Trump: schiaffo di un annegato nei Caraibi

Atilio Borón http://www.cubadebate.cu

A Donald Trump lo attendono tempi difficili.

Le sue spacconate della campagna elettorale continuano a livello di retorica e non si traducono in fatti.

Il nocciolo della sua promessa: il ritorno dei posti di lavoro che emigrano verso la Cina e altri paesi a basso salario è caduto nel vuoto per la sordità dei CEO’s (amministratori) delle grandi multinazionali USA che pagano in quei paesi il decimo dello stipendio che dovrebbero pagare negli USA per lavoratori che, inoltre, lavorano più di otto ore al giorno e sono esposti a molti più incidenti sul lavoro. Il muro che avrebbe diviso il confine tra il Messico e gli USA ha una remota possibilità di concretizzarsi, e non solo per il suo fenomenale costo, cinque o sei volte superiore a quello annunciato da Trump nella sua campagna. Inoltre, è stato pubblicamente condannato da Papa Francesco e Angela Merkel nella loro recente visita in Messico. Lo scandalo del “russiagate” anche se è una farsa montata dai suoi nemici all’interno degli USA, si pone come una minaccia letale alla sua permanenza alla Casa Bianca. Nel Congresso suonano tamburi di guerra chiedendo una messa sotto accusa del nuovo presidente. Neppure li aiutano gli oscuri affari di suo genero e l’evidente conflitto di interessi tra il suo impero imprenditoriale ed il suo ruolo come presidente.

La via di fuga davanti a tante tribolazioni interne è stata la solita in questi casi: un gesto di riaffermazione della sua autorità sulla scena mondiale, per dimostrare che il gigante è ancora lì e che in qualsiasi momento può dare una zampata brutale. Un bombardamento senza senso – e con una sorprendente scarsa abilità nel tiro – ad un aeroporto in Siria, come per dire “siamo qui”, in uno scenario sempre più dominato dalla presenza di Russia e Iran o gettare a casaccio la “madre di tutte le bombe” in una zona remota e disabitata dell’Afghanistan. Infine, un minaccioso movimento della Flotta del Pacifico verso le vicinanze della Corea del Nord in rappresaglia per i suoi esperimenti missilistici, solo una mossa non appena Tokyo e Seul hanno avvertito, il fanfarone di Washington, che la capacità di rappresaglia di Pyongyang potrebbe causare enormi danni in diverse città del Giappone e Corea del Sud.

E ora Cuba, quella vecchia e malata ossessione che frustrò undici presidenti USA e che ora è in procinto di incassare una nuova vittima nella persona del magnate di New York. Con la sua nuova politica, attizzata dalla mafia non solo anti-castrista ma soprattutto anti-patriottica, di Miami, quella che non ha alcuna remora nel provocare sofferenze al popolo cubano al fine di promuovere la loro illusoria agenda contro-rivoluzionaria, Trump comincia a deambulare sul cammino iniziato da Barack Obama. Lo fa, per il momento, parzialmente: le ambasciate rimangono aperte, molte operazioni commerciali continueranno il loro corso ed i cubano-americani continueranno a visitare l’isola. Ma questa stupida regressione ai tempi della Guerra Fredda, ad un passato che non tornerà, causerà ulteriori complicazioni all’inquilino della Casa Bianca. Da un lato, perché ravviverà le fiamme della tradizione antimperialista di Fidel e Martí profondamente radicata nel popolo cubano che qualunque sia il suo parere sulla Rivoluzione respinge, visceralmente, le ambizioni coloniali del suo vicino. Inoltre, al reinstallare ostacoli alle relazioni economiche tra le imprese USA e Cuba Trump aprirà un nuovo fronte di conflitto all’interno degli USA. E questo perché sono molti gli impresari -nell’agricoltura, commercio, alberghi, aviazione, informatica, etc.- che considerano i trogloditi di Miami un ostacolo impresentabile e non rappresentativo della stragrande maggioranza dell’esilio economico cubano le cui assurde pretese gli chiudono un’attraente fonte di business e favoriscono i loro concorrenti di altri paesi. Resta da vedere cosa può accadere alla nuova politica di Trump quando, questi potenti attori locali della politica USA, faranno pressione sulla Casa Bianca per difendere i loro interessi. O quando lo statunitense comune si renderà conto che, da ora in poi, continuerà a viaggiare senza restrizioni in Corea del Nord, Sudan, Siria ed Iran, paesi inclusi come “stati falliti”, da parte del Dipartimento di Stato, ma non a Cuba. Molto probabilmente sarà che s’infastidisca e che pensi che avevano ragione i 35 professionisti dell’American Psychiatric Association, quando rivelarono in una lettera aperta, sul New York Times, che il nuovo presidente “mostra indizi di grave malattia mentale”.


Trump: Manotazo de ahogado en el Caribe

Por: Atilio Borón

A Donald Trump lo acechan tiempos difíciles. Sus bravatas de campaña siguen en el plano de la retórica y no se traducen en hechos. Lo esencial de su promesa: el retorno de los empleos que emigraran a China y otros países de bajos salarios ha caído en oídos sordos de los CEOs de las grandes transnacionales estadounidenses que pagan en aquellos países la décima parte del salario que deberían cobrar en Estados Unidos para obreros que, además, trabajan más de ocho horas diarias y están expuestos a muchos más accidentes de trabajo. El muro que dividiría la frontera entre México y Estados Unidos tiene remotas posibilidades de concreción, y no sólo por su fenomenal costo cinco o seis veces superior al que anunciara Trump en su campaña. Aparte, fue condenado públicamente por el Papa Francisco y Angela Merkel en su reciente visita a México. El escándalo del “rusiagate”, aunque sea una farsa montada por sus enemigos dentro de Estados Unidos se yergue como una letal amenaza a su permanencia en la Casa Blanca. En el Congreso suenan tambores de guerra reclamando un juicio político al nuevo presidente. Tampoco lo ayudan los oscuros negocios de su yerno y la clara incompatibilidad de intereses entre su emporio empresarial y su función como presidente.

La ruta de escape ante tantas tribulaciones internas ha sido la usual en estos casos: un gesto de reafirmación de su autoridad en la escena mundial, para demostrar que el gigante todavía está allí y que en cualquier momento puede pegar un zarpazo brutal. Un bombardeo sin sentido –y con sorprendente mala puntería– a un aeropuerto en Siria como para decir “aquí estamos” en un escenario cada vez más dominado por la presencia de Rusia e Irán o arrojar sin ton ni son la “madre de todas las bombas” en una zona remota y despoblada de Afganistán. Por último, un amenazante desplazamiento de la Flota del Pacífico hacia las proximidades de Corea del Norte en represalia por sus experimentos misilísticos, movida que quedó sólo en eso Japón ni bien Tokio y Seúl advirtieron al bocón de Washington que la capacidad retaliatoria de Pyongyang podría provocar enormes daños en varias ciudades de Japón y Corea del Sur.

Y ahora Cuba, esa vieja y enfermiza obsesión que frustró a once presidentes norteamericanos y que ahora está a punto de cobrarse una nueva víctima en la persona del magnate neoyorquino. Con su nueva política, atizada por la mafia no sólo anticastrista sino sobre todo antipatriótica de Miami, esa que no tiene reparo alguno en provocar sufrimientos a su pueblo con tal de promover su ilusoria agenda contrarrevolucionaria, Trump comienza a desandar el camino iniciado por Barack Obama. Lo hace, hasta ahora, de manera parcial: las embajadas quedan abiertas, muchas operaciones comerciales seguirán su curso y los cubano-americanos continuarán visitando la isla. Pero esta estúpida regresión a los tiempos de la Guerra Fría, a un pasado que ya no volverá, ocasionará nuevas complicaciones para el ocupante de la Casa Blanca. Por una parte, porque reavivará las llamas de la tradición antiimperialista de Martí y Fidel, profundamente arraigada en el pueblo cubano que cualesquiera sean sus opiniones sobre la Revolución rechaza visceralmente las ambiciones coloniales de su vecino. Por otra parte, al reinstalar trabas a las relaciones económicas entre las empresas norteamericanas y Cuba Trump abrirá un nuevo frente de conflicto al interior de Estados Unidos. Y esto es así porque son muchos los empresarios –en la agricultura, comercio, hotelería, aviación, informática, etcétera- que consideran a los trogloditas de Miami una rémora impresentable e irrepresentativa de la gran mayoría del exilio económico cubano cuyas absurdas pretensiones les cierran una atractiva fuente de negocios y favorecen a sus competidores de otros países. Habrá que ver lo que pueda ocurrir con la nueva política de Trump cuando estos poderosos actores locales de la política norteamericana presionen sobre la Casa Blanca para defender sus intereses. O cuando el estadounidense común y corriente se dé cuenta de que de ahora en más podrá seguir viajando sin restricciones a Corea del Norte, Sudán, Siria e Irán, países incluidos como “estados fallidos” por el Departamento de Estado, pero no a Cuba. Lo más probable será que se fastidie y que piense que tenían razón los 35 profesionales de la Asociación Psiquiátrica Americana cuando dieron a conocer una carta abierta en el New York Times asegurando que el nuevo presidente “muestra indicios de una severa enfermedad mental”.

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