L’incontro tra due vergogne politiche, Temer e Pence

Luiz Inácio Lula da Silva http://www.cubadebate.cu

Il governo Trump non ci sorprende più con le sue misure autoritarie e sfortunate, né per le rettifiche che è costretto a fare a causa del clamore delle proteste.

Allo stesso modo, neppure siamo sorpresi dal grado di servilismo a cui si prestano le autorità che hanno occupato il potere, a Brasilia, cercando di sopravvivere ai pochi mesi che gli rimangono.

L’incontro, dei giorni scorsi, di queste due vergogne politiche ha prodotto uno spettacolo grottesco nei due paesi: negli USA, lo shock delle immagini e registrazioni di bambini migranti che piangono all’essere separati dalle loro madri; a Brasilia un vice presidente USA proveniente dall’estrema destra richiama l’attenzione sull’attuale occupante della poltrona presidenziale brasiliana in termini inaccettabili: “prendano cura dei loro bimbi”, “è il momento di fare di più”.

Durante gli otto anni in cui sono stato presidente della repubblica ho cercato di andare d’accordo con i due colleghi USA: sei anni con un membro del Partito Repubblicano, George Bush, de altri due con il successore eletto del Partito Democratico, Barack Obama.

Senza differenze, l’atteggiamento del Brasile è stato guidato, in ogni momento, dai principi della diplomazia attiva e orgoliosa, come ama ripetere Celso Amorim. Non ho mai usato una retorica aggressiva contro gli USA ed ho espresso e ribadito il nostro interesse a sviluppare, con quel paese, le migliori relazioni economiche, politiche e culturali possibili. Tuttavia, mai rinunciamo ad essere trattati come pari, principio fondamentale della democrazia e del rapporto tra paesi sovrani.

Durante i nostri governi non avrebbe avuto luogo, in nessun modo, la grossolanità di quel vice presidente USA, nello stesso Palazzo di Planalto, dove, negli ultimi tempi, si sentivano forti le voci dei movimenti popolari, dei leader sindacali, delle conferenze democratiche che noi convochiamo, dei raccoglitori informali di materiale riciclabile o dei lebbrosi.

Bisogna ricordare, davanti ai volti intimiditi di coloro che occupano i loro posti a seguito del golpe dell’impeachment, che gli ordini di quel “sub” inviato da Trump includevano persino disposizioni affinché la diplomazia brasiliana le tenesse in conto in relazione al nostro confinante Venezuela.

L’indignazione davanti a quel vergognoso spettacolo non può allontanarmi, tuttavia, dallo scopo principale di questo messaggio: solidarizzarmi con l’ondata mondiale di proteste contro questo nuovo attacco frontale contro la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che promuove il leader USA e rafforzarla.

L’atteggiamento coraggioso di una giudice della California ha appena ostacolato la cattiveria di Trump, mentre si moltiplicano altre ricorsi, da parte USA, grazie all’adesione di undici stati all’iniziativa della magistratura, in Seattle, per cessare immediatamente con le atrocità camuffate sotto lo slogan ” Tolleranza Zero”.

Mentre numerose organizzazioni e difensori dei diritti umani di vari paesi, varie missioni diplomatiche di stanza in organismi multilaterali e diversi rispettabili organi di notizie condannano il gesto di Trump, Temer si offre, segretamente, di pagare i biglietti di ritorno dei brasiliani che soffrano le conseguenze di quelle politiche migratorie.

La prigione non può zittirmi. Il mio paese ed il mio popolo non meritano questa umiliazione e non possono tollerare queste cose. Di certo, la decisione presa dalla coraggiosa giudice, Dana Sabraw, risolveva una denuncia avviata da due bambini, uno del Congo e uno del Brasile.

Prestate attenzione: un piccolo pezzo di Brasile, che vive negli USA, attraverso un’organizzazione chiamata “Unione delle Libertà Civili”, è riuscito a difendere l’interesse del nostro popolo nello stesso momento in cui le autorità brasiliane si inginocchiavano. Un piccolo pezzo di Africa, che anche vive lì, che a sua volta estende le sue mani verso il Brasile, unendo le due sponde dell’Atlantico come se fossimo un solo popolo.

Il procuratore di Seattle che ha proposto l’iniziativa considera la decisione di Trump “disonesta, crudele e incostituzionale”. Mi immagino che la parola disonesta la utilizza per riferirsi all’uso fraudolento di quello stesso nome nella famosa operazione di sicurezza pubblica sviluppata, a New York, alcuni anni fa. Credo che la Costituzione USA sia ignorata de facto, almeno in quelle materie che dovrebbero garantire le cosiddette regole procedurali. Sono sicuro che la parola crudele è un riferimento diretto ai trattati internazionali sui diritti umani che proibiscono la tortura e tutte le forme di punizione o trattamento crudele, inumano e degradante.

Sia la Convenzione ONU sui Diritti del Bambino come quella riguardante i lavoratori migranti e le loro famiglie condannano espressamente atteggiamenti come quelli di Trump. Numerosi trattati di diritto internazionale vanno nella stessa direzione, così come sentenze giudiziarie di tutti i paesi civilizzati.

Voglio concludere con alcune parole di ottimismo di fronte al nuovo rovescio subito da Trump, eletto con meno voti della sua avversaria. La sua rinuncia ci riporta a uno di quegli spettacolari stravolgimenti che avvengono nelle coppe del mondo, come in questa che si sta sviluppando in Russia.

La forza di quel fotomontaggio per la copertina di una rivista USA con un gigantesco Trump che guarda dall’alto un bambino migrante piangente ci porta nuove sfide e nuovi compiti. Ci obbliga a riaffermare l’impegno di tutti per la difesa dei diritti umani, in particolare dei bambini e dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.

Lo sguardo del leader imprenditoriale, che presiede alla più grande potenza militare della storia, è un misto di ironia, insensibilità e cinismo. Lo sguardo del bambino è carico di dolore e l’emozione di tutte le nazioni latinoamericane che chiedono il diritto di essere trattate da pari.

Chi vincerà quella battaglia?

Dipende dalle nostre capacità e dalla nostra decisione. Perseverare, resistere ed affrontare tutte le ingiustizie e pregiudizi senza mai perdere la speranza nel recupero della verità e della libertà, come ci hanno insegnato eroi come Luther King e Nelson Mandela. Il primo, a 50 anni dalla sua tragica morte. L’africano, a poche settimane dal celebrarsi i 100 anni dalla nascita.

La verità vincerà.

(Traduzione di Rebellion/Tratto da Brasil247.com)


El encuentro entre dos vergüenzas políticas, Temer y Pence

Por: Luiz Inácio Lula da Silva

El gobierno de Trump ya no nos sorprende con sus medidas autoritarias y desafortunadas, ni por las rectificaciones que se ve obligado a hacer a consecuencia del clamor de las protestas.

Del mismo modo, tampoco no nos sorprende el grado de servilismo al que se prestan las autoridades que ocuparon el poder en Brasilia intentando subsistir los pocos meses que les quedan.

El encuentro estos días pasados de esas dos vergüenzas políticas produjo un espectáculo grotesco en los dos países: en Estados Unidos la conmoción de las imágenes y grabaciones de niños migrantes llorando al ser separados de sus madres; en Brasilia un vicepresidente estadounidense procedente de la extrema derecha llama la atención al actual ocupante de la silla presidencial brasileña en términos inaceptables: “Cuiden a sus niños”, “es el momento de hacer más”.

Durante los ocho años en que fui presidente de la república procuré llevarme bien con los dos compañeros estadounidenses: seis años con un miembro del Partido Republicano, George Bush, y otros dos con el sucesor electo del Partido Demócrata, Barack Obama.

Sin diferencias, la actitud de Brasil se guio en todo momento por los principios de la diplomacia activa y altiva, como le gusta repetir a Celso Amorim. Nunca empleé una retórica agresiva contra Estados Unidos y manifesté y reiteré nuestro interés en desarrollar con ese país las mejores relaciones económicas, políticas y culturales posibles. No obstante, nunca renunciamos a ser tratados como iguales, principio fundamental de la democracia y de la relación entre países soberanos.

Durante nuestros gobiernos no habría tenido lugar de ninguna manera la grosería de ese vicepresidente estadounidense en el mismo Palacio de Planalto donde en tiempos recientes se oían fuerte las voces de los movimientos populares, de los líderes sindicales, de las conferencias democráticas que convocamos, de los recogedores informales de material reciclable o de los leprosos.

Hay que recordar, ante los semblantes acobardados de quienes ocupan sus puestos a raíz del golpe del impeachment, que las órdenes de ese “sub” enviado por Trump hasta incluían reglas para que la diplomacia brasileña las tuviese en cuenta en relación con nuestra vecina Venezuela.

La indignación ante ese espectáculo vergonzoso no puede alejarme, sin embargo, del objetivo principal de este mensaje: solidarizarme con la ola mundial de protestas contra ese nuevo ataque frontal contra la Declaración Universal de Derechos Humanos que promueve el líder estadounidense y fortalecerla.

La actitud valiente de una jueza de California acaba de obstaculizar la saña de Trump mientras se multiplican otros recursos por Estados Unidos gracias a la adhesión de once estados a la iniciativa del poder judicial en Seattle de acabar de inmediato con las atrocidades encubiertas bajo el lema “Tolerancia Cero”.

Mientras numerosas organizaciones y defensores de los derechos humanos de varios países, distintas misiones diplomáticas destinadas en organismos multilaterales y diferentes órganos respetables de prensa condenan el gesto de Trump, Temer se ofrece a escondidas a pagar los pasajes de vuelta de los brasileños que sufran las consecuencias de esas políticas migratorias.

La cárcel no puede callarme. Mi país y mi pueblo no merecen esta humillación y no pueden tolerar estas cosas. Por cierto, la decisión que tomó la valiente jueza Dana Sabraw resolvía una demanda que partía de dos niños, uno de Congo y otro de Brasil.

Atended bien: un pequeño pedazo de Brasil que vive en Estados Unidos, a través de una organización llamada Unión de las Libertades Civiles, consiguió defender el interés de nuestro pueblo en el mismo momento en que las autoridades brasileñas se arrodillaban. Un pequeño pedazo de África que también vive por allá, que a su vez extiende las manos hacia Brasil, uniendo los dos lados de Atlántico como si fuéramos un sólo pueblo.

El procurador de Seattle que propuso la iniciativa considera la decisión de Trump “deshonesta, cruel e inconstitucional”. Me imagino que la palabra deshonesta la usa para referirse al uso fraudulento de ese mismo nombre en la famosa operación de seguridad pública desarrollada en Nueva York hace unos años. Considero que la Constitución estadounidense está siendo desoída de hecho, por lo menos en aquellos asuntos que deberían garantizar las llamadas reglas procesales. Tengo la seguridad de que la palabra cruel es una cita directa de los tratados internacionales de derechos humanos que prohíben la tortura y toda forma de pena o tratamiento cruel, inhumano y degradante.

Tanto la Convención de la ONU sobre los Derechos del Niño como la referida a los trabajadores migrantes y sus familias condenan expresamente actitudes como las de Trump. Numerosos tratados de derecho internacional van en esa misma dirección, así como sentencias judiciales de todos los países civilizados.

Quiero terminar con unas palabras de optimismo frente al nuevo revés sufrido por Trump, elegido con menos votos que su adversaria. Su renuncia nos remite a uno de esos vuelcos espectaculares que se producen en las copas del mundo, como en esta que se está desarrollando ahora en Rusia.

La fuerza de esa foto montada para la portada de una revista estadounidense con un gigantesco Trump que mira por encima a un niño migrante llorando nos trae nuevos retos y nuevas tareas. Obliga a reafirmar el compromiso de todos con la defensa de los derechos humanos, en especial de los niños y de los trabajadores migrantes y sus familias.

La mirada del líder empresarial que preside la mayor potencia militar de la historia es una mezcla de ironía, insensibilidad y cinismo. La mirada del niño carga el dolor y la emoción de todas las naciones latinoamericanas exigiendo el derecho de ser tratados como iguales.

¿Quién vencerá esa batalla?

Depende de nuestra capacidad y de nuestra decisión. De perseverar, resistir y enfrentar todas las injusticias y prejuicios sin perder nunca la esperanza en la recuperación de la verdad y de la libertad, como nos enseñaron héroes como Luther King y Nelson Mandela. El primero, al cumplirse ahora 50 años de su muerte trágica. El africano, a pocas semanas de celebrarse los 100 años de nacimiento.

La verdad vencerá.

(Traducción de Rebelión / Tomado de Brasil247.com)

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