Martí è il progetto

O. Rafael García Lazo https://lapupilainsomne.wordpress.com

Di fronte all’imponente caserma Moncada di Santiago di Cuba giunge l’inevitabile domanda: come hanno avuto il coraggio? Possono esserci molte risposte: il piano, il momento festivo, il fattore sorpresa, l’indignazione, il coraggio. Ma nessuna riempie il dubbio.

Il capo dell’azione ha chiarito quando ha indicato l’autore intellettuale. Ad un appuntamento del genere, dove la visione non arriva a vedere i possibili giri degli eventi e si arriva alla conclusione che è tutto o niente, era necessario andare con le idee di Martí nel petto.

Per capirlo, non bastano gli Zapaticos de Rosa (Scarpette di Rosa, poesia ndt), un racconto dell’Età dell’Oro, o Nostra America. Si merita una profonda immersione nell’opera e nel comportamento di quell’uomo. Il primo potrà seminare lo stimolo, il secondo è una necessità storica per conservarci come Nazione.

I percorsi martiani portano, inevitabilmente, ad un progetto non nazionale, non continentale, neppure globale. Era, è, un progetto per una redenzione radicale dell’essere umano. Nell’Età dell’Oro, Martí lo annuncia, perché erano i bimbi d’America, quest’area di confluenza di culture, di ebollizione tellurica, di parto doloroso, quelli che avrebbero dovuto crescere in modo diverso e incanalare la storia in una nuova direzione.

Ogni scala ha un primo gradino e questo era Cuba. Il suo pezzo di patria, il suo fertile semenzaio. E benché lo avrebbe fatto per amore e convinzione, ad ogni costo, ha intrapreso la lotta, inoltre, perché osservò come nessuno che salvando e migliorando la Nazione nata nella Demajagua, l’America, la nostra, avrebbe l’opportunità attesa, ed il disprezzo del Nord sarebbe mutato in rispetto ed il mondo sarebbe andato in uno stato di equilibrio.

Quello è il tronco del progetto, e le sue radici sono la cultura, nella sua espressione più ampia, creativa e sostanziale: il sapere, la ragione, la bellezza, il sentimento ed il bene. Il tronco non potrebbe innalzarsi senza una base uguale o lasciare il posto al fogliame delineando la nuova politica, il diverso modo di fare e dirigere, la sua arte del possibile per ottenere il falsamente impossibile. E in cima all’albero le foglie più verdi: l’uguaglianza, la giustizia ed il bene comune, circondate da altri: la prosperità, il benessere, la fraternità, la solidarietà, la pace.

Perciò ottenne quello che sembrava una chimera: unire i cubani, tutti quelli disposti ad amare, crescere e creare, disdegnando gli sbarbatelli, i pusillanimi, coloro che non hanno avuto né hanno fiducia nella loro terra. Ai buoni li stava imbastendo, mettendo in ogni vuoto quello che mancava loro. Mettendo in ogni fenditura, il balsamo redentore. Unì con la coscienza, la riflessione e l’esempio personale. E mostrò loro la speranza e restituì loro la fiducia.

Mise un Partito nelle loro mani, uno solo, perché uno era il progetto. E nella sua edificazione delineò la Repubblica, nuova e solidaria, con cui avremmo guardato di fronte la nuova Roma, e gli avremmo sottratto la forza necessaria per cadere sull’America meticcia.

Ciò che il male non poteva fare, fragile di fronte alla forza del suo bene e della sua sagace sincerità, l’ottennero i proiettili quel fatidico giorno di maggio. E si allontanò il sogno. E la fitta nebbia che coprì la Nazione solo iniziò a dissipare quell’alba di Santa Ana, quando l’Apostolo rinacque con cento anni e l’America cominciava ad essere libera.

Fino ad oggi si è costruito, ma l’opera richiede argilla nobile e dura, etica, definizione precisa e fraterna unità. Senso del momento storico ci ha anche richiesto il figlio maggiore della Patria; e unità e capacità per affrontare i poteri di sempre, che sono in agguato come ieri. Tale forza si raggiunge con l’essenza martiana, da cui Fidel ha bevuto.

Nel prenderci cura del progetto e incoraggiare la semina ci convoca il presente. E benché se non ci sarà fortuna senza prosperità, l’enfasi non può essere sola in quella parte del fogliame. Cerchiamo allora di essere prosperi e buoni, ma non smettiamo di essere colti -martiani- per continuare a rimanere liberi.


Martí es el proyecto

Por: Omar Rafael García Lazo

Frente al imponente Cuartel Moncada de Santiago de Cuba llega la inevitable pregunta: ¿Cómo tuvieron el valor? Pueden existir muchas respuestas: el plan, el momento festivo, el factor sorpresa, la indignación, el coraje. Pero ninguna llena la duda.

El jefe de la acción lo dejó claro cuando señaló al autor intelectual. A una cita como aquella, donde la visión no alcanza a ver los posibles giros de los acontecimientos y se llega a la conclusión de que es todo o nada, había que ir con las ideas de Martí en el pecho.

Para comprenderlo no bastan los Zapaticos de Rosa, un cuento de la Edad de Oro, o Nuestra América. Se amerita una inmersión profunda en la obra y el proceder de aquel hombre. Lo primero podrá sembrar el estímulo, lo segundo es necesidad histórica para conservarnos como Nación.

Los senderos martianos llevan inevitablemente a un proyecto no nacional, no continental, ni siquiera global. Era, es, un proyecto para una radical redención del ser humano. En la Edad de Oro Martí lo anuncia, porque eran los niños de América, esta zona de confluencia de culturas, de ebullición telúrica, de parto doloroso, los que tendrían que crecer distintos y encausar la historia por un nuevo rumbo.

Toda escalera tiene un primer peldaño y ese era Cuba. Su pedazo de patria, su fértil semillero. Y aunque lo haría por amor y convicción a cualquier precio, emprendió la lucha, además, porque observó como nadie que salvando y potenciando la Nación parida en La Demajagua, América, la nuestra, tendría la oportunidad esperada, y el desprecio del Norte mutaría a respeto y el mundo transitaría a un estado de equilibrio.

Ese es el tronco del proyecto, y sus raíces la cultura, en su más amplia, creativa y sustanciosa expresión: el saber, la razón, la belleza, el sentir y el bien. No podría el tronco empinarse sin base igual ni darle paso al follaje delineando la nueva política, la forma distinta de hacer y guiar, su arte de lo posible para lograr lo falsamente imposible. Y en la cúspide del árbol las hojas más verdes: la igualdad, la justicia y el bien común, rodeadas de otras: la prosperidad, el bienestar, la fraternidad, la solidaridad, la paz.

Por eso logró lo que parecía quimera: unir a los cubanos, a todos los dispuestos a amar, crecer y crear, desdeñando a los siete mesinos, a los pusilánimes, a los que no tenían ni tienen fe en su tierra. A los buenos los fue hilvanando, poniendo en cada vacío aquello que les faltaba. Poniendo en cada mella, el bálsamo redentor. Unió con la conciencia, la reflexión y el ejemplo personal. Y les mostró la esperanza y les devolvió la confianza.

Puso en sus manos un Partido, uno solo, porque uno era el proyecto. Y en su edificación esbozó la República nueva y solidaria con la que miraríamos de frente a la nueva Roma, y se le restaría la fuerza necesaria para caer sobre la América mestiza.

Lo que no pudo la maldad, frágil ante la fuerza de su bien y de su sagaz sinceridad, lo lograron las balas aquel fatídico día de mayo. Y se alejó el sueño. Y la espesa niebla que cubrió a la Nación solo comenzó a disiparse aquella madrugada de Santa Ana, cuando renació el Apóstol con cien años y América comenzaba a ser libre.

Hasta hoy se ha construido, pero la obra demanda arcilla noble y dura, ética, definición inhiesta y fraternal unidad. Sentido del momento histórico nos exigió también el hijo mayor de la Patria; y unidad y capacidad para enfrentar los poderes de siempre, que acechan como ayer. Esa fuerza se alcanza con la esencia martiana, de la que bebió Fidel.

A cuidar el proyecto y fomentar la resiembra nos convoca el presente. Y aunque no habrá dicha sin prosperidad, el énfasis no puede estar solo en esa parte del follaje. Seamos entonces prósperos y buenos, pero no dejemos de ser cultos –martianos- para seguir siendo libres.

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