La situazione attuale in Venezuela

di Geraldina Colotti* – Editoriale per Radio Revolucion

Parliamo ancora di Venezuela, facendo appello alle convinzioni e alle intelligenze di quante e quanti non amano farsi prendere per i fondelli. Da chi? Dall’informazione addomesticata che coinvolge o paralizza per far passare la voce del padrone.

Nel coro di menzogne imperante, che si serve dei grandi media e martella quotidianamente sul Venezuela per obbligarci a guardare la storia dal buco della serratura, far filtrare una voce dissonante è un’impresa quasi disperata. Che presenta anche dei costi.

Eppure bisogna farlo. Soprattutto per noi, in questo clima pre-elettorale in cui sembra rinascere la voglia di politica, di una politica affidata al potere del popolo, e non ai balletti asfittici dei soliti noti.

Perché non si riesce a esprimere posizioni chiare in base a quello che nel grande Novecento si chiamava internazionalismo proletario e che fa parte del DNA dei comunisti? Perché si fa fatica a capire da che parte schierarsi e ci si involve in sempiterni distinguo? Non si dovrebbe invece ritrovarsi almeno su un punto, quello che ogni popolo ha diritto di decidere in modo sovrano?

Evidentemente no, visto che nel post-Novecento ci hanno ricattato con lacci e laccioli decisi dall’esterno, imposti da una classe politica imbelle e da una sinistra subalterna, che ha cambiato infinite casacche ma non le politiche antipopolari di cui sopportiamo i costi.

Qui si muore di lavoro, di insicurezza e di razzismo, ma tutti i governi sembrano preoccupati della situazione in Venezuela: dall’Italia all’Europa, all’America latina, e – prima di tutto – da quel glorioso stato filantropico che sono gli Stati uniti. Qualche dubbio non viene?

Eppure basterebbe guardare il profilo di questi “filantropi” e “l’umanitarismo” degli Stati – come la Colombia, il Perù o il Messico – che sono così preoccupati per la situazione in Venezuela ma non per la morsa criminale che impongono ai popoli dei propri paesi.

Per loro, il Venezuela sarebbe in “crisi umanitaria”. Ma allora perché impongono al paese un blocco economico-finanziario che stoppa i pagamenti all’estero e impedisce alle imprese di vendere cibo e medicinali per non finire sulla lista nera degli Stati uniti e dell’Europa? Adesso, l’obiettivo di questi “generosi filantropi” dal portafoglio gonfio, che spasimano per rimettere le mani sulle immense risorse del Venezuela, è: ingerenza umanitaria.

I venezuelani di Miami l’hanno chiesta a gran voce alla “comunità internazionale”.

“L’ingerenza umanitaria è un aiuto militare per disarmare un governo”, hanno dichiarato senza mezzi termini alla stampa, assicurando che il gruppo di impresentabili ex presidenti delle peggiori destre latinoamericane è molto ricettivo al riguardo.

Intanto, l’ex sindaco della Gran Caracas ed ex golpista Antonio Ledezma, fuggito all’estero dopo essere uscito dal carcere per motivi di salute, gira il mondo a chiedere la stessa cosa: l’aggressione armata al suo paese per riportarlo nelle mani degli Usa. Intanto, le destre ben foraggiate che agiscono all’esterno, aggrediscono ambasciate, minacciano e organizzano grottesche manifestazioni, con numeri minuscoli ma con solidissimi appoggi nella stampa e nel potere. Anche in Italia. Anche a Firenze.

Da noi, il presidente venezuelano Nicolas Maduro viene dipinto come “dittatore”, e il socialismo bolivariano definito “illegittimo” nonostante abbia organizzato 24 elezioni in 18 anni, due delle quali vinte dall’opposizione. Dopo aver strillato ai quattro venti la richiesta di anticipare le presidenziali, le destre ora rifiutano di andare alle urne: perché non sanno più che pesci prendere, a parte quelli della via violenta favorita dagli Usa.

Ma se vogliono cacciare Maduro, se dicono di essere maggioranza, quale occasione migliore per dimostrarlo con il voto? No, perché quel sistema elettorale – quello stesso con cui hanno vinto le elezioni e di cui si servono per le loro primarie -, non gli piace. No, perché la costituzione bolivariana, che impedisce alle grandi imprese multinazionali di rimettere le mani sul paese, non gli piace. E così chiedono ai loro padrini un aiutino con l’ingerenza umanitaria. Che in Italia, però, diventa “intervento umanitario”.

Scompare, filantropicamente, quella “componente militare” esplicitata invece dal gruppo di Miami. Scompare come per la “guerra umanitaria”, che ha mascherato la distruzione di interi paesi: dalla Jugoslavia all’Iraq alla Libia e alla Siria.

“Abbiamo fame”, gridano i grandi borghesi di opposizione, tra un viaggio e una suite. Ma nella fretta di coglierne l’enfasi, sull’onda della ministra Fedeli e del post-moderno Di Maio, l’agenzia stampa trasforma la frase in “abbiamo fama”, riassumendo il vero senso dell’operazione. Un teatrino allestito a Firenze e via via in tutta Italia. Fino a quando vogliamo farci imporre anche questa pantomima?

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