Vaticano evoca “ponti” per il Venezuela

Ma le destre e Trump li hanno già minati

di Geraldina Colotti

“Si informano i giornalisti accreditati che lunedì 7 maggio 2018, alle ore 12.30, presso la Sala Stampa della Santa Sede, si terrà un Meeting Point per presentare il progetto Ponti di solidarietà – Piano pastorale integrato per assistere i migranti venezuelani in Sud America, nato per dare risposte concrete alle sfide poste dalla migrazione di massa che sta coinvolgendo i venezuelani”. Questa la convocazione fatta pervenire dal Vaticano alla stampa internazionale, che ha risposto numerosa.


A ridosso delle elezioni presidenziali del 20 maggio, osteggiate dalle gerarchie ecclesiastiche e dalla cosiddetta “comunità internazionale”, quello del Venezuela e dell’“emergenza umanitaria” alle frontiere è un tema ghiotto. Per tutta la durata dell’incontro, sullo schermo hanno continuato a sfilare le immagini di un documentario privo di audio, ma ben pensato per indurre nel pubblico la ricezione dei più vieti luoghi comuni contro il socialismo bolivariano. A mo’ di pubblicità subliminale, veniva ritmicamente mostrato un berretto con la scritta “Venezuela libre”, uno dei simboli usati nelle proteste violente contro il governo di Nicolas Maduro dagli oltranzisti di opposizione: quelli che, durante 4 mesi, l’anno scorso hanno devastato e ucciso, arrivando a bruciare vive 19 persone.

Il foglio distribuito in sala stampa parlava chiaro fin dal titolo, Piano pastorale integrato di assistenza a migranti venezuelani in America del sud. La brama della stampa, che ha cominciato a mitragliare di domande sul Venezuela soprattutto il Superiore Generale dei Gesuiti, il venezuelano Arturo Sosa, è stata però disattesa. Fin dalle prime risposte fornite dall’ex rettore dell’Università Cattolica del Táchira, da Fabio Baggio e Michael Czerny, Sotto-Segretari della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, è apparsa chiara la volontà di diluire il tema in quello più generale dell’immigrazione latinoamericana. E di non parlare della situazione politica pre-elettorale.

Soprattutto, si è messo in evidenza l’appello del Papa “di accogliere, proteggere e promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”, che ha riunito il lavoro di otto Conferenze Episcopali in America del Sud. Un progetto di due anni per un totale di 800.000 euro. Una cifra minima, ma Sosa ha precisato che, per l’assistenza a migranti e rifugiati latinoamericani, si muovono anche molte altre strutture dei gesuiti e più in generale della chiesa, con particolare attenzione a chi lascia il Venezuela.

Quanti sono questi venezuelani? Impossibile quantificare perché spesso si tratta di persone originarie di altri paesi che raggiungono i propri parenti all’estero. Tuttavia, “si parla di 1,5 milioni di persone, su una popolazione di circa 33 milioni”. Chi ne parla? I media di opposizione, naturalmente, che registrano il fenomeno della fuoriuscita dei migranti dal paese dall’arrivo di Chavez al governo, nel 1998… Un dato anomalo, dice Sosa, per un paese prevalentemente di accoglienza e non di migrazioni.

Dall’anno scorso, i media battono sul tasto della “crisi umanitaria”. Da maggio 2017 a oggi, si è provato a imporre un “modello siriano” al Venezuela, sfruttando il flusso di migranti alla frontiera, di sicuro di numero inferiore alle cifre stratosferiche sparate dalla stampa internazionale. I problemi del Venezuela vengono gettati tutti sulle spalle del governo per avallare l’idea che il socialismo comunque sia fallimentare, anche nella versione “umanista e cristiana” proposta dal governo bolivariano. Le immagini del documentario suggerivano proprio questo. E’ come se un gruppo di sequestratori entrasse a casa di una famiglia, legasse e imbavagliasse i genitori e poi li accusasse di affamare i figli… L’esplicita richiesta delle destre – che si trastullano tra un viaggio e l’altro anziché rimanere sul posto e impiegare le risorse per aiutare il paese – è quella di giungere a una “ingerenza umanitaria” e anche militare da parte degli Usa o dei paesi neoliberisti latinoamericani riuniti nel Gruppo di Lima.

Che diversi esperti Onu abbiano considerato una falsità definire l’esodo dei venezuelani come “crisi umanitaria”, poco importa. Intanto, il piano è partito.

 

Da quel campione di diritti umani che è, Donald Trump ha destinato e promesso fiumi di dollari per gli Stati interessati all’esodo di migranti venezuelani. Dollari erogati a paesi vassalli quali la Colombia o il Perù, che da anni obbligano a partire migliaia di loro cittadini, in fuga dal terrore o dalla fame. Oltre 5 milioni di colombiani si trovano attualmente in Venezuela e godono di pieni diritti…

Perché non c’è stato l’affondo sul Venezuela al “Meeting Point” della Santa Sede? Perché è stato deciso di fare un passo indietro? Più di una volta, la posizione di Bergoglio sul Venezuela come sull’Argentina – tornata a destra con Macri – ha mostrato qualche dissonanza rispetto alla bellicosa Conferenza episcopale venezuelana e a certi cardinali, avvezzi ad arringare le folle contro il governo durante la messa, a cacciare i fedeli chavisti e a benedire i violenti “guarimberos”.

Un anno fa, quando il Venezuela era ancora squassato dai quattro mesi di violenze messe in atto dalle destre contro il governo Maduro, il Papa Bergoglio inviò una lettera alla Conferenza Episcopale venezuelana (CEV). In sostanza, invitava i vescovi a fare tutto il possibile per stabilire ponti tra il governo venezuelano e gli oltranzisti. “Al pari di voi – scrisse – sono persuaso che i grandi problemi del Venezuela si possono risolvere se c’è una volontà di stabilire ponti, di dialogare seriamente e di rispettare gli accordi raggiunti. Vi esorto a fare tutto il possibile perché questo difficile cammino sia possibile”.

In quegli stessi giorni, il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, dichiarava a Radio Vaticana che la vera soluzione era quella delle elezioni: per dare al popolo la possibilità di esprimersi secondo il suo desiderio”. Il ricorso alle urne – affermava il cardinale – avrebbe consentito di “tornare a dare sovranità al popolo e permettergli di determinare il proprio futuro”. Proprio con questo intento, Maduro fece appello al “potere popolare”, istanza fondativa della costituzione bolivariana, e lanciò la proposta di una Assemblea Nazionale Costituente.

Benché questa fosse stata per mesi la richiesta dei principali leader dell’opposizione venezuelana, appena venne pronunciata ottenne in risposta una levata di scudi, proveniente anche dai vescovi. Apriti, cielo. L’opposizione, invitata per la trecentesima volta al dialogo dal presidente, impegnerà poi i rappresentanti del governo e alcuni presidenti latinoamericani in mesi di costose trattative nella Repubblica Dominicana, che da ultimo finirà per disattendere.

Le destre riservarono strali anche per quelle dichiarazioni del papa, a cui fecero orecchie da mercante, preferendo disertare le urne e limitandosi a ingoiare il fatto che l’Assemblea Nazionale Costituente, votata da oltre 8 milioni di persone, avesse riportato la pace nel paese. Buona parte dell’opposizione decise anche di disertare le successive consultazioni elettorali, che tuttavia le consegnarono il governo di alcuni stati e di diversi municipi.

Divisa e priva di indirizzo, l’opposizione ha buttato alle ortiche il dialogo, preferendo rispondere ai richiami di Trump e della parte più estremista della sua amministrazione: quella che ha invitato apertamente la Forza Armata Nazionale Bolivariana al colpo di Stato, che ha imposto pesanti sanzioni (seguita dall’Unione Europea) e che continua a battere sul tasto della “crisi umanitaria”.

A poche settimane dal voto venezuelano, i “ponti” evocati da Bergoglio risultano già minati per quella schiera di “ultimi” che con l’arrivo di Chavez e poi con Maduro ha deciso di prendere in mano il proprio destino.

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