Vivo, come non ti volevano

Raccontano che l’assassino trasudava paura e che quell’uomo ferito, disarmato, magro e debole gli disse : «Fatti forza, mira bene! Lei sta per uccidere un uomo!»

Pochi secondi dopo il Che smetteva di respirare e in quell’istante così terreno nasceva al mondo uno dei suoi più grandi paradigmi: quello della ribellione e dell’impegno, della lealtà, del coraggio, della valore e dell’attaccamento alle cause più abbandonate.


Il boia uccise ma il Guerrigliero visse.

Non lo raccontano ma l’ho vissuto, che 20 anni fa in un pomeriggio il silenzio invase Santa Clara mentre per le sue strade transitava un doloroso corteo funebre. Neanche il vento osava passare. Io ero una pioniera con l’uniforme color senape e dall’alba ero appostata in un punto della Carretera Central che non ricordo, con molti altri, in un cordone interminabile, accompagnando le ceneri del Che per tutto il paese.

Alcuni giorni prima la maestra, nei suoi momenti liberi ci aveva copiato sulla lavagna le parole della canzone Son los sueños todavía, di Gerardo Alfonso, e la cantavamo tutta, affascinati, come la conoscessimo da tutta la vita.

Ricordo ancora il microsecondo che durò il passaggio di quella carovana a lutto davanti allo spazio che occupavo da ore e quell’istante di luce in cui i miei dieci passi di bambina percorsero il luogo in cui le sue ceneri restarono per far sì che il popolo di Santa Clara gli desse il benvenuto.

Poi vennero gli anni di studio nella scuola per vocazioni Ernesto Guevara, quando divenne una volta per tutte l’uomo da seguire, l’eroe del giorno dopo giorno.

Dopo la laurea  camminammo sui suoi passi sino al Quartier Generale di Caballete de Casas, nell’Escambray, e nel mezzo di quei paraggi insoliti per una ragazza di città caddi  definitivamente bocconi di fronte a quell’uomo che, affogato dall’asma, vinse quella e tante altre Sierre.

Per questo domenica 8 ottobre, quando a Santa Clara spuntava il giorno e la Piazza si riempiva di persone, l’ho sentito più vivo che mai.

L’ho visto seduto vicino al combattente che in una vecchia uniforme verde olivo aveva posto tutte le medaglie della sua vita ; l’ho visto conversare con il bambino che ancora senza fazzoletto, temeva di dimenticarsi nell’ora decisiva il lemma dei pionieri moncadisti ; l’ho visto tra i giovani  latinoamericani che studiano medicina a Santa Cara; l’ho visto vicino ad Aleida e camminare con Raúl.

Il Che era lì tra la gente che 50 anni dopo lo segue piangendo come nel giorno  in cui partì e ci lasciò quella lettera tremenda in cui aveva scritto che il suo ultimo  pensiero sarebbe stato per Fidel e per il popolo cubano, il mio popolo…

E cinque decenni dopo lo vedo a La Higuera, così lontano da quest’Isola che era stata casa sua, tanto lontano dal Comandante in Capo, da sua moglie, dai suoi figli, in faccia alla morte, eretto, vincitore, con la testa alta, sfidando la vita per l’ultima volta: «Lei sta per ammazzare un uomo», disse e il boia lo uccise, ma il Che è vissuto e Santa Clara questo lo sa a memoria.

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