Marielle e Lula

Alessandra Riccio – https://nostramerica.wordpress.com

La sinistra brasiliana non ha dubbi: l’esecuzione di Marielle Franco e il carcere per Lula sono parte di una svolta autoritaria in Brasile. Lula rappresenta ancora la più importante guida politica popolare del paese e Marielle era già un punto di riferimento per quella nuova generazione politica che aveva potuto emergere proprio in conseguenza delle politiche volute dalle Presidenze popolari di Lula e Dilma Roussef.

Oltre a Marielle, dal 2016 ad oggi, in Brasile sono stati assassinati 36 fra consiglieri e assessori, omicidi sui quali grava il forte sospetto che sia stata proprio la Polizia Militare ad eseguirli. Nella sua veste di membro del Consiglio di Rio de Janeiro, la giovane consigliera aveva denunciato la Brigata 41 della Polizia Militare per i suoi interventi violenti nelle favelas di Rio su ordine del governo; era anche un’attivista dei diritti umani, militava nel Partido Socialismo e Libertade (PSOL) di Juliano Medeiros, il leader che contava molto sulla tenacia, sulla popolarità e sulla militanza di Marielle per contrastare una deriva verso destra dopo la destituzione di Dilma e l’insediamento di Temer. Sono sue le parole più giuste per inquadrare l’esecuzione della consigliera, colpita da vari proiettili insieme all’autista, mentre si spostava in macchina per le strade di Rio. Medeiros ha detto: “… era una donna di colore della favela di Maré che osava occupare uno spazio destinato storicamente a ricchi uomini bianchi. E questo la rendeva, nella testa malata dei suoi carnefici, un bersaglio naturale, un’anomalia del sistema. Sebbene fosse una consigliera eletta con un voto significativo, i suoi assassini –professionisti della morte, come dimostrano le caratteristiche del crimine- la vedevano certamente come uno di quei corpi usa e getta. Non sapevano che i tempi sono diversi e che il Brasile non accetta più la barbarie contro una leadership con la fisionomia di Marielle”.

La violenza del carcere per Lula sembrerebbe, adesso, smentire le parole di Medeiros rispetto ai “tempi diversi” del Brasile, ma certo ha ragione quando imputa alla destra del paese di vedere come un’anomalia del sistema l’ascesa politica di un essere umano destinato al ghetto, alla discriminazione, al mutismo.

Torno a Lula perché anche la sua storia –per quanto bianco e maschio- è una storia anomala e che merita davvero che ne sia compresa la straordinarietà. Non solo perché povero figlio di famiglia povera, non solo perché operaio metallurgico sottoposto alla dura legge della fabbrica e ai suoi rischi e pericoli (a causa di un incidente sul lavoro ha perso un dito della mano), ma soprattutto perché proprio da questa sua storia ha tratto la sua visione del mondo e ha ingaggiato una lotta politica, attraverso il sindacato prima e il Partito dei Lavoratori (PT) dopo, che ha portato a riforme costituzionali fra cui l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Per quattro volte è uscito sconfitto dalle elezioni presidenziali, ma nel 2002 ce l’ha fatta, anche addomesticando la sua immagine e “socialdemocratizzandosi”; i 30 milioni di poveri che hanno cominciato ad uscire dalla povertà, con i loro consumi hanno consentito alle banche brasiliane di fare enormi guadagni e gli affari del paese sono andati a gonfie vele, ma mentre il Brasile di Lula entrava a vele spiegate nel BRICS (il sistema commerciale che vede insieme Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), in politica interna il Presidente dimostrava, che non è vero che il Brasile può essere governato solo dalle élites, che si può modificare la disuguaglianza razziale in un paese che ha più popolazione negra di qualunque altro, con l’ovvia eccezione dell’Africa, e soprattutto che combattere la fame è possibile. Ha governato per due mandati lasciando poi il posto a Dilma Rousseff sua compagna di militanza, fatta fuori qualche tempo dopo con un “golpe” legislativo.

Il Lula che una sentenza affrettata e senza prove provate ha gettato in carcere assomiglia molto di più al sindacalista abile e combattivo che al Presidente con fascia e medaglie. Durante le accese manifestazioni a suo sostegno, mi ha colpito l’intervento di uno studente operaio che rivendicava il diritto suo e dei suoi compagni di classe, di stato e di generazione, di studiare, di lavorare, di militare, di fare politica e di avere ed esercitare rappresentanza e nel rivendicarlo attribuiva a Lula il merito di avere aperto quella strada. Come lui, Marielle, come Marielle i 36 consiglieri assassinati dal 2016, come loro l’ultimo in ordine di tempo, Aleixandre Pereira Maria (che aveva testimoniato sull’omicidio della Franco e anche lui freddato mentre era in macchina), come loro tutta la grande umanità brasiliana che deve mettere a rischio la vita stessa per rivendicare i propri diritti, come ha fatto lei, per i suoi diritti di donna, di negra, di lesbica e, non ultimo, di militante di sinistra.

Marielle aveva fatto della sua vita un’eccezione: era nata non in una semplice favela ma nel complesso della Maré, un conglomerato di 16 favelas che ospitano 130.000 abitanti destinati alla delinquenza in tutte le sue declinazioni. Madre adolescente di Monica e compagna matura di Luyara, era riuscita a laurearsi in sociologia e ad usarne gli strumenti per tentare di trasformare l’inferno della Maré e il destino dei suoi abitanti che ben conosceva avendo visto morire sotto i suoi occhi un’amica carissima uccisa da una pallottola vagante. L’esperienza di vita, la maternità precoce, l’umiliazione delle perquisizioni corporali perché negra, le quotidiane discriminazioni che sperimentava giorno dopo giorno le avevano dato la concretezza del suo agire politico, confortato dai 46.000 voti con cui è stata eletta consigliera per il PSOL di Rio de Janeiro, risultando la quinta persona più votata. E’ stato scritto di lei: “Marielle ha dimostrato che i corpi negri possono occupare la città con un’altra posizione ed ha ribaltato il discorso che il voto non ha valore, provando che la politica continua ad essere un potente strumento per rifiutare i destini determinati e per recuperare la capacità di immaginare un futuro dove vi sia posto per tutti”.

La sua attività politica era rivolta soprattutto al mondo delle donne: chiedeva l’apertura di asili infantili notturni, ben sapendo che alle donne toccavano lavori ingrati e a orari impossibili. Si è battuta per fare approvare l’aborto legale in un paese –e in un continente- dove l’aborto è ancora un assurdo tabù ma il suo senso della realtà le ha consigliato di limitare la battaglia alla semplice garanzia del servizio pubblico in caso di stupro, di rischio di morte, di feto malformato. Una battaglia apparentemente minima per il diritto evidentissimo di ricevere dallo stato un’ assistenza adeguata. La sua ultima battaglia l’aveva ingaggiata contro la decisione federale di mandare l’esercito nelle favelas di Rio. Dopo appena un mese, le sue denunce contro gli eccessi e la brutalità della polizia, contro l’intervento militare in quei conglomerati di umanità sofferente e ribelle, le è costato la vita.

Subito dopo il suo assassinio, nel pieno della campagna elettorale, Lula le ha dedicato queste parole: “Bisogna essere davvero ignoranti o avere il diavolo in corpo per credere che uccidendo una donna di 38 anni, si possono cancellare le sue idee libertarie e di difesa dei negri, dei poveri, degli esclusi; tutto al contrario: quelle sue idee oggi sono più forti.”

Era bella, Marielle, era tosta, sembrava disegnata proprio per rappresentare la vitalità e l’allegria della garota de Ipanema, abitini semplici e colorati, chioma ribelle e sandali ai piedi, sembra di vederla muoversi ancora al ritmo della bossa nova di Antonio Carlos Jobim e Vinicius de Moraes. Una garota, una ragazza che credeva semplicemente, scandalosamente, pericolosamente, che un altro mondo è possibile.

(“Leggendaria”, n. 129)

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