Casa de las Américas

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Con un linguaggio diretto e indignato, Casa de las Américas, uno dei centri culturali più prestigiosi dell’America Latina e del mondo, lancia un allarme e un appello per affrontare e denunciare l’accerchiamento a cui è sottoposto il Venezuela per ordine imperiale. Cuba, dove ha sede l’istituzione culturale, ha un’esperienza di più di mezzo secolo di accerchiamento, assedio, blocco, isolamento, destabilizzazione e sabotaggi;  usa, solitamente, i toni del dialogo e della dialettica ma, di fronte al vergognoso ritiro dell’invito del Perù al Venezuela bolivariano di partecipare al Vertice delle Americhe, l’indignazione è sacrosanta.

Il Venezuela di oggi non sarà il Cile del 1973

 

Le minacce del lugubre Donald Trump di intervenire in Venezuela con le armi allo scopo di eliminare finalmente il progetto sociale iniziato da Hugo Chávez, hanno messo in marcia un meccanismo progettato per estendersi sui due mesi che ci separano dal VII Vertice delle Americhe, convocato per il 13 aprile a Lima. Finirà davvero in un intervento, o no? Sapranno attendere fiduciosi quelli che, a partire dalla risorta Dottrina Monroe, si credono padroni dell’America per giustificare un’aggressione dal quel Vertice? Otterranno una risoluzione spuria che pretenda delegittimare le elezioni di fine mese? Faranno precipitare equazioni militari se i loro calcoli mostreranno incertezza rispetto allo scopo di ottenere l’appoggio regionale? Il primo passo è stato quello di costituire un gruppo di dodici governi genuflessi, chiamato Gruppo di Lima, per obbligare il Presidente del Perù a ripensare all’invito a partecipare rivolto al Venezuela.

Le minacce non possono essere limitate a pura retorica, ma il corso degli avvenimenti sarà determinato dalle varianti che si dispiegheranno in questa lotta di resistenza. La prima cosa da sottolineare è la capacità dimostrata da Nicolás Maduro di mantenere la sovranità che impone la fedeltà al modello bolivariano contro le strategie di strangolamento all’interno del Venezuela e gli avanzamenti dell’offensiva restauratrice neoliberale in atto nel continente.

L’insistenza del cancelliere statunitense, il magnate del petrolio Tillerson, e del senatore pseudocubano Marcos Rubio con il suo appello a dividere le forze armate venezuelane rivela chiaramente che non hanno trovato brecce in grado di renderlo possibile e proprio per questo si vedono costretti a portarlo avanti in maniera criminale per fare del Venezuela di oggi quello che l’impero (all’epoca guidato da due delinquenti, Nixon e Kissinger) ha fatto del Cile martirizzato del 1973. Diffondono questa voce, allo stesso tempo, per rassicurare l’oligarchia e per intimidire il popolo venezuelano. E per organizzare fin da ora, senza nessuna vergogna, la disponibilità dei loro burattini della regione ad assumere il ruolo di alleati negli abietti compiti che gli impongono. Per questo motivo, l’alleanza civico-militare costituisce in Venezuela il punto di forza per il mantenimento dell’indipendenza, della democrazia e degli interessi della società nel senso più completo.

La macabra ingegnosità dell’impero ha raggiunto ai giorni nostri, i giorni luttuosi di Trump, un livello di spudoratezza e di impunità che fa del nazismo un precursore opaco, immaturo e imperfetto. Per questo, sarebbe ingenuo credere che qualsiasi vittoria popolare possa essere di per sé definitiva. Bisogna prepararsi a difendere con la vita ciò che si è conquistato e ciò potrebbe essere possibile raggiungere da parte del popolo. Naturalmente, la miglior vittoria di un paese pacifico di fronte alla realtà dell’aggressione e dell’occupazione a ferro e fuoco sarebbe riuscire ad evitarla senza concessioni di principio: quella della pace conquistata con la forza della resistenza. Perché tentennare non porta alla pace, porta al ritorno della debolezza. Cavarsela di fronte ad una minaccia immediata significherà sempre guadagnare terreno per le prossime sfide.

Ed è talmente importante che il nemico imperiale ne ha paura e per questo si impegna a fondo a portare a compimento i suoi propositi a breve termine. La permanenza e la vitalità del progetto bolivariano sono la spina più dolorosa conficcata nella sua gola, sia per quello che significa bilateralmente per il colonialismo energetico che, in non minore scala, perché è la pietra angolare di un’alternativa latinoamericana e caraibica che Washington aveva creduto di neutralizzare isolando Cuba.

Come si ricorderà, la frustrazione più recente del dominio degli Stati Uniti nella regione si è avuta nel Vertice di Mar del Plata nel 2005. Le politiche di Lula, in sintonia con quelle di Chávez e con quelle del padrone di casa argentino, Néstor Kirchner, riuscirono a bloccare l’imposizione del Trattato di Libero Commercio (ALCA) grazie al quale sarebbe diventata generale una norma di imposizione economica che sarebbe stato impossibile modificare nella pratica, volendo riscattare la sovranità perduta. Insieme a quel IV Vertice dei Capi di Stato ebbe luogo, con un protagonismo molto attivo, il III Vertice dei Popoli, che metteva in guardia rispetto alla posizione dei governi vacillanti: o votavano contro l’ALCA o votavano contro i popoli. La maggioranza ha votato contro l’ALCA. In questo modo si è potuto evitare un esito tragico per i paesi dell’America Latina e del Caribe.

I popoli latinoamericani e del Caribe permetteranno, senza una mobilitazione come quella di allora, che un branco di governi sottomessi alle richieste della Casa Bianca, imposti in molti casi contro la volontà popolare, attraverso percorsi illegittimi, che da Lima si attenti contro la libertà, la sovranità e la solidarietà consacrate dal progetto bolivariano e chavista rappresentato adesso da Nicolás Maduro?

Casa de las Américas, La Habana, 16 febbraio 2018

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