L’impegno degli intellettuali nel XXI secolo

Pascual Serrano https://lapupilainsomne.wordpress.com

Intervento nell’ 80 Anniversario del II Congresso degli Scrittori in Difesa della Cultura (celebrato a Valenza, Barcellona, Madrid e Parigi nel 1937 ndt). L’Avana, 10 e 11 luglio 2017

Prima di tutto voglio ringraziare la Fondazione Nicolás Guillén, l’Unione Nazionale degli Scrittori ed Artisti di Cuba ed il Ministero della Cultura di Cuba per il loro invito a questo Congresso e congratulare per la sua celebrazione. Allo stesso modo ringrazio la collaborazione della Ambasciata di Spagna a L’Avana e la presenza dell’ambasciatore e del suo addetto culturale. Speriamo che questo supponga un maggiore impegno del governo di Spagna con la memoria storica del nostro paese e la giustizia col nostro passato.

Ha detto il linguista Noam Chomsky nella sua opera ‘La responsabilità degli intellettuali’, circa nel 1969, a motivo della guerra del Vietnam, che la responsabilità dell’intellettuale è semplicemente, “dire la verità e denunciare la menzogna”. E’ impressionante che questa sfida sia così semplice ed allo stesso tempo così complicata, nei tempi attuali. Ci sono momenti storici in cui il ruolo dell’intellettuale è fondamentale e deve mostrare se lavora per perpetuare il sistema dei potenti o, al contrario, si situa al lato dei popoli. La guerra civile spagnola fu una di quelle situazioni. Ma anche quella del Vietnam, la rivoluzione cubana, l’invasione dell’Iraq, la rivoluzione bolivariana in Venezuela.

L’altra funzione dell’intellettuale è accorciare al massimo la breccia che esiste tra lui ed il cittadino. Cioè elevare il livello culturale di ogni uomo e donna affinché la letteratura, l’arte, la musica, il cinema e le altre scienze ed arti smettano di essere privilegio di pochi per convertirsi in ricchezza di tutti. Ed è qui che si verifica se un governo vuole davvero un popolo colto, con coscienza, senza timore della conoscenza, del dibattito o del confronto delle idee.

Il governo di Cuba, in questa occasione ed in molte altre, ha convocato gli intellettuali che si situano a lato dei popoli. E il governo di Cuba ha dimostrato la sua scommessa ad elevare il livello culturale dei cubani: con la sua lotta contro l’analfabetismo appena arrivato al potere, con la sua politica editoriale, il suo sostegno al teatro, alla danza, alla pittura, con la sua capacità di affrontare il mercato anche nell’ambito culturale.

E’ mia intenzione parlare dell’impegno degli intellettuali nel XXI secolo. Qualcuno potrebbe obiettare che questo secolo non ha nulla di diverso da qualsiasi altro, al momento di affrontare il ruolo degli intellettuali. In parte è vero, alcuni elementi non sono cambiati: la necessità di alcuni intellettuali che rispondano agli interessi delle classi popolari ed ad esse si dedichino, un potere che cerca comprarli come prima opzione o tacerli come seconda, un mercato come il principale strumento per l’esecuzione di tali azioni del potere. Ma oggi abbiamo caratteristiche nuove, senza precedenti:

– Un mondo globalizzato

Se sempre, per motivi etici o morali, dovremmo essere vicino a qualsiasi ingiustizia contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo, ora tutto è interconnesso. Quando una persona è sfruttata sul lavoro forse una società, che noi sosteniamo, è responsabile; quando una bomba cade su una popolazione forse dietro c’è il nostro esercito o il denaro delle nostre imposte; quando un governo occidentale supporta un colpo di stato forse dietro c’è il nostro voto a quel governo. Pertanto, la necessità di un impegno dell’intellettuale che raggiunga qualsiasi luogo del globo, oggi, è più importante che mai. Inoltre, la mancanza di impegno nel combattere l’ingiustizia, oggi, già smette di essere un segno di indifferenza per essere direttamente crimine.

– Un mondo multipolare

Passiamo da un mondo diviso in due blocchi, per il crollo di uno di essi ed all’apparente vittoria dell’altro. E’ vero che il blocco capitalista ha un chiaro predominio mondiale, ma stanno sorgendo altre potenze con grande capacità di risposta: Cina, Russia, Iran, Brasile, India. Qualcuna di loro sono il nostro referente od alternativa? No. Sono tanto pericolosi per la pace mondiale ed hanno le mani sporche di sangue proprio come gli USA? Neppure. Pertanto, in nome dell’equidistanza e della purezza delle idee non dobbiamo accettare l’uguale trattamento. L’ intellettuale non tacerà ingiustizie, ma non dovrà permettere che, con l’alibi di combatterle, si commettano più crimini. Non dobbiamo accettare che in nome della lotta contro l’oppressione delle donne s’invada l’Afghanistan; non dobbiamo permettere che con la scusa della difesa di minoranze etniche si distrugga la Jugoslavia; neppure che la scusa di deficit democratici si utilizzino per bombardare Libia o Siria e rovesciare governi. Non permetteremo che il vicino che lancia i suoi figli fuori dalla finestra ci dica che dobbiamo denunciare quelli che lo frustano. Non saremo alibi per il delitto. L’Impero ha imparato che ha bisogno di scuse e alibi per i genocidi, li trova con la complicità dei governi lacchè, dei media sottomessi e degli intellettuali controllori. Nostro dovere è denunciarlo.

– L’uso e l’abuso della religione come arma di scontro tra i popoli

Per secoli i potenti hanno usato il nome di Dio per portare le genti alla guerra e alla morte. Nel corso del XX secolo, nonostante le sue guerre ed olocausti, sembrava che il razionalismo si stesse imponendo. Ora vediamo che non è il così. Di nuovo appellare a Dio serve agli interessi dei potenti. Serve ad attaccare quando si è disperati e per contro attaccare quando si vuole criminalizzare il diverso. Serve a reclutare mercenari che ora vengono pagati con la promessa del paradiso e serve a seminare la paura che ci paralizza e ci fa accettare l’oppressione. Gli intellettuali solo accetteranno principi basati sul razionalismo nato dalla rivoluzione francese e dalle bandiere di giustizia e di uguaglianza che si innalzarono nelle successive rivoluzioni. Se il credente vuole unirsi ad esse sarà il benvenuto.

– Il secolo dell’informazione

Un’altra delle novità della nostra epoca è che stiamo vivendo i tempi dell’informazione. Il mondo ha prodotto in 30 anni più informazioni che nel corso degli ultimi 5000 anni … Una singola copia dell’edizione domenicale del New York Times contiene più informazioni di quelle che, per tutta la sua vita, avrebbe potuto acquisire una persona del XVII secolo. Per fare un esempio, ogni giorno, circa 20 milioni di parole di informazioni tecniche sono stampate su diversi supporti (riviste, libri, relazioni, floppy disk, CD-ROM). Un lettore in grado di leggere 1000 parole al minuto, otto ore al giorno, impiegherebbe un mese e mezzo per leggere la produzione di un solo giorno, ed alla fine di questo periodo avrebbe accumulato un ritardo di cinque anni e mezzo di lettura … 1 E’ servita la gestione di tale informazione per creare individui più sensibili al dolore dei lontani, per meglio riconoscere i responsabili delle ingiustizie, per meglio organizzarsi nella ricerca di alternative? Sinceramente credo di no.

E la mia risposta è no, poiché dal potere si sono incaricati di seppellire le grandi verità con rumori, inutilità e persino menzogne. Perché i grandi pensatori, i grandi combattenti, le grandi cause rimangono taciute. Come diceva l’Arcivescovo Heldert Camara, dicono che la gente è povera ma sono molto attenti a spiegare perché sono poveri.

Quindi un’altra responsabilità degli intellettuali nel XXI secolo è spiegare il mondo con l’arma della verità. Qualcosa che, paradossalmente, forse oggi è più difficile per due ragioni. Perché gli altoparlanti li hanno altri e perché, a differenza di altre epoche, la gente crede, erroneamente, di conoscere la verità. Ed è più difficile convincerli che vivono in una menzogna che insegnare la verità all’ignorante. I cittadini in Spagna, in Europa, negli USA, credono che il Venezuela sia una dittatura quando ci sono state più elezioni e più corrette che nei nostri paesi, credono che l’opposizione sia pacifica quando è responsabile di un centinaio di omicidi, alcuni bruciando vivi i sostenitori del governo, senza lo sappiano nei nostri paesi, credono che gli USA siano preoccupati di portare la democrazia e la libertà in altri paesi e hanno portato solo morte, credono che gli imprenditori creano posti di lavoro e che gli stati siano inefficienti e non sanno che la maggior parte degli imprenditori del mondo accumula ricchezza sfruttando un’umanità che non ha altro patrimonio che la sua forza lavoro che deve offrire praticamente gratis. E non sanno che solo avranno salute, sanità, salari equi e pace se hanno uno Stato forte e democratico. E qui dobbiamo stare noi intellettuali che siamo riusciti a muoverci nella ricerca di un’informazione rigorosa e precisa, nell’impegno di portarla alle genti. La verità vi farà liberi, disse Gesù, quello della Bibbia. Ed in questo aveva ragione, anche se poi la Chiesa di Roma si sia dedicata, per duemila anni, a diffondere menzogne. La verità, inoltre, è rivoluzionaria quando si vive in un mondo dove predomina la menzogna, come è l’attuale.

Per questo dobbiamo affrontare tutto l’apparato mediatico. Un apparato che si è dimostrato molto più efficace nel mettere a tacere le voci dei degni che qualsiasi dittatura. Oggi non ci sarebbe bisogno di rinchiudere Miguel Hernández finché morisse di tubercolosi, né fucilare Lorca o che si dovesse esiliare Antonio Machado. La plutocrazia mediatica li farebbe tacere con, forse, lo stesso effetto. Forse pensiamo che un grande media pubblicherebbe, oggi, gli appelli rivoluzionari di Bertolt Brecht ? O difenderebbe “violenze” come quelle dei francesi o gli italiani sotto occupazione nazista? Al contrario li chiamerebbe terroristi; come tratterebbero, oggi, i media il Che se esistesse? Che direbbe, oggi, la critica se uno scrittore sollevasse il dilemma di Camus ne ‘I Giusti’?

La tragedia degli ultimi cinquanta anni è l’implementazione di un sistema di genocidio informativo di tutto l’intellettuale ribelle e di consolidamento della meritocrazia mediatica del sottomesso e adulatore.

Per questo abbiamo davanti a noi una grande sfida, che forma parte dell’impegno intellettuale. Il rompere l’assedio mediatico, rompere il blocco. Durante la clandestinità, il Partito Comunista di Spagna creò quello che chiamò le “squadre dei passi”. Erano commando di militanti la cui funzione era che i leader e militanti comunisti potessero attraversare i Pirenei eludendo i controlli alle frontiere. Ora dobbiamo anche creare “squadre dei passi” affinché il pensiero, le idee e le parole, suoni ed immagini che portano la verità attraversino i controlli di frontiera interposti dai grandi media, dei grandi capitali, tra i cittadini e gli intellettuali indisciplinati. I militari alla frontiera e repressori o il rozzo censore che in precedenza bisognava aggirare affinché l’intellettuale sovversivo non finisse in carcere, ora si è trasmutato in responsabile di media che sono la voce del suo padrone, la grande società azionista o pubblicitaria.

Noi intellettuali impegnati dobbiamo anche organizzare gruppi dei passi che trasmettano la parola, che stampino i testi, che illuminino le immagini.

L’era di Internet

Sì, il ruolo degli intellettuali, oggi e sempre, è cercare di illuminare, con umiltà e modestia; è un mondo in cui ci sono più poteri interessati a tenerci nelle tenebre. Ma ogni epoca ha le sue forme di dominio e, di conseguenza, dobbiamo anche imparare le tecniche di liberazione. I nostri tempi sono inseparabili da internet, l’era di Internet la chiamano anche. Ed è in questo cyberspazio in cui si sta sviluppando parte della battaglia. Non tutta, ma una parte. Internet può servire ad alienarci con le sue emissioni di frivolezze e insignificanze, con i narcisismi delle sue reti sociali, con la sua valanga di menzogne ​​e falsità, con un falso senso di militanza. Ma può anche servirci per affrontare l’oligopolio dei grandi media dell’informazione, per tessere reti di solidarietà ed interazione che si materializzino nella vita reale, per portare la cultura dove mai potemmo portarla. Noi intellettuali dobbiamo saper utilizzare, in ogni epoca, le armi che disponiamo, e neppure una sola del nemico dobbiamo ignorare. Ma ricordando sempre che la fame, l’oppressione e le ingiustizie si producono nel mondo reale non nel virtuale.

Molte grazie

1 Ramonet, Ignacio. L’esplosione del giornalismo. Chiave intellettuale, Madrid 2011.


El compromiso de los intelectuales en el siglo XXI.

Por Pascual Serrano

Intervención en 80 Aniversario del II Congreso de Escritores en Defensa de la Cultura.

La Habana, 10 y 11 de julio de 2017

Antes que nada quiero agradecer a la Fundación Nicolás Guillén, a la Unión de Nacional de Escritores y Artistas de Cuba y al ministerio de Cultura de Cuba su invitación a este Congreso y felicitar por su celebración. Igualmente agradezco la colaboración de la embajada de España en La Habana y la presencia del embajador y su agregado cultural. Ojalá esto suponga un mayor compromiso del gobierno de España con la memoria histórica de nuestro país y la justicia con nuestro pasado.

Dijo el lingüista Noam Chomsky en su obra La responsabilidad de los intelectuales, allá por 1969 con motivo de la guerra de Vietnam, que la responsabilidad del intelectual es, sencillamente, “decir la verdad y denunciar la mentira”. Es impresionante que ese reto sea tan simple y al mismo tiempo tan complicado en los tiempos actuales. Existen momentos históricos en los que el papel del intelectual es fundamental y debe mostrar si trabaja para perpetuar el sistema de los poderosos o, al contrario, se sitúa al lado de los pueblos. La guerra civil española fue una de esas situaciones. Pero también la de Vietnam, la revolución cubana, la invasión de Iraq, la revolución bolivariana de Venezuela.

La otra función del intelectual es acortar al máximo la brecha que existe entre él y el ciudadano. Es decir, elevar el nivel cultural de cada hombre y cada mujer para que la literatura, el arte, la música, el cine y el resto de ciencias y artes dejen de ser privilegio de pocos para convertirse en riqueza de todos. Y ahí es donde se comprueba si un gobierno de verdad quiere un pueblo culto, con conciencia, sin miedo al conocimiento, al debate o la confrontación de ideas.

El gobierno de Cuba, en esta ocasión y en otras muchas, ha convocado a los intelectuales que se sitúan al lado de los pueblos. Y el gobierno de Cuba ha demostrado su apuesta por elevar el nivel cultural de los cubanos: con su lucha contra el analfabetismo nada más llegar al poder, con su política editorial, su apoyo al teatro, a la danza, a la pintura, su capacidad de enfrentar al mercado también en el dominio cultural.

Es mi intención hablar del compromiso de los intelectuales en el siglo XXI. Alguien podrá plantear que este siglo no tiene nada de diferente a cualquier otro a la hora de plantear el papel de los intelectuales. En parte es verdad, algunos elementos no han cambiado: la necesidad de unos intelectuales que respondan a los intereses de las clases populares y a ellas se deban, un poder que intenta comprarlos como primera opción o silenciarlos como segunda, un mercado como principal herramienta para ejecutar esas acciones del poder. Pero hoy tenemos características nuevas, sin precedentes:

– Un mundo globalizado

Si siempre, por razones éticas o morales, nos debía resultar cercana cualquier injusticia contra cualquier persona en cualquier lugar del mundo, ahora todo se encuentra interrelacionado. Cuando una persona es explotada laboralmente quizás una empresa a la que nosotros apoyamos sea responsable, cuando una bomba cae sobre una población quizás detrás esté nuestros ejército o el dinero de nuestros impuestos, cuando un gobierno occidental apoya un golpe de Estado quizás detrás esté nuestro voto a ese gobierno. Por tanto, la necesidad de un compromiso del intelectual que llegue a cualquier lugar del globo hoy es más importante que nunca. Es más, la ausencia de compromiso con el combate a la injusticia hoy ya deja de ser un signo de indiferencia para ser directamente crimen.

– Un mundo multipolar

Pasamos de un mundo dividido en dos bloques al derrumbe de un de ellos y la, aparente, victoria del otro. Es verdad que el bloque capitalista tiene un claro predominio mundial, pero están surgiendo otras potencias con gran capacidad de contestacion: China, Rusia, Irán, Brasil, India. ¿Alguna de ellas son nuestro referente o alternativa? No. ¿Son tan peligrosas para la paz mundial y tienen las manos igual de manchadas de sangre que Estados Unidos? Tampoco. Por tanto, en nombre de la equidistancia y de la pureza de ideas no debemos aceptar el trato por igual. El intelectual no silenciará injusticias, pero no deberá permitir que, con la coartada de combatirlas se cometan más crímenes. No debíamos aceptar que en nombre de la lucha contra la opresión de las mujeres se invada Afganistán, no debíamos permitir que bajo lo excusa de la defensa de minorías étnicas se destruya Yugoslavia, tampoco que la excusa de déficits democráticos se utilice para bombardear Libia o Siria y derrocar gobiernos. No vamos a permitir que el vecino que lanza a sus hijos por la ventana nos diga que debemos denunciar al que les da un azote. No seremos coartada para el crimen. El imperio ha aprendido que necesita excusas y coartadas para los genocidios, las encuentra con la complicidad de gobiernos lacayos, de medios de comunicación sumisos y de intelectuales rastreros. Nuestro deber es denunciarlo.

– El uso y abuso de la religión como arma de enfrentamiento de los pueblos

Durante siglos los poderosos han utilizado el nombre de Dios para llevar a las gentes a la guerra y la muerte. Durante el siglo XX, a pesar de sus guerras y sus holocaustos, parecía que el racionalismo se iba imponiendo. Ahora vemos que no está siendo así. De nuevo apelar a Dios sirve para intereses de los poderosos. Sirve para atacar cuando se está desesperado y para contraatacar cuando se quiere criminalizar al diferente. Sirve para reclutar mercenarios a los que ahora se les paga con la promesa del paraíso y sirve para sembrar el miedo que nos paralice y nos hace aceptar la opresión. Los intelectuales solo aceptaremos y principios basados en el racionalismo nacido en la revolución francesa y en las banderas de justicia e igualdad que se alzaron en posteriores revoluciones. Si el creyente se quiere unir a ellas bienvenido será.

– El siglo de la información

Otra de las novedades de nuestra era es que estamos viviendo los tiempos de la información. El mundo ha producido en 30 años más informaciones que en el transcurso de los 5.000 años precedentes… Un solo ejemplar de la edición dominical del New York Times contiene más información que la que durante toda su vida podía adquirir una persona del siglo XVII. Por poner un ejemplo, cada día, alrededor de 20 millones de palabras de información técnica se imprimen en diversos soportes (revistas, libros, informes, disquetes, CD-Rom). Un lector capaz de leer 1.000 palabras por minuto, ocho horas cada día, emplearía un mes y medio en leer la producción de una sola jornada, y al final de ese tiempo habría acumulado un retraso de cinco años y medio de lectura…1 ¿Ha servido el manejo de esa información para crear individuos más sensibles al dolor de los lejanos, para reconocer mejor a los responsables de las injusticias, para organizarse mejor en la búsqueda de alternativas? Sinceramente creo que no.

Y mi respuesta es que no, porque desde el poder se han encargado de sepultar las grandes verdades con ruido, paja e incluso mentiras. Porque los grandes pensadores, los grandes luchadores, las grandes causas siguen siendo silenciadas. Como decía el arzobispo Heldert Camara, cuentan que la gente es pobre pero se cuidan mucho de explicar por qué son pobres.

De ahí que otra de las responsabilidades de los intelectuales en el siglo XXI es explicar el mundo con el arma de la verdad. Algo que, paradójicamente, quizás hoy sea más difícil por dos razones. Porque los altavoces los tienen otros y porque, a diferencia de otras épocas, la gente cree, equivocadamente que sabe la verdad. Y es más difícil convencerles de que viven en una mentira que enseñar la verdad al ignorante. Los ciudadanos en España, en Europa, en Estados Unidos, creen que Venezuela es una dictadura cuando hubo más elecciones y más justas que en nuestros países, creen que la oposición es pacífica cuando lleva un centenar de asesinatos, algunos quemando vivos a partidarios del gobierno sin que lo sepan en nuestros países, creen que EEUU está preocupado por llevar la democracia y la libertad a otros países y solo ha llevado muerte, creen que los empresarios crean trabajo y que lo estados son ineficientes y desconocen que la mayoría de los empresarios del mundo acumulan riqueza con la explotación de una humanidad que no tiene otro patrimonio que su fuerza de trabajo que debe ofrecer prácticamente gratis. Y no saben que solo tendrán salud, sanidad, salarios justos y paz si tienen un Estado fuerte y democrático. Y ahí debemos estar los intelectuales que hemos logrado movernos en la búsqueda de una información rigurosa y veraz, en el compromiso de llevarla a las gentes. La verdad os hará libres, dijo Jesús, el de la Biblia. Y en eso tenía razón, aunque luego la Iglesia de Roma se haya dedicado dos mil años a difundir mentiras. La verdad, además es revolucionaria cuando se vive en un mundo donde predomina la mentira, como es el actual.

Para ello debemos enfrentar a todo el aparato mediático. Un aparato que se ha demostrado mucho más eficaz en silenciar las voces de los dignos que cualquier dictadura. Hoy no haría falta encerrar a Miguel Hernández hasta que muriese de tuberculosis, ni fusilar a Lorca o que se tuviese que exiliar Antonio Machado. La plutocracia mediática los silenciaría con quizás el mismo efecto. ¿Acaso pensamos que un gran medio de difusión masiva publicaría hoy los llamados revolucionarios de Bertolt Brecht? ¿o defendería “violencias” como las de franceses o italianos bajo la ocupación nazi? Al contrario les llamarían terroristas ¿Cómo tratarían hoy los medios al Che si existiera? ¿qué diría hoy lo crítica si un escritor plantease el dilema de Camus en Los Justos?

La tragedia de los últimos cincuenta años es la puesta en marcha de un sistema de genocidio informativo de todo intelectual rebelde y de consolidación de la meritocracia mediática del sumiso y halagador.

Por eso tenemos ante nosotros un gran reto, que forma parte del compromiso intelectual. El de romper el cerco mediático, romper el bloqueo. Durante la clandestinidad, el Partido Comunista de España creó lo que llamó los “equipos de pasos”. Eran comandos de militantes cuya función era que los líderes y militantes comunistas pudiesen atravesar los Pirineos sorteando los controles fronterizos. Ahora debemos crear también “equipos de pasos” para que el pensamiento, las ideas y las palabras, sonidos e imágenes que traen la verdad atraviesen los controles fronterizos interpuestos por los grandes medios de los grandes capitales entre los ciudadanos y los intelectuales díscolos. Los militares de fronteras y represores o el burdo censor que antes había que burlar para que el intelectual subversivo no terminará en prisión, ahora se ha transmutado en responsable de medios que son la voz de su amo, gran empresa accionista o publicitaria.

Los intelectuales comprometidos debemos también ir organizando grupos de pasos que emitan al aire la palabra, que impriman las letras, que iluminen las imágenes.

La era de Internet

Sí, el papel de los intelectuales, hoy y siempre, es intentar iluminar, con humildad y con modestia, es un mundo en el que hay más poderes interesados en mantenernos en las tinieblas. Pero cada época tiene sus propias formatos de dominación y, por tanto, también debemos aprender las técnicas de liberación. Nuestros tiempos son indisociables de internet, la era de la internet le llaman incluso. Y es en ese ciberespacio donde se está desarrollando parte de la batalla. No toda, pero sí parte. Internet puede servir para alienarnos con sus chisporreteos de frivolidades e intrancendencias, con los narcisismos de sus redes sociales, con su alud de mentiras y falsedades, con una falsa sensación de militancia. Pero también puede servirnos para enfrentar al oligopolio de los grandes medios de la información, para tejer redes de solidaridad e interacción que se materialicen en la vida real, para llevar la cultura donde nunca pudimos llevarla. Los intelectuales debemos saber utilizar en cada época las armas que disponemos, y ni una sola del enemigo debemos ignorar. Pero siempre recordando que el hambre, la opresión y las injusticias se producen en el mundo real no el virtual.

Muchas gracias

1 Ramonet, Ignacio. La explosión del periodismo. Clave Intelectual, Madrid, 2011.

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