Venezuela, si chiama “operazione Freedom 2”

Geraldina Colotti http://www.lantidiplomatico.it

Un’immagine diffusa da YVKE il 14 febbraio mostra il corpo di un uomo fulminato sui tralicci mentre tenta di compiere un attentato alla luce elettrica nella Subestación El Rincón, nello stato venezuelano del Zulia.

Zulia, uno dei 23 stati che compongono la Repubblica bolivariana, è ricchissimo di risorse (petrolio, gas naturale, carbone), ma anche zona agricola. La sua capitale, Maracaibo, è la seconda città del paese per importanza. Durante gli anni del chavismo, sia a livello municipale che statale, nel Zulia ha governato l’opposizione, incarnata dalla coppia Evelyn Trejo e Manuel Rosales.

Il candidato di opposizione, Juan Pablo Guanipa, aveva vinto anche alle regionali dell’ottobre scorso. Avendo, però, rifiutato di prestare giuramento davanti all’autorità plenipotenziaria rappresentata dall’Assemblea nazionale costituente, era stato inabilitato. Le elezioni si erano perciò ripetute a dicembre del 2017, nella stessa data delle comunali.

Omar Prieto, candidato del Psuv ha vinto allora con oltre il 57%, sopravanzando di quasi 700.000 voti i risultati ottenuti dal candidato inabilitato. L’opposizione ha invitato al boicottaggio e ha sicuramente pagato questa scelta, ma la sua forza nella regione è innegabile. Il Zulia, uno degli stati confinanti con la Colombia, è stato uno degli epicentri delle proteste violente contro il governo, ed è uno snodo determinante per ogni genere di traffico illegale: soprattutto il contrabbando di combustibile, favorito da una frontiera sterminata lunga 2.219 km.

Dal lato venezuelano si trovano 26.000 milioni di barili di petrolio certificati: una quantità superiore a tutto il petrolio che possiedono Messico, Colombia, Ecuador e Argentina messi insieme. Un motivo più che consistente – ha evidenziato mesi fa l’analista Luis Prieto – perché le grandi multinazionali considerino come una strategia da perseguire quella della “secessione” degli stati venezuelani che, unitamente al Zulia, costituiscono la cosiddetta “mezzaluna”: Tachira, Merida, Barinas e Apure.

L’interesse della Colombia nella creazione di uno “stato parallelo” della mezzaluna – ha spiegato ancora Prieto – è quello di avere uno sbocco al mare dei Caraibi attraverso il lago di Maracaibo e, per quella via, “una connessione commerciale diretta con l’est degli Stati uniti e con l’Europa”. Un elemento di geopolitica che spiega in parte il ruolo della Colombia neoliberista – considerata il gendarme degli Usa nel Latinoamerica come Israele lo è in Medioriente – nel vero e proprio assedio che i poteri forti stanno portando al socialismo bolivariano.

Balcanizzare il Venezuela attraverso un conflitto permanente, foraggiare infiltrazioni di paramilitari o movimenti secessionisti è stata ed è una strategia messa in campo dall’imperialismo fin da quando Chavez ha vinto le presidenziali del 1998. Attacchi che si sono intensificati in questi cinque anni di governo Maduro e che ora mirano a impedire che le elezioni del 22 aprile possano riconfermarlo presidente.

E’ infatti bastata una telefonata degli Usa perché l’impresentabile opposizione venezuelana rifiutasse “l’accordo di convivenza”, già sottoscritto nella Repubblica Dominicana dopo mesi di incontri con il governo. Che in un sistema democratico si debba ricorrere alla mediazione internazionale per evitare che l’opposizione faccia politica con le bombe non è certamente cosa consueta. Ma alla “comunità internazionale” non passa neanche per la testa di condannare il golpismo. Si deve sanzionare il governo bolivariano, benché si è messo alla prova del voto nel corso di 24 elezioni.

Contro il socialismo bolivariano, è in corso una guerra a bassa intensità che ha avuto diverse fasi e accenti e che spiega i continui allarmi lanciati dalla leadership chavista, derisa da una grancassa mediatica tutta schierata nel campo dei poteri forti.

Per la prima volta, Trump e i suoi vassalli hanno esplicitamente dichiarato che appoggeranno un colpo di stato in Venezuela. Il cosiddetto Gruppo di Lima – un gruppo di impresentabili presidenti neoliberisti dell’America latina – ha dichiarato Maduro persona non grata al Vertice delle Americhe, in programma il 13 e 14 aprile. Alla frontiera tra Colombia e Venezuela si ammassano truppe e paramilitari.

A difesa del popolo venezuelano e del suo diritto a decidere quale governo eleggere, si sono schierati apertamente solo Cuba – perennemente sotto attacco dell’imperialismo nordamericano – e la Bolivia di Evo Morales. Ma anche in Bolivia sono partiti i tentativi destabilizzanti e sono cominciati gli attentati. Tempi bui per l’integrazione latinoamericana messa in moto all’inizio di questo secolo grazie al grande esempio di Cuba.

Ora, il Venezuela è la trincea da abbattere. Il sabotaggio interno, quello dei transfughi all’estero e dei golpisti “angelicati” dall’Europa, le sanzioni e i pronunciamenti della “comunità internazionale”, sono le leve usate per la sovversione. Sempre il 14 febbraio, altri sabotaggi alla rete elettrica contro la subestacion Santa Teresa 3 (un’esplosione e un grosso incendio) hanno lasciato senza luce gran parte della Gran Caracas e dello Stato Miranda, ex feudo di opposizione, ora governato dal giovane chavista Hector Rodriguez.

Un grosso danno in un paese tropicale dove frigoriferi e congelatori sono essenziali. E disagi per viaggiatori e pendolari che usano la metropolitana. Gli operai del metro sono pronti all’autodifesa. Durante gli attacchi violenti del fascismo venezuelano, sono stati colpiti con bombe molotov, aggressioni fisiche e recentemente dagli incappucciati che hanno gettato per due volte bombe lacrimogene. Sono almeno 45 le persone morte fulminate durante sabotaggi alla rete elettrica.

Attacchi destabilizzanti che non turbano minimamente una certa sinistra europea: che sanziona uno stato sovrano come il Venezuela ed è pronta a bollare come “terrorista” chi tiri una pietra contro il sistema capitalista per chiedere casa, lavoro, sanità e istruzione gratuita. Diritti garantiti e tutelati in Venezuela nonostante la guerra economica, le sanzioni e il sabotaggio dei poteri forti. L’Italia è un paese senza memoria: quella addomesticata imposta dai vincitori dopo la sconfitta del ciclo di lotte degli anni ’70, ha demonizzato il conflitto di classe, capovolgendone obiettivi e valori.

Il 14 marzo del 1972 moriva su un traliccio dell’Enel il rivoluzionario internazionalista Giangiacomo Feltrinelli, nome di battaglia Osvaldo. Era un editore militante e aveva partecipato alla Resistenza contro il nazi-fascismo quand’era giovanissimo. Nel 1970 aveva fondato i Gruppi d’Azione Partigiana (i Gap), una delle prime organizzazioni armate di sinistra di quegli anni. Gli anni del grande Novecento, il secolo delle rivoluzioni, quando gridavamo nelle piazze che i veri “terroristi” erano i capitalisti e le loro finte democrazie. E che fosse un diritto dei popoli quello di spazzarli via.

Nel secolo delle “guerre umanitarie” e della “democrazia” esportata con le bombe, a salire sui tralicci sono invece i mercenari dell’imperialismo, celebrati come liberatori dal neocolonialismo europeo. In realtà, nei piani eversivi degli Usa, gli attentati alla rete elettrica e alle infrastrutture sono parte dell’obiettivo N. 6 della denominata operazione “Venezuela Freedom-2”.

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