Venezuela, un popolo che da anni lotta

contro la Troika per la sua sovranità. E non si arrende

di Geraldina Colotti

Il 20 maggio, il popolo venezuelano ha nuovamente eletto come presidente Nicolas Maduro. Un voto per la pace con giustizia sociale, per la democrazia partecipativa e inclusiva, per il rifiuto delle ingerenze straniere e la difesa della propria indipendenza nazionale. Una prospettiva opposta al grossolano vociare dei politici italiani, nello scontro tra due destre per il governo, contrastato da un presidente che vulnera la democrazia in nome della Troika.

La Troika, com’è noto, è il termine coniato dai giornalisti per indicare l’azione congiunta dei rappresentanti della Commissione Europea, della Banca centrale e del Fondo monetario internazionale nella “risoluzione” della crisi economica della Grecia. Le tre istituzioni concedono prestiti in cambio di austerità e tagli alla spesa pubblica, in cambio di riforme strutturali che affamano sempre di più il popolo e rimpinguano le casse dei banchieri e quelle degli armatori. Di fatto un neocolonialismo per paesi vassalli, a sovranità limitata, com’è per l’Italia.

La stessa ricetta che ha devastato il Latinoamerica negli anni della decade perduta, gli anni del neoliberismo sfrenato, tornati in forze dopo il nuovo rinascimento inaugurato dai governi progressisti all’inizio del secolo 21. Una ricetta che fa leva sulle paure della piccola borghesia e su quelle dei settori popolari, distolti dai loro veri obiettivi. Nella strategia di distrazione di massa, la retorica dei poteri forti parla di pace e prepara la guerra, parla di crescita e benessere e prepara invece sacrifici e miseria.

Un’immagine ben sintetizzata dalle politiche del messicano Pena Nieto e del presidente colombiano Manuel Santos, che ha ricevuto il Nobel per la Pace e ha portato nella Nato il suo paese di mafie, narcotraffico e desaparecidos.

Nell’arena politica italiana, ridotta a tifo calcistico, minacce maschiliste e chiacchiera da bar, un popolo senza coscienza applaude il falso sovranismo della destra xenofoba, mentre quello che un tempo è stato il “centro-sinistra” si erge a difesa degli interessi della troika, mandando a ramengo giovani, lavoratori e pensionati.

Un popolo senza coscienza è carne da cannone e massa di manovra e vota per i propri aguzzini.

Un popolo cosciente e organizzato sa riconoscere invece il campo in cui deve situarsi, contro tutte le trappole e le avversità. Così è avvenuto in Venezuela, dove oltre sei milioni di persone hanno votato per Nicolas Maduro, e solo 1.800.000 per il suo principale avversario, Henry Falcon, politico di centro-destra.

Il voto per Maduro è stato un voto contro il ritorno del Fondo monetario internazionale e delle sue ricette di lacrime e sangue per le classi popolari. Un voto per l’indipendenza nazionale e per il mantenimento delle politiche pubbliche, alle quali il governo destina oltre il 70% delle entrate annuali.

La propaganda, di certo, ha pesato anche in Venezuela. Ha pesato la guerra economica, hanno pesato le sanzioni e le sirene dei poteri forti che presentano il socialismo come un sistema di oppressione, fame e dittatura. Hanno pesato errori interni, burocratismi e corruzione Ma pesa di più la determinazione di quante e quanti si guardano allo specchio della Grecia o del Brasile e non vogliono tornare indietro.

Un popolo cosciente e organizzato non fa però del proprio voto una cambiale in bianco. Per questo, Maduro – il presidente che occupa le fabbriche insieme agli operai – ha proposto sei linee strategiche per la pianificazione socialista: il dialogo e la pacificazione; la messa in atto di un accordo economico produttivo con tutti i settori; la lotta frontale alla corruzione per consolidare una nuova etica socialista; un nuovo impulso ai programmi sociali a tutela del popolo; la difesa integrale della nazione di fronte agli attacchi dell’imperialismo; la ratifica del socialismo come direzione strategica.

Si è aperta una grande discussione nel paese e nelle istituzioni bolivariane: per Rivedere quel che si è fatto, stilare un bilancio dei progressi e degli errori; per Rettificare; per Ridare impulso a una nuova fase della rivoluzione. Le tre R di cui ha parlato Chavez prima di morire, riprese ora dalla direzione del PSUV. Il chavismo si mantiene come unica forza sociale, politica e simbolica del paese. Al suo interno, il dibattito è aspro. Come coniugare “efficienza politica e qualità rivoluzionaria”? Si conclude un ciclo, e si pone la sbarra più in alto. Si decide di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e non si possono più fare sconti.

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