Venezuela: la “sinistra internazionale” prenda posizione

Gregory Wilpert – ZNET
(Traduzione di Giuseppe Volpe per ZNET Italia)

Il Venezuela si sta dirigendo verso una posizione sempre più pericolosa, nella quale la guerra civile potrebbe diventare una possibilità reale. Sinora più di 100 persone sono state uccise in seguito a manifestazioni di massa; la maggior parte di tali morti sono responsabilità degli stessi dimostranti (nella misura in cui ne conosciamo la causa). La possibilità di una guerra civile diviene più probabile fintanto che i media internazionali oscurano chi è responsabile delle violenze e fintanto che la sinistra internazionale resta ai margini di questo conflitto e non mostra solidarietà al movimento socialista bolivarista in Venezuela.


Se la sinistra internazionale riceve le sue notizie sul Venezuela principalmente dai media internazionali, si può capire perché è così silenziosa. Dopotutto i media prevalenti evitano costantemente di riferire chi sta istigando la violenza in questo conflitto. Ad esempio uno spettatore della CNN o lettore del New York Times non saprà che dei 103 che sono stati uccisi in seguito alle manifestazioni di piazza, 27 sono stati la conseguenza diretta o indiretta degli stessi dimostranti. Altri 14 sono stati la conseguenza di saccheggi; in un caso di spicco perché i saccheggiatori hanno dato fuoco a un negozio e hanno finito per restare imprigionati essi stessi nelle fiamme. 14 morti sono attribuibili alle azioni di autorità statali (e nella maggior parte dei casi i responsabili sono stati incriminati) e 44 sono ancora sotto indagine o controversi. Questo sulla base di dati dell’ufficio del Procuratore Generale che è divenuto esso stesso favorevole all’opposizione.

Pure ignoto alla maggior parte dei consumatori dei media internazionali sarebbe che i dimostranti dell’opposizione hanno fatto scoppiare una bomba nel cuore di Caracas l’11 luglio, ferendo sette soldati della Guardia Nazionale, che un edificio appartenente alla Corte Suprema è stato incendiato da manifestanti dell’opposizione il 12 giugno o che dimostranti dell’opposizione hanno attaccato una clinica ostetrica il 17 maggio.

In altri termini, è possibile che gran parte della sinistra internazionale riguardo alla violenza in Venezuela sia stata fuorviata a ritenere che il governo sia l’unico responsabile, che il presidente Maduro si sia dichiarato dittatore a vita (quando ha in realtà confermato che le elezioni presidenziali programmate per la fine del 2018 si terranno secondo i piani) o che tutto il dissenso sia punito con il carcere (quando il principale capo dell’opposizione, Leopoldo Lopez, che è stato in parte responsabile della violenza dopo le elezioni del 2014 è stato appena rilasciato dal carcere ed è ora agli arresti domiciliari). Se è questo il motivo del silenzio sul Venezuela, allora la sinistra dovrebbe vergognarsi di non aver letto le sue stesse critiche dei media prevalenti.

Tutto quanto precede non contraddice il fatto che c’è una quantità di punti che si potrebbero criticare nel governo Maduro per aver commesso errori riguardo a come ha gestito la situazione attuale, sia economicamente sia politicamente. Tuttavia le critiche (e io stesso ne ho avanzate numerose) non giustificano assumere una posizione neutra o a favore dell’opposizione in questo grave conflitto. Come ha detto una volta l’attivista sudafricano anti-apartheid Desmond Tutu: “Se si è neutrali in situazioni di ingiustizia, si è schierati con l’oppressore”.

Forse il caso del Venezuela è disorientante per gli stranieri anche perché il presidente Maduro è al potere e l’opposizione no. Potrebbe così essere difficile considerare l’opposizione come un “oppressore”. Tuttavia per una sinistra internazionalista non dovrebbe essere tanto disorientante. Dopotutto l’opposizione in Venezuela riceve considerevole sostegno non solo da aziende private, ma anche dal governo statunitense, dalla destra internazionale e dal capitale transnazionale.

Forse i progressisti sentono che il governo Maduro ha perso tutta la legittimità democratica e che è per questo che non possono sostenerlo. Secondo la copertura mediatica prevalente Maduro ha cancellato le elezioni regionali in programma per dicembre 2016, ha impedito che si tenesse un referendum di revoca e ha neutralizzato l’Assemblea Nazionale. Diamo un breve sguardo singolarmente a ciascuno di queste affermazioni.

Primo: le elezioni regionali (governatori e sindaci) dovevano in effetti tendersi a fine 2016, ma il Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) le ha rimandate sostenendo che prima i partiti politici dovevano registrarsi. Tralasciando la validità di tale argomento, il CNE ha recentemente riscadenzato le elezioni per il dicembre del 2017. Questo rinvio di elezioni programmate non è senza precedenti in Venezuela perché è già accaduto, nel 2004, quando elezioni locali sono state rimandate di un anno intero. Allora, al picco del potere del presidente Chàvez, quasi nessuno ha obiettato.

Quanto al referendum di revoca, era ben noto che ci sarebbero voluti circa dieci mesi per organizzarlo, dal suo avvio al suo culmine. Comunque l’opposizione ha avviato la procedura ad aprile 2016, troppo tardi perché il referendum si tenesse nel 2016, come volevano (perché se si teneva nel 2017 non ci sarebbero state nuove elezioni presidenziale, in base alla costituzione, ma il vicepresidente sarebbe subentrato per il resto del mandato).

Infine, per quanto riguarda la squalifica dell’Assemblea Nazionale, si è trattato di un’altra ferita autoinflitta dall’opposizione.

Cioè, anche se l’opposizione aveva conquistato 109 seggi su 167 (il 65 per cento) ha insistito per far giurare tre membri dell’opposizione la cui elezione era contestata a causa di accuse di frode. In conseguenza la Corte Suprema ha sentenziato che fino a quando quei tre membri non fossero rimossi, la maggior parte delle decisioni dell’Assemblea Nazionale sarebbe stata invalida.

In altre parole nessuno degli argomenti contro la legittimità democratica del governo Maduro tiene molto. Oltre a ciò, i sondaggi hanno ripetutamente indicato che anche se Maduro è piuttosto impopolare, una maggioranza dei venezuelani vuole che completi il suo mandato, che scade nel gennaio del 2019. Di fatto la popolarità di Maduro non è bassa quanto numerosi altri presidenti (conservatori) dell’America Latina al momento, come quello del Messico, Enrique Peña Nieto (17 per cento a marzo 2017), quello del Brasile, Michel Temer (7 per cento a giugno 2017) o quello della Colombia, Juan Manuel Santos (14 per cento a giugno 2017). Si paragonino con il 24 per cento di favore a Maduro a marzo 2017.

Ora che abbiamo affrontato i possibili motivi per i quali la sinistra internazionale è stata riluttante a mostrare solidarietà al governo di Maduro e al movimento socialista bolivarista, che cosa potrebbe finire per significare la “neutralità” in questa situazione; in altri termini che cosa significherebbe consentire che l’opposizione salga al potere mediante una transizione illegale e violenta.

Innanzitutto e soprattutto, la sua ascesa al potere significherà quasi certamente che tutti i chavisti – che attualmente appoggino o no il presidente Maduro – saranno oggetto di persecuzione. Anche se si tratta di molto tempo fa, molti chavisti non hanno dimenticato il “Caracazo”, quando nel febbraio del 1989 l’allora presidente Carlo Andrés Perez inflisse una rappresaglia ai quartieri poveri per aver protestato contro il suo governo e uccise indiscriminatamente tra le 400 e le 1.000 persone. Più recentemente, nel corso del colpo di stato di breve durata contro il presidente Chàvez nell’aprile del 2002, l’attuale opposizione ha mostrato di essere più che vogliosa di scatenare rappresaglie contro i chavisti. Molti non lo sanno ma nei due giorni di regime del colpo di stato sono stati uccisi in Venezuela più di 60 chavisti (questa cifra non include i 19 uccisi alla vigilia del colpo di stato, in entrambi gli schieramenti della divisione politica). La violenza dopo le elezioni dell’aprile 2013 ha lasciato sette morti e le Guarimbas [atti terroristici della destra – n.d.t.] da febbraio ad aprile 2014 hanno lasciato 43 morti. Anche se i morti in ciascuno di questi casi hanno rappresentato un insieme di sostenitori dell’opposizione, chavisti, e passanti ignari, in quasi tutti questi casi la maggioranza apparteneva allo schieramento chavista della divisione politica. Ora, durante la più recente ondata di guarimbas, ci sono stati numerosi incidenti in cui uno chavista si è trovato troppo vicino a una manifestazione dell’opposizione ed è stato aggredito e ucciso perché i manifestanti l’hanno riconosciuto in qualche modo come chavista.

In altre parole il pericolo che i chavisti siano perseguitati più in generale se l’opposizione dovesse impossessarsi del governo è molto reale. Anche se l’opposizione comprende individui ragionevoli che non appoggerebbero tale persecuzione, l’attuale dirigenza dell’opposizione non ha fatto nulla per frenare le tendenze fasciste nei suoi ranghi. Semmai ha incoraggiato tali tendenze.

Secondo: anche se l’opposizione non ha pubblicato un piano concreto di ciò che intende fare una volta al governo (il che è anche uno dei motivi per i quali l’opposizione rimane tanto impopolare quanto il governo presso la popolazione in generale) singole dichiarazioni di capi dell’opposizione indicano che procederebbero immediatamente ad attuare un programma economico neoliberista simile a quello del presidente Temer in Brasile o di Mauricio Macri in Argentina. In questo modo potrebbero riuscire a ridurre l’inflazione e le scarsità, ma a costo di eliminare sussidi e programmi sociali per i poveri a tutto campo. Inoltre revocherebbero tutte le politiche a sostegno di consigli comunali e comuni che sono state una pietra angolare della democrazia partecipativa nella rivoluzione bolivarista.

Dunque invece di silenzio, neutralità o indecisione da parte della sinistra internazionale nell’attuale conflitto in Venezuela, quella che serve è un’attiva solidarietà con il movimento socialista bolivarista. Tale solidarietà significa opporsi con veemenza a tutti gli sforzi per rovesciare il governo del presidente Maduro nel corso del suo attuale mandato presidenziale. A parte la palese illegalità che sarebbe costituita dal rovesciamento del governo Maduro, sarebbe anche un colpo letteralmente mortale al movimento socialista del Venezuela e all’eredità del presidente Chàvez. La sinistra internazionale non ha neppure necessità di prendere posizione sul fatto che la proposta assemblea costituzionale o i negoziati con l’opposizione siano il modo migliore per risolvere la crisi corrente. Questo sta in realtà ai venezuelani deciderlo. Opporsi all’intervento e diffondere informazioni su ciò che sta realmente avvenendo in Venezuela, tuttavia, sono le due cose nelle quali i non venezuelani possono avere un ruolo costruttivo.

Gregory Wilpert è un ex direttore del sito web di teleSUR English e autore di ‘Changing Venezuela by Taking Power: The History and Policies of the Chávez Government’ [Cambiare il Venezuela prendendo il potere: storia e politiche del governo Chàvez] (Verso Books, 2007).

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