Il Moncada. Alcune righe obbligatorie

Domani celebreremo la Giornata della “Rebeldía Nacional” (Ribellione Nazionale), il 65° anniversario dell’assalto alla caserma Moncada, e sento il bisogno di condividere queste righe su quanta semplicità e coraggio permeano le persone e gli eventi che si menzionano.


La pianificazione di questa operazione è stata minuziosa, solo pochi (si potevano contare sulle dita di una mano) sapevano quali erano gli obiettivi che si sarebbero attaccati e su questo Fidel ha raccontato: “Se tornassi di nuovo a organizzare un piano su come prendere il Moncada, lo farei esattamente allo stesso modo, non modificherei nulla….”.

La maggioranza degli assalitori fu selezionata tra giovani di Artemisa, di La Habana e di altri municipi dell’allora provincia La Habana, con l’unico scopo di non suscitare il minimo sospetto. L’eccezione fu Renato Guitart Rosell, giovane santiaguero, molto coraggioso e deciso, del quale Fidel ricordava: “Era il principale custode di un importante segreto”.

Un giovane di Artemisa, di cognome Santana,è stato quello che è tornato indietro, in mezzo all’inferno della sparatoria, per prendere Fidel, che era rimasto solo quando era sceso dall’ultima macchina e aveva ceduto il suo posto a un altro combattente che era arrivato dopo. Fidel voleva sempre sapere come e perché l’aveva fatto, ma la conversazione non ha mai avuto luogo e su questa circostanza ha detto a Ramonet: “… come in molte altre cose, tu pensi di avere cent’anni per farlo…”. L’occasione mi spinge a rispondere al posto di Santana, il giovane artemiseño, che sicuramente avrebbe risposto a Fidel: “Lei avrebbe fatto la stessa cosa per me”.

La storia ha dimostrato che questo modo di agire sarebbe stato un principio nella vita di Fidel, lo stesso che ha seguito, all’alba del 1° dicembre 1956, quando ordinò di fermare lo yacht Granma ed effettuare la ricerca di Roberto Roque, caduto al mare a causa delle onde, mentre si muoveva nella barca tentando di scorgere le luci del faro di Cabo Cruz. Su insistenza di Fidel questa operazione continuò, mentre molti lo credevano già annegato, e si concluse solo con il salvataggio del combattente.

Tornando al 26 luglio del 1953, va notato che solo 5 combattenti persero la vita negli assalti al Moncada e alla caserma di Bayamo, ma la tirannia di Batista si è resa responsabile dell’assassinio di altri 56 compagni, più due civili che non avevamo nulla a che fare con questi fatti.

Incastonata nella memoria del popolo rimane l’immagine di José Luis Tassende, vivo, con lo sguardo sereno degli occhi che attraversarono l’obiettivo della macchina fotografica non per osservare la morte, anzi, il vile assassinio che sarebbe sopravvenuto, bensì per accarezzare il futuro di Temita e di tutti i bambini cubani, magari pensando al suo intimo testamento di combattente dove scrisse: “È poco il sacrificio che facciamo per il bene che conquisteremo”.

Raúl, allora soldato, faceva parte del gruppo che prese il Palazzo di Giustizia, ed è stato uscendo da questo edificio che un sergente con vari uomini intima loro di arrendersi, e il capo del gruppo procedette a consegnare le armi, cosa che imitarono gli altri combattenti, compreso Raúl che nota che, mentre impugnava ancora la pistola, il sergente c stava tremando, per cui si scagliò su questo e lo disarmò, salvando così la vita dei suoi compagni e la sua.

Lo stesso Fidel raccontò che il tenente dell’Esercito Pedro Sarría, con voce molto bassa, ripeteva ai suoi soldati: “Non sparate, non sparate. Le idee non si ammazzano, le idee non si ammazzano…” e che questo militare, nel giro di poche ore, gli aveva salvato la vita tre volte; due di fronte alla furia dei soldati quando li catturano e poi quando questi stessi si imbaldanziscono di nuovo scoprendo le armi nascoste; la terza, quando ha affrontato il comandante Pérez Chaumont e gli ha detto: “Il prigioniero è mio…” e ha preso la decisione di portarlo al Vivac.

L’epopea del Moncada, la sua trascendenza come marchio di continuità delle lotte per l’indipendenza di Cuba, è impossibile narrarla con poche centinaia di parole, quando centinaia di migliaia non basterebbero nemmeno per descrivere, in sintesi, la grandezza dei giovani che l’assaltarono e il dolore dei sopravvissuti, dei parenti dei caduti, degli uomini e delle donne della sempre il ribelle Santiago de Cuba e di tutto il paese davanti alla vigliaccheria delle torture e dell’assassinio dei feriti e dei prigionieri.

Queste sono le mie righe obbligatorie per non dimenticare, per continuare a vivere convinto, ancora affrontando le difficoltà che di vivere in una piazza assediata, leggasi il blocco, che la libertà che oggi godiamo è il frutto bagnato con il sangue di decine di migliaia di cubani.

Conserviamo nei nostri cuori e seminiamo nei cuori dei nostri figli e nipoti questo lascito, lottiamo per preservare l’unità dei cubani che è stata, è e sarà sempre la pietra angolare della nostra esistenza come nazione

Gloria ai martiri del Moncada!

Autore: Félix Edmundo Díaz

Traduzione: Redazione di El Moncada

https://micubaporsiempre.wordpress.com

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