Cuba nei media: consenso informativo ed interessi di classe

José Manzaneda http://www.cubasocialista.cu

Coordinatore di Cubainformacion TV. Responsabile dei media dell’Associazione di Amicizia Euskadi-Cuba

Il consenso informativo su Cuba

L’industria dell’informazione e della comunicazione è il motore ideologico per la fabbricazione dell’imprescindibile consenso nella legittimazione del sistema capitalista globale (1). Le principali reti televisive, le produzioni di cinema commerciale, le stazioni radio, i giornali di grande tiratura e le altre grandi imprese del settore delle comunicazioni di massa realizzano una gestione privata di un servizio pubblico trascendentale per la sua influenza politica e sociale: la selezione delle agende informative rilevanti per la cittadinanza, delle opinioni di esperti che quella deve considerare per forgiare le sue opinioni, delle tendenze, valori, stili di vita e modelli di consumo da imitare e, naturalmente, dei modelli di condotta politica che è necessario escludere o condannare.

L’universo informativo è configurato da e per un piccolo gabinetto di imprenditori da un’ideologia che accompagna e difende i loro interessi di classe. Non è quindi sorprendente che tali produttori di informazione e di altri servizi di comunicazione abbiano tra gli anteriormente citati modelli escludibili o condannabili la Rivoluzione Cubana, classificata, nell’universo semplificatore dei media, come “regime castrista”.

Le informazioni su Cuba, nella sua stragrande maggioranza, ci giunge carica di una opinione che contamina tutti i supporti, dalle notizie e cronache scritte fino alle immagini fotografiche e video. Un consenso ben definito nei media più rappresentativi ed influenti che presenta come impraticabile, ingiusto e antidemocratico il modello cubano di sviluppo ed il suo sistema politico ed economico.

Presenza sproporzionata

Un primo appunto sul trattamento informativo delle notizie su Cuba è lo sproporzionato numero di queste in relazione a fattori quali la scarsezza sull’isola di eventi spettacolari o fatti socialmente drammatici, tanto redditizi per l’industria mediatica; lo scarso peso dell’economia cubana e la sua debole influenza nel gioco del commercio internazionale; e la sua piccola dimensione come paese di poco più di 11,2 milioni di abitanti (2).

Questo gigantismo informativo su Cuba risponde, in modo evidente, a un’intenzionalità editoriale legata all’anteriormente citato consenso giornalistico, coerente con la matrice ideologica dell’intera industria dell’informazione e della comunicazione.

Chiavi del trattamento informativo

Questo consenso giornalistico che carica, a priori, testi, voci ed immagini su Cuba si riflette in una serie di chiavi di trattamento informativo, che si possono riassumere nelle seguenti:

La selezione di eventi giornalistici legati ad aspetti della società cubana che possono essere presentati come negativi.

L’esagerazione e il sovradimensionamento degli stessi.

L’esclusione deall’agenda di quei contenuti informativi relativi ai successi del paese nel sociale, nonostante l’approvazione di numerose agenzie del complesso delle Nazioni Unite (UNESCO, OMS, OPS, PNUD, UNICEF, CEPAL, UNIFEM, etc.) dei risultati di Cuba in materia di istruzione, salute, equità di genere, sviluppo sostenibile, cooperazione Sud-Sud ed altri.

La dimenticanza del contesto geografico e storico di Cuba, che porta a distorti confronti con la realtà dei paesi del cosiddetto Primo Mondo.

La minimizzazione dell’impatto sociale ed economico del blocco imposto dalle diverse amministrazioni USA.

La ripetizione di stereotipi informativi e cliché.

E l’uso di un linguaggio standardizzato carico di connotazioni condannatorie e dispregiative.

Fonti di informazione scelte e scartate

La conversione in prodotto degno di essere notizia di alcuni fatti e non di altri è accompagnata da un processo di selezione-esclusione di fonti, nonché di protagonisti informativi e di opinione. Nelle notizie su Cuba, i media ricorrono, fondamentalmente, a fonti ed attori sociali posizionati contro l’attuale modello politico, economico e sociale dell’Isola. Queste sono:

  • Le fonti tradizionali, fondamentalmente le grandi agenzie di stampa situate nei paesi del Nord, in maggioranza negli USA. Anche altri grandi media che rispondono a modelli informativi simili.
  • I rappresentanti di gruppi che i media classificano come “dissidenza” od “opposizione” al governo cubano e che nella loro maggioranza affrontano il rifiuto popolare interno a causa della loro dipendenza politica e finanziaria dal governo USA.
  • E organizzazioni internazionali della cosiddetta “società civile”, che svolgono un ruolo di altoparlante globale dei citati gruppi e che, pertanto, riproducono indirettamente il discorso interventista del governo USA. È il caso delle ONG multinazionali come Reporter Senza Frontiere, Human Right Watch ed, in misura minore, Amnesty International (3).

La scelta di queste fonti è accompagnata dalla esclusione di altre di evidente rilevanza, come lo stesso governo cubano, i centri di ricerca, think tank e università dell’isola, le ONG cubane, le associazioni di amicizia e solidarietà con Cuba, o le associazioni di cubani/e residenti all’estero non collegate alla lobby anti-castrista.

Doppio standard informativo

La matrice ideologica che permea l’informazione su Cuba è chiara quando la confrontiamo con quella riferentesi ad altri paesi dell’America Latina e del Terzo mondo. Ad esempio, analizziamo il tema dell’emigrazione (4).

Secondo il consenso stabilito dai media, i cosiddetti “spalle bagnate” del Messico, o i “balseros” (zattere ndt) della Repubblica Dominicana o Haiti che cercano di attraversare il confine USA, sono classificati come emigranti economici in cerca di nuove opportunità di lavoro, migliore qualità della vita ed, anche, come migranti costretti dalla povertà o dalla fame. I cubani/e che cercano di vivere e lavorare nella più grande potenza economica del mondo, al contrario, sono qualificati, nella maggior parte delle informazioni, come “esiliati”. La carica ideologica dell’informazione è evidente anche nell’uso esclusivo, per il caso cubano, di verbi come “fuggire”, “ingannare”, “scappare” e altri.

Nelle notizie sui migranti, di altre nazioni del Sud, raramente è menzionato il nome del presidente del paese di origine o stabilita una relazione di causa-effetto tra il suo regime politico od economico -generalmente economie di mercato del Terzo mondo e sistemi multipartitici- ed il fenomeno migratorio. Nel caso di Cuba, al contrario, è sistematica la menzione del presidente dell’esecutivo cubano e la velata o diretta colpevolizzazione del sistema cubano per il fatto migratorio.

Il doppio standard applicato dimostra l’intenzionalità politica dei grandi media, per quanto il fenomeno è, in tutti i casi citati, di origine economica. Inoltre, i media raramente raccolgono un fatto unico che è essenziale spiegare se si desidera avvicinare il pubblico alla specificità del fenomeno migratorio a Cuba: che il paese ospitante (gli USA) promuove, a scopi politici, l’emigrazione illegale cubana attraverso la politica dei “piedi asciutti, piedi bagnati” e della cosiddetta Legge di Aggiustamento Cubano, mentre applica un criterio universale di rifiuto ed espulsione al resto dell’emigrazione latinoamericana (5).

Microscopio informativo e censura delle realtà dell’isola

Per spiegare come i media applicano diversi standard informativi alle notizie su Cuba e su altri paesi, il sociologo USA James Petras, ci dice: “I praticanti di equivalenze morali applicano un microscopio a Cuba e un telescopio agli USA, che gli presta una certa accettabilità tra i settori liberali dell’impero “(6). A questo proposito, i media usano la loro lente di ingrandimento per mettere in evidenza gli aspetti negativi della società cubana, poiché l’approccio sociologico li costringerebbe ad accettare che, nel suo contesto geografico, la realtà di Cuba -senza dubbio non priva di complessità e contraddizioni sociali- è più equilibrata di quella dei paesi vicini.

Questo particolare microscopio applicato a Cuba fa sì che, in modo sistematico, siano selezionati come fatti degni di essere notizie solo gli incidenti o elementi problematici o contraddittori della società cubana. Questa lente d’ingrandimento ha un effetto distorsivo della realtà, in quanto elimina aspetti fondamentali per la comprensione delle informazioni, come il contesto geografico, le chiavi storiche e tutti i tipi di dati macro sullo sviluppo economico e sociale dell’Isola.

In questo senso i media esercitano una chiara censura su tutte quelle informazioni che possono contraddire la matrice di consenso spiegata sopra che presenta la Rivoluzione cubana come un progetto politico ed economico fallito.

Quali aspetti della realtà cubana sono misteriosamente “scomparsi” dalle informazioni dei grandi media?

Evidenzieremo i seguenti:

  • Le conquiste sociali di Cuba nel suo contesto geografico, in particolare quelle avallate dalle organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, in materia di istruzione, sanità pubblica e comunitaria, cultura o sport.
  • I valori di umanesimo e fraternità che continuano a permeare la società cubana e che la fanno essere -nonostante i recenti arretramenti legati alla brutale crisi economica degli anni ’90- una delle più equilibrate del continente.
  • L’opera internazionalista di solidarietà di Cuba verso gli altri popoli del Terzo mondo. Uno qualsiasi dei seguenti programmi, data la loro natura eccezionale, dovrebbero generare rilevanti informazioni: Operazione Miracolo -4 milioni di persone senza risorse, di tutta l’America Latina, sono state operate alla vista grazie alla solidarietà cubano-venezuelana; il metodo cubano di alfabetizzazione “Io, sì posso” -con esso 10 milioni di persone sono state alfabetizzate, in 28 paesi-; le brigate mediche cubane di solidarietà ed il Piano Integrale Sanitario -oggi ci sono 48000 cooperanti sanitari cubani in 66 nazioni-; o la Scuola Latinoamericana di Medicina -più di 10000 studenti stranieri studiano con borse di studio del governo di Cuba-.
  • La pace sociale e la sicurezza nell’Isola che, come il resto delle linee indicate, contrasta con la situazione della regione.
  • E le diverse formule di partecipazione della popolazione cubana alla vita politica ed alle principali decisioni. Ad esempio, a differenza della pratica dei “decreti” in tanti posti del mondo, nel 2011 il programma di cambiamenti economici che, oggi, si stanno realizzando a Cuba è stato discusso e modificato in oltre 163000 assemblee, sviluppate in tutti i centri di lavoro e quartieri del paese, con la partecipazione di oltre 8,9 milioni di persone (su 11,2).

Ideologia e fattore di classe dei media

Il consenso giornalistico su Cuba, costruito dai media, parte da un pregiudizio ideologico favorevole al modello economico del mercato capitalista ed al sistema di rappresentanza democratico- borghese, e si oppone frontalmente a qualsiasi forma di governo che attui iniziative che attentino contro uno dei suoi principi sacri: la proprietà privata dei mezzi di produzione, tra cui, le stesse società di comunicazione. Questo è il motivo per cui il sistema imperante a Cuba non è l’unico che può essere escluso o respinto dal consenso mediatico. Qualsiasi altra amministrazione che sia riuscita a variare la rotta neoliberale, o che rappresenti un ostacolo agli interessi geostrategici delle potenze occidentali, è anch’esso soggetto di sistematiche campagne di demonizzazione. E’ il caso di Venezuela, Ecuador, Russia, Siria, Bolivia, Bielorussia, Zimbabwe e molti altri.

Nel contesto delle nazioni del Sud, e senza ignorarne i suoi problemi, contraddizioni e sfide, Cuba rappresenta un’alternativa di successo al modello capitalista. In questo paese si costruisce un modello autoctono le cui basi ideologiche, sociali ed economiche -proprietà collettiva, partecipazione dei cittadini, solidarietà nazionale ed internazionale- sono radicalmente antagoniste a quelle del sistema che costituiscono, rappresentano e difendono i grandi mezzi di comunicazione del capitale internazionale. Ecco perché reti televisive, stazioni radio, giornali, riviste, editori, produttori cinematografici, agenzie pubblicitarie, case discografiche ed altre società di comunicazione che controllano l’informazione mondiale e l’insieme dei prodotti dell’industria culturale, proiettano all’insieme della cittadinanza mondiale un’immagine distorta, deformata e demonizzata di Cuba e del suo sistema politico, economico e sociale. Infine non dobbiamo dimenticare che i media sono proprietà di una élite i cui interessi di classe sono radicalmente incompatibili con il modello che Cuba, ed altri processi politici emergenti, rappresentano nello scenario internazionale.


Cuba en los media: consenso informativo e intereses de clase

Por: José Manzaneda

Coordinador de Cubainformación TV. Responsable de Medios de Comunicación de la Asociación de Amistad Euskadi – Cuba

El consenso informativo sobre Cuba

La industria de la información y la comunicación es el motor ideológico para la fabricación del consenso imprescindible en la legitimación del sistema capitalista global (1). Las grandes cadenas de televisión, las productoras de cine comercial, las emisoras de radio, los diarios de gran tirada y el resto de las grandes empresas del sector de la comunicación de masas realizan una gestión privada de un servicio público trascendental por su influencia política y social: la selección de las agendas informativas relevantes para la ciudadanía, de las opiniones expertas que aquella debe tener en cuenta para forjar sus opiniones, de las tendencias, valores, formas de vida y patrones de consumo a imitar y, por supuesto, de los modelos de conducta política que es necesario excluir o condenar.

El universo informativo es configurado por y para un pequeño gabinete de empresarios desde una ideología que acompaña y defiende sus intereses de clase. Por ello no es de extrañar que dichos productores de información y de otros servicios de comunicación tengan entre los anteriormente citados modelos excluibles o condenables a la Revolución Cubana, categorizada en el universo simplificador de los media como “régimen castrista”.

La información sobre Cuba, en su inmensa mayoría, nos llega cargada de una matriz de opinión que contamina todos los soportes, desde las noticias y crónicas escritas hasta las imágenes fotográficas y de video. Un consenso bien asentado en los medios más representativos e influyentes que presenta como inviable, injusto y antidemocrático el modelo cubano de desarrollo y su sistema político y económico.

Presencia desproporcionada

Un primer apunte sobre el tratamiento informativo a las noticias sobre Cuba es el desproporcionado número de éstas con relación a factores como la escasez en la Isla de acontecimientos espectaculares o hechos socialmente dramáticos, tan rentables para la industria mediática; el escaso peso de la economía cubana y su débil influencia en el juego del comercio internacional; y su pequeño tamaño como país de poco más de 11,2 millones de habitantes (2).

Este gigantismo informativo sobre Cuba responde, de manera evidente, a una intencionalidad editorial ligada al anteriormente citado consenso periodístico, coherente con la matriz ideológica del conjunto de la industria de la información y la comunicación.

Claves del tratamiento informativo

Este consenso periodístico que carga a priori textos, voces e imágenes sobre Cuba se refleja en una serie de claves de tratamiento informativo, que se pueden resumir en las siguientes:

La selección de hechos noticiables vinculados a aspectos de la sociedad cubana que puedan ser presentados como negativos.

La exageración y sobredimensionamiento de los mismos.

La exclusión de la agenda de aquellos contenidos informativos vinculados a los logros del país en materia social, a pesar del refrendo de numerosas agencias del complejo de Naciones Unidas (UNESCO, OMS, OPS, PNUD, UNICEF, CEPAL, UNIFEM, etc.) a los resultados de Cuba en materia de educación, salud, equidad de género, desarrollo sostenible, cooperación Sur-Sur y otros.

El olvido del contexto geográfico e histórico de Cuba, que induce a comparaciones distorsionadas con la realidad de los países del llamado Primer Mundo.

La minimización del impacto social y económico del bloqueo impuesto por las diferentes administraciones de Estados Unidos.

La repetición de estereotipos informativos y clichés.

Y la utilización de un lenguaje estandarizado cargado de connotaciones condenatorias y despectivas.

Fuentes informativas elegidas y desechadas

La conversión en producto noticiable de unos hechos y no de otros viene acompañada de un proceso de selección-exclusión de fuentes, así como de protagonistas informativos y de opinión. En las noticias sobre Cuba, los media recurren básicamente a fuentes y actores sociales posicionados frente al modelo político, económico y social vigente en la Isla. Éstos son:

Las fuentes tradicionales, básicamente las grandes agencias de prensa ubicadas en países del Norte, en su mayoría de EE.UU. También otros grandes medios que responden a similares patrones informativos.

Los representantes de colectivos que los media categorizan como “disidencia” u “oposición” al gobierno cubano, y que en su gran mayoría enfrentan el rechazo popular interno debido a su dependencia política y financiera del gobierno de EE.UU.

Y organizaciones internacionales de la denominada “sociedad civil”, que juegan un papel de altavoz global de los anteriores colectivos y que, por tanto, reproducen de manera indirecta el discurso de intervención del gobierno de EE.UU. Es el caso de ONGs multinacionales como Reporteros sin Fronteras, Human Right Watch y, en menor medida, Amnesty International (3).

La elección de dichas fuentes viene acompañada de la exclusión de otras de evidente relevancia, como el propio gobierno cubano, los centros de investigación, think tanks y universidades de la Isla, las ONGs cubanas, las asociaciones de amistad y solidaridad con Cuba, o las asociaciones de cubanos y cubanas residentes en el exterior no vinculadas al lobby anticastrista.

Doble rasero informativo

La matriz ideológica que impregna la información sobre Cuba queda patente cuando comparamos ésta con la referente a otros países de América Latina y del Tercer Mundo. A modo de ejemplo, analicemos el tema de la emigración (4).

Según el consenso establecido por los media, los denominados “espaldas mojadas” de México, o los “balseros” de la República Dominicana o Haití que intentan traspasar la frontera de Estados Unidos, son categorizados como emigrantes económicos en busca de nuevas oportunidades laborales, mejor calidad de vida e, incluso, como migrantes forzados por la pobreza o el hambre. A los cubanos y cubanas que tratan de vivir y trabajar en la mayor potencia económica del mundo, por el contrario, se les califica en la mayoría de las informaciones como “exiliados”. La carga ideológica en la información es patente, además, en la utilización exclusiva para el caso cubano de verbos como “huir”, “burlar”, “escapar” y otros.

En las noticias sobre migrantes de otras naciones del Sur, rara vez es mencionado el nombre del presidente del país de origen, o establecida alguna relación causa-efecto entre su régimen político o económico -–generalmente economías de mercado del Tercer Mundo y sistemas multipartidistas– y el fenómeno migratorio. En el caso de Cuba, por el contrario, es sistemática la mención del presidente del ejecutivo antillano y la culpabilización velada o directa al sistema cubano por el hecho migratorio.

El doble rasero aplicado evidencia la intencionalidad política de los grandes media, por cuanto el fenómeno es, en todos los supuestos mencionados, de raíz económica. Además, los media raramente recogen un hecho único que es imprescindible explicar si se desea acercar al público a la especificidad del fenómeno migratorio en Cuba: que el país de acogida (Estados Unidos) promueve con fines políticos la emigración ilegal cubana a través de la política de “pies secos, pies mojados” y de la llamada Ley de Ajuste Cubano, mientras aplica un criterio universal de rechazo y expulsión al resto de la emigración latinoamericana (5).

Microscopio informativo y censura de realidades de la Isla

Para explicar cómo los media aplican un diferente rasero informativo a las noticias sobre Cuba y sobre otros países, el sociólogo estadounidense James Petras nos dice: “Los practicantes de equivalencias morales aplican un microscopio a Cuba y un telescopio a Estados Unidos, lo cual les presta una cierta aceptabilidad entre los sectores liberales del imperio” (6). En esta línea, los medios emplean su lente de aumento para resaltar aspectos negativos de la sociedad cubana, ya que el enfoque sociológico les obligaría a aceptar que, en su contexto geográfico, la realidad de Cuba –sin duda no exenta de complejidades y contradicciones sociales– es más equilibrada que la de sus países vecinos.

Este particular microscopio aplicado a Cuba hace que, de manera sistemática, sean seleccionados como hechos noticiables sólo las incidencias o elementos problemáticos o contradictorios de la sociedad cubana. Esta lupa de aumento tiene un efecto deformador de la realidad, por cuanto elimina aspectos fundamentales para la comprensión de la información, como el contexto geográfico, las claves históricas y todo tipo de datos macro sobre el desarrollo económico y social de la Isla.

En este sentido, los media ejercen una clara censura de todas aquellas informaciones que puedan contradecir la matriz de consenso anteriormente explicada, que presenta a la Revolución cubana como un proyecto político y económico fallido.

¿Qué aspectos de la realidad cubana se encuentran misteriosamente “desaparecidos” de las informaciones de los grandes medios?

Destacaremos los siguientes:

Los logros sociales de Cuba en su contexto geográfico, especialmente aquellos avalados por las organizaciones del sistema de Naciones Unidas, en materias tales como la educación, la salud pública y comunitaria, la cultura o el deporte.

Los valores de humanismo y fraternidad que siguen impregnando la sociedad cubana y que la hacen ser –a pesar de retrocesos recientes vinculados a la brutal crisis económica de los años 90– una de las más equilibradas del continente.

La obra internacionalista solidaria de Cuba hacia otros pueblos del Tercer Mundo. Cualquiera de los siguientes programas, dada su excepcionalidad, deberían generar informaciones relevantes: la Operación Milagro –cuatro millones de personas sin recursos de toda América Latina han sido operadas de la vista gracias a la solidaridad cubano-venezolana-; el método cubano de alfabetización “Yo sí puedo” –diez millones de personas han sido alfabetizadas con él en 28 países–; las brigadas cubanas médicas de solidaridad y el Plan Integral de Salud –hoy hay 48 000 cooperantes sanitarios de Cuba en 66 naciones–; o la Escuela Latinoamericana de Medicina -–más de 10 000 estudiantes extranjeros estudian becados por el gobierno de Cuba–.

La paz social y la seguridad existente en la Isla que, al igual que el resto de los renglones indicados, contrasta con la situación de la región.

Y las diferentes fórmulas de participación de la población cubana en la vida política y en decisiones de gran calado. Como ejemplo, a diferencia de la práctica de “decretazos” en tantos lugares del mundo, en 2011 el programa de cambios económicos que hoy se llevan a cabo en Cuba fue discutido y modificado en más de 163 000 asambleas, desarrolladas en todos los centros de trabajo y barrios del país, con la participación de más de 8,9 millones de personas (de 11,2).

Ideología y factor de clase de los media

El consenso periodístico sobre Cuba construido por los media parte de un sesgo ideológico favorable al modelo económico de mercado capitalista y al sistema de representación democrático-burgués, y es frontalmente contrario a cualquier forma de gobierno que lleve a la práctica iniciativas que atenten contra uno de sus principios sagrados: la propiedad privada de los medios de producción, entre ellos, las propias empresas de comunicación. Es por ello que el sistema imperante en Cuba no es el único excluible o rechazable por el consenso mediático. Cualquier otra administración que haya logrado variar el rumbo neoliberal, o que signifique un obstáculo a los intereses geoestratégicos de las potencias occidentales también es sujeto de campañas sistemáticas de demonización. Es el caso de Venezuela, Ecuador, Rusia, Siria, Bolivia, Bielorrusia, Zimbawe y tantos otros.

En el contexto de las naciones del Sur, y sin desconocer sus problemas, contradicciones y desafíos, Cuba representa una alternativa exitosa frente al modelo capitalista. En este país se construye un modelo autóctono cuyos cimientos ideológicos, sociales y económicos -–propiedad colectiva, participación ciudadana, solidaridad nacional e internacional– son radicalmente antagónicos a los del sistema que conforman, representan y defienden los grandes medios de comunicación del Capital internacional. Es por ello que cadenas de televisión, emisoras de radio, periódicos, revistas, editoriales, productoras de cine, agencias publicitarias, discográficas y otras empresas de comunicación que controlan la información mundial y el conjunto de los productos de la industria cultural, proyectan al conjunto de la ciudadanía mundial una imagen tergiversada, deformada y demonizada de Cuba y de su sistema político, económico y social. No debemos olvidar que los media, finalmente, son propiedad de una élite cuyos intereses de clase son radicalmente incompatibles con el modelo que Cuba y otros procesos políticos emergentes representan en el escenario internacional.

  • Noam Chomsky, “El Control de los Medios de Comunicación”, Rebelión, 3 de septiembre de 2004
  • Ángeles Díez, “Notas para entender la estrategia de manipulación mediática en el caso cubano”, Revista Pueblos, 1 de octubre de 2003.
  • Salim Lamrani, “Las contradicciones de Amnistía Internacional”, Cubainformación, 8 de mayo de 2008.
  • Salim Lamrani, “Desinformación sobre la emigración cubana”, Intervención en el Foro Social Mundial de Caracas, Panel sobre el Papel de los medios alternativos en la preservación de la memoria histórica, 27 de enero de 2006.
  • Salim Lamrani, “La criminal Ley de Ajuste Cubano”, Cubainformación, 24 de mayo de 2007
  • James Petras, “La responsabilidad de los intelectuales: Cuba, los Estados Unidos y los derechos humanos”, Rebelión, 6 de mayo de 2003.
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