato nei “tentativi di esportazione della democrazia” la principale causa delle rivolte che avevano atto nei loro Paesi.

Il movimento “pro-democrazia” serbo era stato accusato di essere uno strumento chiaro nelle mani degli Stati Uniti dalla TV di Stato e da Milosevic, anche prima che quel governo fosse sconfitto dagli studenti. Ciò è avvenuto anche in Iran, Zimbabwe, Bielorussia…”.

Un ex-collega del movimento studentesco, Ivan Marovic – che tiene conferenze su come la rivolta in Serbia abbia detronizzato Milosevic e che però non ha collegamenti con il “Canvas” – concorda con lui: “È impossibile esportare una Rivoluzione. Io dico sempre nelle mie conferenze che la cosa più importante per un cambiamento sociale ben riuscito è avere la maggioranza della popolazione al proprio fianco. Se il Presidente ha la maggioranza al suo fianco, nulla accadrà”.

Tuttavia, Marovic ritiene che si è verificato un cambiamento nel modo in cui i governi occidentali vedono gli “appartenenti alle ONG”, specialmente negli Stati Uniti, dopo la rivoluzione serba del 2000 e le “rivoluzioni colorate” che sono seguite in Europa orientale.

“Un mese dopo che abbiamo abbattuto Milosevic, il ‘New York Times’ ha pubblicato un articolo in cui affermava che chi ha davvero sconfitto Milosevic è stato il sostegno finanziario statunitense. Stanno aumentando il loro ruolo. E ora credono che i soldi americani possano rovesciare i governi. Hanno provato a fare lo stesso in Bielorussia, inviando una grande quantità di denaro alle ONG, ma non ha funzionato”.

Il ricercatore Mark Weisbrot concorda parzialmente con Marovic. Nessun gruppo straniero, anche se piccolo, può provocare da solo una rivoluzione in un Paese. Per lui, non è il denaro del governo nordamericano che fa la differenza – le ONG finanziate tramite il National Security Council, l’USAID o il Dipartimento di Stato.

“L’elite venezuelana non ha bisogno di soldi. Quello di cui questi gruppi finanziati dagli Stati Uniti (in passato fino ad oggi) hanno bisogno sono: 1) la capacità e la conoscenza per poter sovvertire i regimi; 2) saper avere un ruolo unificante; l’opposizione può presentarsi divisa e loro devono saperla unificare”.

Per lui, molte volte gli Stati Uniti hanno sponsorizzato una “influenza perniciosa” su movimenti legittimi. “Troveremo sempre persone che lottano per la democrazia in questi Paesi, con una varietà di richieste, di riforme territoriali, di protezione sociale, di nuovi posti di lavoro… E accade che essi guidino tutto il movimento dando molti soldi, e si ispirino a politiche a cui sono interessati gli Stati Uniti. Spesso i gruppi ‘democratici’ che ricevono i finanziamenti finiscono in disgrazia”.

L’articolo è stato pubblicato per la prima volta nel 2012 dal sito brasiliano di giornalismo “Pública”. L’autrice è Natalia Viana.

Traduzione di Giuseppe Di Bello

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