Leopoldo Lopez, un golpista coerente

Roberto Montoya http://www.cubadebate.cu

“Ai militari, che oggi sono nelle strade voglio inviare un messaggio molto chiaro, molto sereno e inquadrato nella nostra Costituzione. Anche voi avete il diritto ed il dovere di ribellarsi, di ribellarsi agli ordini che cercano di reprimere il popolo venezuelano”. Queste sono alcune delle frasi che disse Leopoldo López in uno degli ultimi video che ha registrato, lo scorso giugno, dalla prigione militare di Ramo Verde.

In questo ed altri video registrati prima e dopo da Lopez dal carcere, il leader di Volontà Popolare, uno dei partiti più ultras della variopinta coalizione oppositrice MUD (Tavola di Unità Democratica) ha denunciato la “tirannia” di Maduro, la “brutale repressione” e “la mancanza di libertà di espressione”.

Come fece arrivare, allora, tali denunce all’esterno dalle segrete venezuelane? Scrivendoli in codice all’interno di un minuscolo foglio che è riuscito a passare, clandestinamente, a sua moglie in una delle sue visite? No, niente di tutto questo, l’uomo che cerca di scalzare il suo avversario, Henrique Capriles, dalla guida della MUD ed ha fretta di essere il presidente del Venezuela, lo ha videoregistrato. Alcuni dei video, di buona qualità, come si può apprezzare su Youtube, sono di diversi minuti e sono stati ampiamente diffusi nei social network, televisioni venezuelane e in tutto il mondo grazie alla vasta e costosa macchina mediatica che ha posto in marcia, nuovamente, il suo partito.

Potrebbe fare qualcosa di simile un prigioniero dal carcere di un paese europeo avanzato, democraticissimo e garantista come lo stato spagnolo? Come reagirebbe un governo come quello di Mariano Rajoy, i tribunali ed i media spagnoli se un prigioniero facesse un appello simile?

Se le pene sono proporzionali al reato, che direbbe la Procura Nazionale che ha chiesto 50 anni di carcere per coloro che aggredirono a pugni, in Alsasua, due guardie civili, se dovessero giudicare Lopez per essere stato l’istigatore primo, nel 2014, delle violente rivolte di strada contro il governo costituzionale del Venezuela, che lasciarono un saldo di 43 morti tra le due parti?

Accetterebbe il governo, i tribunali ed i media spagnoli concedere lo status di “prigionieri politici” a recidivi golpisti come Lopez o a molti dei detenuti negli ultimi tre mesi, alcuni dei quali hanno linciati attivisti chavisti, hanno dato alle fiamme decine di magazzini delle CLAP (centri di distribuzione alimentare del governo) e hanno cercato di assaltare la sede del Tribunale Supremo e altri edifici pubblici?

Sono prigionieri politici quelli che hanno ucciso, all’inizio dello scorso giugno, in una barricata il giudice Nelson Moncada, che confermò la condanna a Lopez?

Pochi giorni dopo essersi conosciuto il video in cui Lopez ha chiamato i militari venezuelani a ribellarsi, un altro salvatore della patria si faceva eco di tale appello, Óscar Pérez, un ispettore di polizia e attore occasionale di film d’azione, attaccava con granate e spari, da un elicottero rubato con altri poliziotti, le sedi del Ministero dell’Interno e del Tribunale Supremo.

Un altro dirigente dell’opposizione, leader studentesco nell’Università Centrale del Venezuela e deputato di Primero Justicia, Juan Requesens, diceva in una conferenza in Florida, lo scorso 5 luglio, che “per arrivare ad un intervento straniero dobbiamo passare da questa fase”, riferendosi agli attuali scontri di piazza. La fase attuale è solo un preriscaldamento.

Né Lopez né l’ispettore Pérez hanno ottenuto il sostegno militare che si aspettavano, come neppure l’ottenne Julio Borges, l’anche oppositore presidente dell’Assemblea Nazionale che sta facendo costanti appelli pubblici alle forze armate affinché si definiscano “dalla parte del popolo”. Convinti che non otterranno fratturare le forze armate affinché rovescino, con la forza, Nicolás Maduro, i settori più golpisti della MUD oppositrice scommettono sul “tanto peggio tanto meglio”. Ma a tal proposito non gli basta il boicottaggio imprenditoriale, l’immagazzinamento delle merci per speculare sui prezzi, causare carenze e quindi aumentare il malessere sociale, ma necessitano che tutto il mondo veda sangue per le strade del Venezuela. Vogliono molte morti, caos totale per giustificare l’intervento straniero che, anche, sembra urlare il segretario generale dell’OSA, Luis Leonardo Almagro.

Lopez, uno dei firmatari del golpe del 2002

Quando Alberto Garzón definì “golpista” Lopez, in un Twitter, dopo che questi era uscito dal carcere, Toni Cantó si è precipitato ad attaccarlo e poi l’ha fatto Gallardón, ma il leader di IU ha risposto a sua volta chiamandolo “golpista recidivo”. E con ragione.

Non bisogna essere un ammiratore di Maduro e del suo governo per ammettere tale realtà. Anzi, da un punto di vista di sinistra si può -si deve, aggiungerei- essere molto critico della gestione e deriva che ha preso il suo governo su molti aspetti, ma sapendo sempre distinguere, chiaramente, ciò che rappresentò come cambiamento sostanziale, per il Venezuela e l’America Latina, il processo che si iniziò, nel 1998, in Venezuela con l’arrivo di Chavez al potere, e quello che rappresenta l’ “alternativa” oppositrice, il settore più ultrà ed oligarchico della MUD ed i suoi interessati alleati nazionali d internazionali.

Per ottenere il sostegno dei settori popolari diffidenti di tanti leader dell’opposizione di note famiglie oligarchiche, come sono Lopez, Machado o Capriles, la MUD ha, da tempo, cambiato tattica; ora non annuncia, come prima, che porrà fine alle riforme sociali che portarono istruzione, sanità, pensioni ed alloggi sociali a milioni di persone, ma promettono il contrario, che addirittura le miglioreranno.

Della biografia di Leopoldo López molti desiderano cancellare diversi episodi, alcuni dei quali legati ai suoi problemi con il Controllore Generale della Repubblica, che lo accusò, negli ultimi dieci anni, di ricevere una cifra milionaria da Petroleos de Venezuela (PDVSA, la potente compagnia di cui era funzionario e sua madre alta dirigente) per finanziare il suo partito, di allora, Primero Justicia, da cui si separò per i suoi scontri con Capriles.

Fu anche sanzionato, nel 2009, per la malversazione di grandi partite dei fondi del Municipio di Chacao, nello stato di Miranda, a cui era a capo tra il 2000 ed il 2008.

Per qualcuno che sta costantemente accusando il governo di Nicolás Maduro di “corrotto” non sono esattamente buoni dati sul suo curriculum. Ma forse i più scomodi antecedenti di qualcuno, che come Lopez, si auto-nomina il grande difensore della democrazia e delle libertà, sono quelli del 2002, il colpo di stato contro Hugo Chávez.

Lopez, come il suo rivale interno, Henrique Capriles, e come molti altri attuali dirigenti della MUD, sostennero apertamente il colpo di stato, del 12 aprile dello stesso anno, ma Lopez, come María Corina Machado, dirigente di Vente Venezuela, erano anche tra i quasi 400 illustri firmatari dell’Atto di Costituzione del Governo di Transizione Democratica e Unità Nazionale, noto come decreto Carmona, o Carmonazo, per il nome dell’effimero presidente de facto Pedro Carmona, niente meno che il presidente della FEDECAMARAS, la Confederazione del grande padronato.

Attraverso questo atto si decideva di dare grandi poteri a Carmona, sospendere l’Assemblea Nazionale così come tutte le cariche pubbliche nazionali, regionali e comunali che il presidente decidesse e si prometteva di convocare elezioni generali entro un periodo massimo di un anno. Dopo si sarebbe conosciuta la caccia alle streghe che era prevista lanciare dopo il colpo di stato, così come l’annullamento di importanti riforme sociali promosse dal Governo e la privatizzazione e ri-privatizzazione delle imprese pubbliche che avrebbe avuto luogo.

Cambiando il nome di Chavez con quello di Maduro e alcuni piccoli dettagli nel tema, quel decreto Carmona lo sottoscriverebbero sicuramente Lopez e Machado ora, se potessero provocare la caduta violenta di Maduro. Appena uscito dal carcere Lopez ha chiamato, dalla sua dimora, alla “resistenza” incoraggiando “i giovani degli scudi” che riscaldano, sempre più violentemente, le strade di alcuni quartieri di Caracas.

Vargas Llosa: “E ‘un eroe della pace”

A giungere ad uno scenario simile, cioè ottenere la consumazione, ipoteticamente con successo, di un golpe contro Maduro, alcuni tra i primi che lo applaudirebbero all’estero, oltre ai grandi democratici come Trump, Macri, Temer o Uribe, sarebbero Felipe González, Aznar, Rajoy, Rivera, e gli stessi grandi gruppi mediatici spagnoli che già celebrarono, nel 2002, nei loro editoriali e disinformazioni il fallito golpe contro Hugo Chavez, con El Pais ed il Gruppo PRISA in testa.

Dalle segrete di Maduro, tra una tortura e l’altra, Leopoldo López non solo registrò video e l’inviò all’esterno, ma ha anche scritto un libro, ‘Detenuto ma libero’. Il suo prologo era scritto da, ci mancherebbe altro, don Felipe González, legato, strettamente, alla madre di Lopez, María Antonieta Mendoza de López.

La madre del leader dell’opposizione fu, dal 2000 fino a poco tempo fa, almeno la Vice Presidente degli Affari Corporativi della holding Organizzazione Cisneros, proprietà del magnate Gustavo Cisneros, un grande amico e socio di Felipe González. Cisneros, che secondo il numero di Newsweek, del 22 aprile 2002, – pochi giorni dopo il colpo di Stato- era “al vertice” di esso, fece il colpo grosso con la compravendita di Galerias Preciados grazie ad una scandalosa e clamorosa operazione finanziaria agecolata dal governo di Felipe González.

La potente madre di Leopoldo López Mendoza è anche membro della Camera Venezuelano-Americana del Commercio e dell’Industria ed anche membro del Comitato dei Mezzi di Comunicazione di Venamcham.

Anche Aznar mantiene un eccellente rapporto con Cisneros, non per nulla gli concesse la nazionalità spagnola pochi mesi prima del golpe di aprile 2002.

Alla presentazione del libro, a Madrid nel marzo 2016, Mario Vargas Llosa disse che Lopez era “un eroe del nostro tempo, un eroe della pace, un eroe civile”. E nella tribuna che dedicò al golpista recidivo ne El País pochi giorni dopo il Nobel assicurò: “Leopoldo López è un idealista e un pacifista convinto. I suoi modelli sono Gandhi, Mandela, Martin Luther King, Vaclav Havel, Madre Teresa di Calcutta e, da convinto credente qual è, Cristo.

L’esaltazione che si è fatta in Spagna di Lopez è certamente una scommessa decisa dalla linea più dura e belligerante dell’opposizione venezuelana, non dall’opposizione in generale, che comprende forze che si rivendicano socialdemocratiche.

Sia Leopoldo López come Corina Machado sempre rifiutarono qualsiasi dialogo con il governo, con quello di Chavez prima e con quello di Maduro poi, rifiutarono anche di partecipare, per anni, ai processi elettorali ed accettarono con riluttanza il cambio di strategia e l’esito delle primarie della MUD che elessero, nel 2012, Henrique Capriles come candidato alla presidenza.

Dopo i continui fallimenti elettori della MUD Lopez e Machado attribuirono alla “tiepidezza” di Capriles le loro sconfitte sofferte sia contro Chavez e poi contro Maduro, e nel 2014 optarono per la violenza di strada, lanciarono La Salida, un piano di manifestazioni violentissime per settimane. Cercavano che si fratturassero le Forze Armate e che la gente “delle colline” scendesse in massa come nel Caracazo, Del 1989, contro i piani di aggiustamento del governo di Andrés Pérez – l’altro grande amico di Felipe Gonzalez – che si chiuse con centinaia di vittime, o come scese nell’aprile 2002 per affrontare e sconfiggere il colpo di stato contro Chavez.

Ma la gente “delle colline”, questa volta, non è scesa come pretendeva López nonostante le penurie che vive e le Forze Armate neppure si ribellarono.

Fu a causa di queste rivolte estremamente violente, del 2014, che Lopez fu arrestato e condannato a 13 anni di carcere, di cui ha scontato tre anni e mezzo prima che gli venissero concessi gli attuali arresti domiciliari.

Lopez ha scalzato, già di fatto, Capriles dalla leadership della MUD e al celebrarsi, attualmente, nuove primarie nella MUD sembra chiaro che il candidato presidenziale, ora, sarebbe Lopez e non Capriles. Senza dubbio l’appoggio, deciso ed interessato del Governo, di politici, multinazionali e grandi gruppi mediatici spagnoli che tanto rivendicano la democrazia e la libertà ha contribuito, ancora una volta, alla strategia golpista in Venezuela.

(da Público)


Leopoldo López, un golpista consecuente

Por: Roberto Montoya

“A los militares que hoy están en las calles les quiero mandar un mensaje muy claro, muy sereno y enmarcado en nuestra Constitución. Ustedes también tienen el derecho y el deber de rebelarse, de rebelarse ante órdenes que buscan reprimir al pueblo venezolano”. Esas son algunas de las frases que dijo Leopoldo López en uno de los últimos vídeos que grabó el pasado junio desde la prisión militar de Ramo Verde.

En este y otros vídeos grabados antes y después por López desde la cárcel, el líder de Voluntad Popular, uno de los partidos más ultras de la variopinta coalición opositora MUD (Mesa de Unidad Democrática) denunció la “tiranía” de Maduro, la “brutal represión” y “la falta de libertad de expresión”.

¿Cómo hizo llegar entonces estas denuncias al exterior López desde las mazmorras venezolanas?, ¿Escribiéndolas en clave dentro de un papel minúsculo que logró pasarle clandestinamente a su esposa en una de sus visitas? No, nada de eso, el hombre que pretende desplazar a su adversario Henrique Capriles del liderazgo de la MUD y tiene prisa por ser presidente de Venezuela, lo grabó en vídeo. Algunos de los vídeos, de buena calidad como se puede apreciar en Youtube, tienen varios minutos, y fueron difundidos ampliamente en las redes sociales, televisiones venezolanas y de todo el mundo gracias a la amplia y costosa maquinaria mediática que puso en marcha una vez más su partido.

¿Podría hacer algo similar un preso desde la cárcel de un país europeo avanzado, democratísimo y garantista como el Estado español? ¿Cómo reaccionaría un Gobierno como el de Mariano Rajoy, los tribunales de Justicia y los medios de comunicación españoles si un preso hiciera un llamamiento similar?

¿Si las penas son proporcionales al delito, qué opinaría la Fiscalía de la Audiencia Nacional que ha pedido 50 años de prisión para quienes agredieron a puñetazos en Alsasua a dos guardias civiles, si tuvieran que juzgar a López por haber sido el primer instigador en 2014 de las violentas revueltas callejeras contra el gobierno constitucional venezolano, que dejaron un saldo de 43 muertos entre los dos bandos?

¿Aceptaría el Gobierno, los tribunales y los medios españoles conceder el estatus de “presos políticos” a golpistas reincidentes como López o a muchos de los detenidos en estos últimos tres meses, algunos de los cuales han linchado a activistas chavistas, han incendiado decenas de almacenes de de los CLAP (centros gubernamentales de distribución de alimentos) y han intentado tomar por asalto la sede del Tribunal Supremo y otros edificios públicos?

¿Son presos políticos los que mataron a tiros a inicios del pasado junio en una barricada al juez Nelson Moncada, el que ratificó la condena a López?

Pocos días después de conocerse el vídeo en el que López llamó a los militares venezolanos a rebelarse, otro salvador de la patria se hacía eco de esa llamada. Óscar Pérez, un inspector de policía y actor ocasional de películas de acción, atacaba con granadas y disparos desde un helicóptero robado con otros policías las sedes del Ministerio del Interior y el Tribunal Supremo.

Otro dirigente opositor, líder estudiantil en la Universidad Central de Venezuela y diputado de Primero Justicia, Juan Requesens, decía en una conferencia en Florida el pasado 5 de julio que “para llegar a una intervención extranjera tenemos que pasar esta etapa”, en referencia a los actuales enfrentamientos callejeros. La etapa actual es solo el precalentamiento.

Ni López ni el inspector Pérez lograron el apoyo militar que esperaban, como tampoco lo consiguió Julio Borges, el también opositor presidente de la Asamblea Nacional, quien viene haciendo constantes llamamientos públicos a las fuerzas armadas para que se definan “del lado del pueblo”. Convencidos de que no lograrán fracturar a las Fuerzas Armadas para que derroquen por la fuerza a Nicolás Maduro, los sectores más golpistas de la Mesa de Unidad Opositora apuestan por el “cuanto peor, mejor”. Para ello no les basta el boicot empresarial, el almacenamiento de mercaderías para especular con los precios, provocar desabastecimieto y con ello aumentar el malestar social, sino que hace falta que el mundo entero vea sangre en las calles de Venezuela. Quieren muchos muertos, un caos total que justifique una intervención extranjera que también parece pedir a gritos el secretario general de la OEA, Luis Leonardo Almagro.

López, firmante del golpe de 2002

Cuando Alberto Garzón tildó de “golpista” a López en Twitter después de que este saliera de la cárcel, Toni Cantó se apresuró a atacarlo y luego lo hizo Gallardón, pero el líder de IU replicó a su vez llamándolo “golpista reincidente”. Y con razón.

No hace falta ser un admirador de Maduro y su gobierno para admitir esa realidad. Es más, desde una perspectiva de izquierda se puede –se debe, añadiría- ser muy crítico con la gestión y deriva que ha tomado su Gobierno en muchos aspectos, pero sabiendo distinguir siempre claramente lo que representó de cambio sustancial para Venezuela y América Latina el proceso que se inició en 1998 en Venezuela con la llegada de Chávez al poder, y lo que representa la “alternativa” opositora, el sector más ultra y oligárquico de la MUD y sus interesados aliados nacionales e internacionales.

Para poder ganar apoyo en sectores populares desconfiados con tantos dirigentes opositores de reconocidas familias oligárquicas, como es el caso de López, Machado o Capriles, la MUD hace tiempo que cambió de táctica, ya no anuncia como antes que va a acabar con las reformas sociales que llevaron educación, sanidad, pensiones y viviendas sociales a millones de personas, sino que prometen lo contrario, que incluso las mejorarán.

De la biografía de Leopoldo López muchos quieren borrar varios episodios, algunos de ellos relacionados con sus problemas con la Contraloría General de la República, que lo imputó en la década pasada por recibir una cifra millonaria de Petróleos de Venezuela (Pdvsa, la poderosa empresa de la cual era funcionario, y su madre alta ejecutiva) para financiar a su partido de entonces, Primero Justicia, del cual luego se separaría por sus choques con Capriles.

También fue sancionado en 2009 por el desvío de grandes partidas de los fondos de la Alcaldía de Chacao, en el estado de Miranda, a cuyo frente estuvo entre 2000 y 2008.

Para alguien que está acusando constantemente al Gobierno de Nicolás Maduro de “corrupto” no son precisamente buenos datos en su currículo. Pero tal vez los más incómodos antecedentes de alguien que como López se ha autoerigido en el gran defensor de la democracia y las libertades son los de 2002, los del golpe de Estado contra Hugo Chávez.

López, como su rival interno, Henrique Capriles, y como muchos otros dirigentes actuales de la MUD, apoyaron abiertamente el golpe de Estado del 12 de abril de ese año, pero López, al igual que María Corina Machado, líder de Vente Venezuela, estuvieron además entre los cerca de 400 ilustres firmantes del Acta de Constitución del Gobierno de Transición Democrática y Unidad Nacional , conocida como Decreto Carmona, o Carmonazo, por el nombre del efímero presidente de facto Pedro Carmona, nada menos que el presidente de la Fedecámaras, la confederación de la gran patronal.

A través de esa acta se decidía dar grandes poderes a Carmona, suspender la Asamblea Nacional así como todos los cargos públicos, nacionales, regionales y municipales que él presidente decidiera y se prometía convocar elecciones generales en el plazo máximo de un año. Luego se conocería la caza de brujas que estaba prevista lanzar tras el golpe, así como la anulación de las importantes reformas sociales impulsadas por el Gobierno, y la privatización y reprivatización de empresas públicas que tendría lugar.

Cambiando el nombre de Chávez por el de Maduro y algunos pequeños detalles en el argumentario, aquel Decreto Carmona lo suscribirían seguramente López y Machado nuevamente ahora si pudieran provocar la caída violenta de Maduro. Ni bien salido de la cárcel López llamó desde su mansión a “la resistencia”, alentando a los “jóvenes de los escudos” que caldean cada vez más violentamente las calles de algunos barrios de Caracas.

Vargas Llosa: “Es un héroe de paz”

De llegarse a un escenario similar, de lograr consumarse hipotéticamente con éxito un golpe contra Maduro, algunos de los primeros que lo aplaudirían en el exterior, además de grandes demócratas como Trump, Macri, Temer o Uribe, serían Felipe González, Aznar, Rajoy, Rivera, y los mismos grandes grupos mediáticos españoles que ya celebraron en 2002 en sus editoriales y desinformaciones el frustrado golpe de Estado contra Hugo Chávez, con El País y el Grupo PRISA a la cabeza.

Desde las mazmorras de Maduro, entre tortura y tortura  Leopoldo López no solo grabó vídeos y los envió al exterior sino que también escribió un libro, Preso pero libre. Su prologuista, faltaba más, don Felipe González, ligado estrechamente desde hace años a la madre de López, María Antonieta Mendoza de López. La madre del líder opositor fue desde el año 2000 hasta hace muy poco al menos la Vicepresidenta de Asuntos Corporativos del holding Organización Cisneros, propiedad del magnate Gustavo Cisneros, gran amigo y socio de Felipe González. Cisneros, que según el número de Newsweek del 22 de abril de 2002 -pocos días después del golpe de Estado- estuvo “en el vértice” del mismo, dio el gran pelotazo con la compra-venta de Galerías Preciados gracias a una escandalosa y sonada operación financiera facilitada por el Gobierno de Felipe González.

La poderosa madre de Leopoldo López Mendoza es también miembro de la Cámara Venezolano-América de Comercio e Industria y miembro también del Comité de Medios de Comunicación de Venamcham.

Aznar también mantiene una excelente relación con Cisneros, no en vano le concedió la nacionalidad española unos meses antes del golpe de abril de 2002.

En la presentación del libro en Madrid en marzo de 2016 Mario Vargas Llosa dijo que López era “un héroe de nuestro tiempo, un héroe de paz, un héroe civil”. Y en la tribuna que le dedicó al golpista reincidente en El País pocos días después el Nobel aseguró: “Leopoldo López es un idealista y un pacifista convencido. Sus modelos son Gandhi, Mandela, Martin Luther King, Vaclav Havel, la madre Teresa de Calculta y, como convencido creyente que es, Cristo”.

El ensalzamiento que se ha hecho en España de López es sin duda una apuesta decidida por la línea más dura y beligerante de la oposición venezolana, no por la oposición en general, que incluye fuerzas que se reivindican socialdemócratas.

Tanto Leopoldo López como Corina Machado rechazaron siempre cualquier diálogo con el Gobierno, con el de Chávez primero y con el de Maduro después, rechazaron igualmente participar durante años en los procesos electorales y aceptaron a regañadientes el cambio de estrategia y el resultado de las primarias de la MUD que eligieron en 2012 a Henrique Capriles como candidato a la presidencia.

Tras los continuos fracasos electores de la MUD López y Machado achacaron a la “tibieza” de Capriles sus derrotas sufridas tanto frente a Chávez como luego frente a Maduro, y en 2014 optaron por la violencia callejera, lanzaron La Salida, un plan de manifestaciones violentísimas durante semanas y semanas. Buscaban que se fracturaran las Fuerzas Armadas y que la gente “de los cerros” bajara en masa como en el Caracazo de 1989 contra los planes de ajuste del Gobierno de Andrés Pérez -el otro gran amigo de Felipe González- que se saldó con cientos de víctimas, o como bajara en abril de 2002 para enfrentar y derrotar el golpe de Estado contra Chávez.

Pero la gente de “los cerros” en esta ocasión no bajó como pretendía López a pesar de las penurias que pasa, y las Fuerzas Armadas no se rebelaron tampoco.

Fue a causa de esas revueltas extremadamente violentas de 2014 que López fue detenido y condenado a 13 años de cárcel, de los que ha cumplido tres años y medio antes de concedérsele el actual arresto domiciliario.

López ha desplazado ya de hecho a Capriles del liderazgo de la MUD y de celebrarse actualmente unas nuevas primarias en la MUD parece evidente que el candidato presidencial ahora sería López y no Capriles. Sin duda el apoyo decidido e interesado del Gobierno, de políticos, multinacionales y grandes grupos mediáticos españoles que tanto reivindican la democracia y la libertad, ha contribuido una vez más a la estrategia golpista en Venezuela.

(Tomado de Público)

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