Povertà, democrazia e ricchezza

Rosa Cañete: “Difendere gli interessi delle maggioranze sui privilegi di pochi”

T. Roselló e I. Sánchez  https://lapupilainsomne.wordpress.com

Intervista all’economista Rosa Cañete, coordinatrice della Campagna Uguali di Oxfam, che ha una lunga esperienza di lavoro e di ricerca nei paesi dell’America Latina con organismi come il Programma ONU di Sviluppo (PNUD) e la Commissione Economica per L’America Latina (CEPAL) e la stessa Oxfam.

Gli economisti sono soliti insistere sui benefici della crescita economica, ma lei ha affermato che la crescita di per se stessa non è buona. Perché?

La crescita è un mezzo, non un fine in sé stessa, non è un obiettivo finale, quindi funziona quando collabora a soddisfare le esigenze della società. La crescita può non rispettare l’ambiente né i diritti delle donne, o basarsi sullo sfruttamento dei diritti economici e sociali dei lavoratori e delle lavoratrici. La crescita serve quando permette garantire diritti e molto spesso non sta avvenendo così in America Latina.

Nella sua ricerca “Privilegi, che negano diritti. Estrema disuguaglianza e sequestro della democrazia in America Latina e nei Caraibi “[1] lei ha affermato che i cosiddetti sistemi democratici funzionano come “democrazie sequestrate, dove le élite politiche ed economiche modellano le regole ed utilizzano lo Stato per mantenere i loro privilegi a scapito dei diritti di molti/e. Nella nostra relazione proponiamo molteplici politiche che sono efficaci nella lotta contro la disuguaglianza e la povertà ma il primo passo è avere la volontà politica di governare per le maggioranze.” Qual è il rapporto tra povertà e disuguaglianza? Come lei associa democrazia e disuguaglianza?

Oxfam [2] è un’organizzazione internazionale il cui scopo principale è quello di combattere la povertà. A tal fine abbiamo più di cinquanta anni di lavoro con le organizzazioni comunitarie, con organizzazioni di donne ed in piena collaborazione con altri gruppi, e ci rendiamo conto che quando ti concentri solo nell’attaccare la povertà, non la risolvi in maniera strutturale; mentre se ci si concentra di più sulla disuguaglianza e vedi un rapporto dinamico tra la povertà e la ricchezza, tra l’esclusione e le garanzie, capisci dove sono i nodi che potrebbero smantellare la povertà in maniera strutturale. Così quando riduci la disuguaglianza, riduci in una maniera più permanente la povertà, in altre parole, getti le fondamenta affinché la povertà non torni a riprodursi.

L’eliminazione della povertà non consiste solo nel garantire un migliore ingresso monetario, ma nel favorire che le voci siano ascoltate, che gli interessi di grandi popolazioni siano messi sul tavolo e siano garantiti. In questa stessa ottica, il tema connette con la democrazia, con la capacità che ha il sistema democratico di livellare gli interessi di una società, di difendere gli interessi delle maggioranze sui privilegi di pochi. Questo è uno dei ruoli che deve avere la democrazia, quindi democrazia, povertà e disuguaglianza formano un cerchio che, se fosse virtuoso, dovrebbe garantire i diritti delle grandi maggioranze. Non come è accaduto in gran parte dell’America Latina, in cui le politiche pubbliche si progettano, molto spesso, per difendere gli interessi di pochi privilegiati, eliminando la possibilità di gran parte della popolazione di contare sui loro diritti economici e sociali.

Come relaziona i processi elettorali e le riforme fiscali?

E’ difficile per la popolazione assumere le riforme fiscali, tributarie come un processo vantaggioso. La cittadinanza deve rifornire lo Stato con le sue imposte ed in cambio, si aspetta di ricevere servizi di qualità. Quando i governi non hanno sufficiente trasparenza al momento di spiegare come utilizzano le risorse pubbliche o la popolazione non si sente soddisfatta dei servizi pubblici, non vorrà più contribuire allo Stato attraverso le le imposte. Necessita un interscambio, quindi è importante che nei processi elettorali la popolazione sappia che il sistema fiscale è garante dei suoi diritti e possa prendere posizione non solo per quanto riguarda i servizi pubblici, ma come questi devono essere finanziati. Quindi questo dovrebbe essere un tema centrale dei dibattiti riguardo i processi elettorali, in cui la cittadinanza partecipa e può esprimere in che modo le interessa il suo rapporto con il sistema tributario e fiscale, e quindi con i servizi pubblici.

Approcci che difendono le relazioni presentate dalla Campagna Uguali, affrontando il tema della ricchezza estrema, potrebbero suggerire che v’è invidia dietro tale visione. Come risponderebbe alle persone che pensano che attaccare i ricchi o le grandi ricchezze, ha alle spalle un sentimento d’invidia?

Il problema non è la ricchezza, ma il suo livello di concentrazione. In America Latina ci sono 32 persone che concentrano tanta ricchezza come 300 milioni di persone di tutta la regione. Si tratta di una livello estremo di concentrazione che uno quasi non può neppure immaginare i volumi di ricchezza che stanno gestendo poche mani. Tale livello di concentrazione non è il risultato dello sforzo; da un lato è il frutto di secoli di accumulazione, basata su strutture coloniali e di esclusione. D’altro lato, è il risultato di politiche pubbliche che propiziano tale situazione. Sistemi democratici che non stanno garantendo che le politiche pubbliche s’indirizzino a che i diritti di tutti/e siano presi in considerazione, ma che privilegiano pochissime famiglie.

Stiamo parlando di 32 persone in America Latina e se si va paese per paese, tu trovi 100, 200 famiglie che concentrano gran parte della ricchezza. La ricchezza non è solo ricchezza, è anche potere e ciò perverte il sistema democratico. Quando ci parlano di invidia o ci accusano di voler attaccare i ricchi, è importante che si capisca che ciò che stiamo proponendo è la necessità di una migliore redistribuzione della ricchezza, che beneficerebbe le grandi maggioranze, ma anche beneficerebbe le élite che hanno bisogno di un sistema economico che cresca e con livelli di concentrazione così elevati persino la stessa crescita economica si vede colpita. Le grandi maggioranze non sono capaci di consumare o richiedere ciò che producono quelle stesse élite attraverso i loro settori produttivi.

Da dove proviene la ricchezza in queste poche mani, dal loro lavoro?

Analizzando l’origine delle grandi fortune dei grandi miliardari latinoamericani, più della metà sono ereditate, provengono dalle loro famiglie, da decenni, secoli di accumulazione. Pochi di loro l’ hanno ottenuta dai propri sforzi, mediante imprese che hanno fondato e gestito e a cui devono questi livelli di accumulazione. Ma la concentrazione è così alta che in qualsiasi caso hanno contato su politiche pubbliche che li hanno beneficiato nel sistema finanziario, ad esempio, la mancanza di regolamentazione dei monopoli, che gli ha permesso livelli di accumulazione molto elevati. Questo è il caso del monopolio delle telecomunicazioni di Carlos Slim -il latinoamericano più ricco del mondo-, che costò ai messicani pagare servizi di telefonia a più del doppio del prezzo a cui si sarebbero potuti fornire, se a Carlos non si fosse dato il controllo totale di tale settore.

Come pensi che si possa porre fine alla povertà?

Per porre fine alla povertà bisogna garantire i diritti delle grandi maggioranze. L’unica reale possibilità di far ciò è riducendo i privilegi di pochi. Bisogna toccare certi interessi se si vuole, realmente, garantire gli interessi delle grandi maggioranze. In un sistema democratico ci sono conflitti di interesse intorno alla definizione delle politiche pubbliche. Garantire quelli degli uni implica ridurre quelli degli altri. Non si tratta di toglierli, ma di redistribuire meglio.

Quando si può dire che , un sistema fiscale, fa prevalere l’efficienza, sulla giustizia?

Per esempio un sistema fiscale dove prevale l’efficienza, sulla giustizia, si basa su imposte sui consumi, che sono spesso più facili da raccogliere. Quello che succede è che tale tipo di imposte rende i poveri più poveri, poiché questi strati di popolazione non sono in grado di risparmiare, tutti gli introiti che hanno li consumano. Così sono sistemi che fanno pagare di più a quelli che hanno meno, danno priorità all’efficienza della raccolta sulla giustizia tributaria, che significherebbe far pagare di più a coloro che più hanno. L’attuale struttura dei sistemi fiscali in America Latina continuano a riprodurre la disuguaglianza.

Alicia Bárcena, Segretaria Esecutiva della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL), ha detto che “quello che sta facendo ora Cuba è modernizzare il suo settore produttivo per renderlo più efficiente, con la chiarezza che i diritti sociali sono irrinunciabili”. Cosa direbbe ai cubani/e, dopo aver studiato il contesto latinoamericano come lei ha fatto?

I progressi compiuti dalla Rivoluzione cubana, nel garantire i diritti economici e sociali, sono altissimi; i livelli educativi o di salute sono incomparabili con i livelli di altri paesi della regione. Nel processo di trasformazione che si sta promuovendo a Cuba, è importante notare che questi diritti non solo devono essere mantenuti, ma anche rafforzati, e d’altra parte, la progettazione di politiche pubbliche -ed in particolare della politica fiscale che è centrale- deve concepirsi tenendo conto della necessità che le brecce o le disuguaglianze non aumentino con il potenziamento del settore non statale.

Questo è possibile se le politiche pubbliche sono progettate per garantire non solo che raccogliamo di più ma che si faccia in modo giusto. Questa è una grande sfida ed allo stesso tempo una grande possibilità per la società cubana di continuare a proteggere i suoi successi ed, allo stesso tempo, prepararsi affinché essi non siano posti in gioco in questa nuova fase.

[1] Per il rapporto completo ‘Privilegi che negano diritti. Estrema disuguaglianza e sequestro della democrazia in America Latina e nei Caraibi’, visitahttps://www.oxfam.org/es/informes/privilegios-que-niegan-derechos

[2] http://www.oxfam.org


Rosa Cañete: “Defender los intereses de las mayorías sobre los privilegios de unos pocos”

Por Tamara Roselló e Iroel Sánchez

Entrevista a la economista Rosa Cañete, coordinadora de la Campaña Iguales de Oxfam, quien posee una larga experiencia de trabajo e investigación en países de América Latina con organismos como el Programa de las Naciones Unidas para el Desarrollo (PNUD), la Comisión Económica para América Latina (CEPAL) y la propia Oxfam.

Los economistas suelen insistir en las bondades del crecimiento económico, pero usted ha afirmado que el crecimiento por sí mismo no es bueno. ¿Por qué?

El crecimiento es un medio, no un fin en sí mismo, no es un objetivo final, por lo tanto funciona cuando colabora con la satisfacción de las necesidades de la sociedad. El crecimiento puede no respetar al medio ambiente, ni los derechos de las mujeres, o basarse en la explotación de los derechos económicos y sociales de los trabajadores y las trabajadoras. El crecimiento sirve cuando permite garantizar derechos y muy a menudo no ha estado ocurriendo así en América Latina.

En su investigación “Privilegios que niegan derechos. Desigualdad extrema y secuestro de la democracia en América Latina y el Caribe”[1] usted ha afirmado que los llamados sistemas democráticos funcionan como “democracias secuestradas, en las que las élites políticas y económicas moldean las reglas y utilizan al Estado para mantener sus privilegios a costa de los derechos de muchos y muchas. En nuestro informe planteamos múltiples políticas que son efectivas en la lucha contra la desigualdad y la pobreza pero el primer paso es tener la voluntad política de gobernar para las mayorías.” ¿Cuál es la relación entre pobreza y desigualdad? ¿Cómo asociaría usted democracia y desigualdad?

Oxfam [2] es una organización internacional cuyo fin principal es luchar contra la pobreza. Con ese propósito llevamos más de cincuenta años trabajando con organizaciones comunitarias, con organizaciones de mujeres y en plena alianza con otros grupos, y nos damos cuenta que cuando te centras solo en atacar la pobreza, no la resuelves de manera estructural; mientras que si te enfocas más en la desigualdad y ves una relación dinámica entre la pobreza y la riqueza, entre la exclusión y las garantías, entiendes dónde están los nudos que podrían desmontar la pobreza de una manera estructural. Por lo tanto cuando reduces desigualdad, reduces de una manera más permanente la pobreza, en otras palabras, sientas las bases para que esa pobreza no se vuelva a reproducir.

La eliminación de la pobreza no consiste solo en garantizar un mejor ingreso monetario, sino en propiciar que las voces sean escuchadas, que los intereses de grandes poblaciones sean puestos sobre la mesa y sean garantizados. En esa misma línea, el tema conecta con la democracia, con la capacidad que tenga el sistema democrático de nivelar los intereses de una sociedad, de defender los intereses de las mayorías sobre los privilegios de unos pocos. Ese es uno de los roles que debe tener la democracia, por lo tanto, democracia, pobreza y desigualdad conforman un círculo que, si fuera virtuoso, debería garantizar los derechos de las grandes mayorías. No como ha ocurrido en gran parte de América Latina, donde las políticas públicas se diseñan, muy a menudo, para defender los intereses de unos pocos privilegiados, eliminando la posibilidad de grandes partes de la población de contar con sus derechos económicos y sociales.

¿Cómo relaciona los procesos electorales y las reformas fiscales?

Es difícil para la población asumir las reformas fiscales, tributarias, como un proceso beneficioso. La ciudadanía tiene que aportar al Estado con sus impuestos y a cambio, espera recibir servicios de calidad. Cuando los gobiernos no tienen suficiente transparencia a la hora de explicar cómo utilizan los recursos públicos, o la población no se siente satisfecha con los servicios públicos, no querrá aportar más al Estado a través de los impuestos. Necesita un intercambio, por eso es importante que en los procesos electorales la población sepa que el sistema fiscal es garante de sus derechos y pueda posicionarse no solo con respecto a los servicios públicos, sino en cómo estos deben ser financiados. Por lo tanto ese debería ser un tema central de los debates alrededor de los procesos electorales, en el que la ciudadanía participe y pueda expresar cómo le interesa su relación con el sistema tributario y fiscal, y por ende, con los servicios públicos.

Enfoques que defienden los informes presentados por la Campaña Iguales, abordando el tema de la extrema riqueza, podrían hacer pensar que hay envidia detrás de esa mirada. ¿Qué respondería a las personas que piensan que atacar a los ricos o a las grandes riquezas, tiene tras de sí un sentimiento de envidia?

El problema no es la riqueza sino su nivel de concentración. En América Latina hay 32 personas que concentran tanta riqueza como 300 millones de personas de toda la región. Es un nivel de concentración extremo que uno casi no puede ni imaginar los volúmenes de riqueza que están manejando unas pocas manos.

Ese nivel de concentración no es resultado del esfuerzo, por un lado es fruto de siglos de acumulación, basada en estructuras coloniales y de exclusión. Por otro lado, es el resultado de políticas públicas que propician esa situación. Sistemas democráticos que no están garantizando que las políticas públicas vayan a que los derechos de todas y todos sean tenidos en cuenta, sino que privilegian a muy pocas familias.

Estamos hablando de 32 personas en América Latina y si vas país por país, te encuentras 100, 200 familias que concentran gran parte de la riqueza. La riqueza no es solo riqueza, también es poder y eso pervierte el sistema democrático. Cuando nos hablan de envidia o nos acusan de querer atacar a los ricos, es importante que se entienda que lo que estamos planteando es la necesidad de una retristribución mejor de la riqueza, que sería beneficiosa para las grandes mayorías, pero incluso, beneficiaría a las élites que necesitan un sistema económico que crezca y con niveles de concentración tan altos hasta el propio crecimiento económico se ve afectado. Las grandes mayorías no están siendo capaces de consumir o demandar lo que producen esas mismas élites a través de sus sectores productivos.

¿De dónde proviene la riqueza en estas pocas manos, de su trabajo?

Al analizar el origen de las principales fortunas de los grandes multimillonarios de América Latina, más de la mitad son heredadas, vienen de sus familias, de décadas, siglos, de acumulación. Pocos de ellos lo han conseguido por su propio esfuerzo, mediante empresas que han fundado y gestionado y a las que deban esos niveles de acumulación. Pero la concentración es tan alta, que en cualquier caso han contado con políticas públicas que los han beneficiado en el sistema financiero, por ejemplo, la falta de regulación de los monopolios, que les ha permitido niveles de acumulación muy altos. Ese es el caso del monopolio de las telecomunicaciones de Carlos Slim -el latinoamericano más rico del mundo-, que le costó a los mexicanos pagar servicios de telefonía a más del doble del precio que se hubiera podido proveer, si a Carlos no se le hubiera entregado el control total de ese sector.

¿Cómo cree que se pueda acabar con la pobreza?

Para acabar con la pobreza hay que garantizar los derechos de las grandes mayorías. La única posibilidad real de ello es reduciendo los privilegios de unos pocos. Hay que tocar ciertos intereses si quieres realmente garantizar los intereses de las grandes mayorías. En un sistema democrático existen conflictos de intereses alrededor de la definición de las políticas públicas. Garantizar los de unos, implica reducir los de otros. No se trata de quitárselos, pero sí de repartirlos mejor.

¿Cuándo se puede decir que prima eficiencia sobre justicia en un sistema fiscal?

Por ejemplo un sistema fiscal donde prima la eficiencia por encima de la justicia, se basa en impuestos al consumo, que suelen ser más fáciles de cobrar. Lo que ocurre es que este tipo de impuestos hace a los pobres más pobres, pues esas capas de la población no son capaces de ahorrar, todo el ingreso que tienen lo consumen. Entonces son sistemas que hacen pagar más a los que menos tienen, priorizan la eficiencia recaudatoria por encima de la justicia tributaria, que implicaría hacer pagar más a los que más tienen. La estuctura actual de los sistema ficales en América Latina siguen reproduciendo la desigualdad.

Alicia Bárcena, Secretaria Ejecutiva de la Comisión Económica para América Latina y el Caribe (CEPAL), ha dicho que “lo que está haciendo ahora Cuba es modernizar su sector productivo para que sea más eficiente, con la claridad de que los derechos sociales son irrenunciables”. ¿Qué le diría a las cubanas y cubanos, después de estudiar el contexto latinoamericano como lo ha hecho usted?

Los avances que ha tenido la Revolución cubana en la garantía de derechos económicos y sociales son altísimos, los niveles educativos o de salud son incomparables con los niveles de otros países de la región. En el proceso de transformaciones que se está impulsando en Cuba, es importante tener en cuenta que esos derechos no solo hay que mantenerlos, sino también refortalecerlos, y por otro lado, el diseño de las políticas públicas -y en particular de la política fiscal que es central- debe concebirse tomando en cuenta la necesidad de que las brechas o las desigualdades no aumenten con el fortalecimiento del sector no estatal.

Eso es posible si las políticas públicas son diseñadas para garantizar no solo que recaudamos más sino que se haga de manera justa. Ese es un gran reto y al mismo tiempo una gran posibilidad que tiene la sociedad cubana, de seguir protegiendo sus logros y a la vez, prepararse para que no sean puestos en juego en esta nueva etapa.

[1] Para el informe completo Privilegios que niegan derechos. Desigualdad extrema y secuestro de la democracia en América Latina y el Caribe, visite https://www.oxfam.org/es/informes/privilegios-que-niegan-derechos

[2] http://www.oxfam.org

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