Prigionieri politici, giornalisti uccisi. Venezuela? No Colombia

di Geraldina Colotti* – Il Manifesto

Jesus Santrich, comandante della guerriglia marxista colombiana FARC è stato ricoverato in condizioni critiche dopo 18 giorni di sciopero della fame. I prigionieri politici chiedono che venga loro applicata l’amnistia, come stabilito dagli accordi di pace firmati con il presidente Manuel Santos. Sono 1300, detenuti in condizioni durissime, come denunciano da anni i loro legali.

«È ora che lo Stato colombiano prenda posizione, che il presidente prenda in mano la situazione, non possiamo continuare a permettere che per la negligenza di alcuni giudici si verifichino situazioni simili», ha detto Pablo Catatumbo, dello Stato maggiore delle FARC.

Santos è a Cuba, anche per premere su Raul Castro affinché convinca Maduro a desistere dalla convocazione dell’Assemblea costituente. Il presidente cubano è tornato invece a prendere posizione a favore del paese bolivariano e del suo diritto a decidere secondo il volere del popolo.

A Quito, in Ecuador, riprenderà intanto il terzo ciclo di negoziati tra il governo colombiano e la seconda guerriglia, quella guevarista dell’ELN. I negoziati vertono sulla questione del «cessate il fuoco ma con la cessazione delle ostilità», ha scritto in twitter il mediatore di Santos, Juan Camilo Restrepo. L’ELN cerca di rilanciare i punti bassi dell’accordo concluso con le FARC, e dovuti alla sconfitta nel referendum voluto dall’estrema destra colombiana.

In Colombia, continuano gli attacchi ai leader sociali. Il 14 luglio è stato ammazzato l’afrocolombiano Hector William Mina, dirigente del movimento Marcha Patriotica, molto noto nella regione del Cauca. Una zona in cui, dopo la smobilitazione della guerriglia, che ha consegnato le proprie armi sotto la supervisione dell’ONU, si ripetono gli assassinii ad opera dei paramilitari. Dal 2016 sono già 186 gli attivisti, gli ambientalisti e i difensori dei diritti umani che hanno perso la vita nella più completa impunità, 65 nel 2017.

Secondo il recente rapporto della Ong Global Witness, almeno 200 ecologisti sono stati assassinati nel 2016, il 60% dei quali in America latina. Il 40% delle vittime apparteneva a gruppi indigeni. Brasile, Colombia e Filippine registrano oltre la metà degli omicidi, seguiti da India, Honduras, Nicaragua, Repubblica Democratica del Congo e Bangladesh. Omicidi da mettere in relazione con lo sfruttamento minerario, con le imprese del legno e con il latifondo. Omicidi spesso annunciati, preceduti da campagne di discredito e minacce.

Per questo, un folto gruppo di giornalisti ha protestato contro le intimidazioni compiute dall’ex presidente Alvaro Uribe, grande sponsor dei paramilitari e nemico del processo di pace. Uribe ha diffamato in twitter il giornalista Daniel Samper, chiamandolo «stupratore di bambini». Basta con la «strategia della calunnia – scrivono i giornalisti – è tempo che l’ex presidente stia all’altezza dell’enorme potere che ha abusivamente accumulato senza troppe conseguenze».

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