Mappa ampliata del tentato assassinio

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(secondo informe speciale) 

Seguono il loro corso le indagini condotte dallo Stato venezuelano sul fallito tentato omicidio dello scorso 4 agosto. Finora le indagini, prove ed attori coinvolti sono sufficienti per descrivere il modo di funzionamento dell’agenda terroristico-mercenaria che sperimenta il paese, ma anche gli impatti di un punto di svolta cruciale per la questione venezuelana.

Vettore operativo: privatizzazione della violenza e Guerra Non Convenzionale (GNC)

 

Nel corso della settimana scorsa il presidente Nicolás Maduro ed il Ministro della Comunicazione ed Informazione, Jorge Rodríguez, hanno mostrato prove evidenti sulla fallita operazione di assassinio. Nell’ambito di ciò che hanno presentato ai media, sei aspetti si evidenzino per la loro rilevanza, sia per il politico che per lo schema operativo utilizzato.

1. L’apparente vuoto polito soggiacente all’operazione è rimasto saldato dalla testimonianza di Juan Requesens, che ha tradito il suo compagno di partito, Julio Borges, come immediato capo politico del tentativo di assassinio utilizzando i suoi contatti con il governo colombiano per proteggere gli operatori e pianificatori dell’attentato. Requesens, alcuni giorni prima, lo aveva già tradito Juan Carlos Monasterios, alias “Bons”, responsabile dell’addestramento e della logistica sul campo. Successivamente, lo ha fatto il giornalista Jaime Bayly, che ha confermato che, effettivamente, eravamo di fronte ad un piano che aveva livelli di coordinamento negli USA.

2. La GNC che vive il paese, nelle sue molteplici manifestazioni, deve essere vista come la traduzione, in ambito militare, degli schemi e dispositivi del neoliberismo che regolano la vita sociale, economica e culturale della società globale. La GNC ha forma societaria ed è governata da codici di riduzione dei costi e massimizzazione del profitto. Per questo motivo, dalla sua pratica e discorso si pone come una modalità d’intervento che persegue l’esaurimento dello Stato vittima (sempre inferiore nella capacità difensiva) utilizzando la minor quantità di spese finanziarie/militari, sfruttare le vulnerabilità della nazione mediante sabotaggi per abbassare i costi dell’ingerenza ed il subappalto di una forza ribelle che generalizzi la paura nella società e mina le basi del sostegno sociale del Governo. Un modello di guerra privatizzata.

3. Questo segno era presente alla nascita e nell’entrata in attività della cellula terrorista di Oscar Perez, a metà del 2017, ma che in precedenza era già stata provata negli omicidi politici di Robert Serra, Maria Herrera, Eliecer Otaiza, così come nelle rivoluzioni colorate del 2014 e 2017. Mantenendo le evidenti distanze tra questi eventi, ognuna di queste manifestazioni di terrorismo politico ha riprodotto una logica di privatizzazione e di esternalizzazione al momento dell’esecuzione e, successivamente, al momento di assumere i costi ed offuscare complicità di istanze superiori di potere.

4. Seguendo la stessa linea di condotta, il piano di assassinio ha plasmato un modo di operare in cui i reduci della rivoluzione colorata del 2017, in generale giovani fanatici della classe media, compresi elementi associati alla cellula armata di Oscar Perez sono utilizzati come mano d’opera, perfettamente sacrificabile se tutto andava storto, come è successo, mentre i pianificatori e finanziatori attendevano fuori del paese usando le loro residenze in Colombia e negli USA a mo di copertura. Lì anche s’include il promettente deputato Juan Requesens e Julio Borges, ciascuno per la parte che gli corrisponde.

5. Tale forma di procedere nel tentativo di assassinio descrive una meccanica in cui i mercenari che hanno partecipato al golpe colorato del 2017 ora prendono corpo di “esercito industriale di riserva”, insieme all’industria del crimine, in cui un ordine del giorno terrorista può trova abbastanza offerta per realizzarsi. Allo stesso modo, il ruolo dello Stato colombiano nell’avallare quali zone, con elevata presenza paramilitare (caso Cúcuta), servano come centri di addestramento paramilitare e di retroguardia, ruolo che alla sua maniera riproduce anche il Sud della Florida, mette sul tavolo i limiti del diritto internazionale disposto ad essere oltrepassato per alimentare atti sovversivi contro la sicurezza nazionale dello Stato venezuelano. Ora, in un modo più frontale, seguendo la tradizione per la quale gli USA proteggevano terroristi del calibro di Luis Posada Carriles.

6. Anche il contesto gioca un ruolo chiave. Senza possibilità remote di “incendiare la piazza” nel modo tradizionale, gli obiettivi del GNC contro il Venezuela sembrano invertirsi, il che non rappresenta, in alcun modo, una logica inamovibile nel tempo: inibita l’insurrezione “generalizzata” gli obiettivi da attaccare devono profilarsi verso la sovrastruttura (il potere), con l’obiettivo di produrre la frattura sociale e politica che non è stata ottenuta mediante pressione dal basso. E questo passa per l’avviso descritto nel precedente informe speciale: forzare uno scenario di insicurezza generalizzata in cui elementi terroristi siano diretti verso operazioni di omicidio politico, al fine di indebolire lo Stato venezuelano e terrorizzare le basi chaviste. Una sorta di compensazione del fallito assassinio.

Vettore culturale: Saleh, Pérez Venta e Requesens

 

 

E’ con la cosiddetta “Festa Messicana” del 2010 che i partiti di estrema destra venezuelana ottengono egemonizzare tutto il movimento studentesco universitario ,sotto l’ideologia della “lotta nonviolenta” promossa da Gene Sharp e finanziata, per anni, dalla NED e USAID. Volunted Popular prendeva il testimone.

Quell’anno si inaugura in Messico una linea di assemblaggio di giovani formati ideologicamente nel libero mercato e materialmente nell’organizzazione di movimenti di “protesta civica”, eufemismo con cui, di solito, si annuncia dai media una guerra civile.

Ma fu nelle rivoluzioni colorate del 2014 e il 2017, quando i suoi esponenti più visibili di quella “Festa Messicana” (Daniel Ceballos, Lester Toledo, Freddy Guevara, tra altri) hanno mostrato, in realtà, l’orientamento di queste attività e molte altre finanziate dal Dipartimento di Stato USA, per “addestrare” la gioventù dell’opposizione.

Il sangue sparso ed il ruolo giocato da ciascuno di loro ha rivelato che la formazione era diretta all’arte di armare proteste violente ed all’uso di tattiche di guerriglia urbana per affrontare le forze di sicurezza. Lo specchio meccanico dei nazi-ucraini di Maidan, sul suolo venezuelano, è opera della stessa agenda geopolitica ideata sul suolo USA e sperimentata sul corpo della gioventù della classe media.

Con tale specifico strato della società venezuelana, si è cercato fabbricare la base culturale ed ideologica che avrebbe dato legittimità di esecuzione all’emersione di un gruppo terroristico adattato alle condizioni venezuelane, in cui il fanatismo religioso, che è alla base dello Stato Islamico, doveva essere sostituito da un fanatismo nazionalista.

L’odio per ragioni etniche, nelle coordinate identitarie venezuelane, doveva essere sostituito da un odio di classe che trovava tutto il suo antagonismo nel chavismo. I poveri.

Sì, le cosiddetti guarimbas (rivolte di strada ndt) hanno funzionato come poligoni di tiro per sviluppare tali capacità e testare i propri limiti (osservare fino a che punto otteneva mutare l’esperimento), ma soprattutto è stata una fabbrica che ha prodotto una semantica di morte, che ha cercato d’inserirsi nella società venezuelana in funzione di quel consenso forzato che ucciderci è la cosa migliore. L’esperimento mutò e generò una fabbrica di assassini protetti dalla “società civile” di Plaza Altamira.

In questo senso, pensare a Lorent Saleh e alla sua deriva come il futuro novello dell’anno del paramilitarismo colombiano; a Jose Perez Vendita, militante di Voluntad Popular, smembrando Liana Hergueta semplicemente perché un affare non è andato bene; o a Juan Requesens chiedendo, gridando, un intervento militare contro il proprio paese o vincolandosi ad un piano di assassinio; o a Daniel Ceballos e Freddy Guevara dirigendo assassini nelle strade e istigando a bruciare chavisti, permette reinterpretare che ciò che è successo nel 2010 in Messico è stato, in realtà, l’inserimento di un progetto socio-culturale per generare un’insanabile frattura generazionale tra coloro che rappresentano il futuro della nazione. Spaccare il paese in due passa per fabbricare una separazione fratricida tra le sue componenti giovanili.

Tutti questi esponenti della gioventù anti-chavista ed i loro fanatici più dediti, prodotto dell’agenda geopolitica che li ha schiacciati culturalmente, vedono nel chavismo, nella sua gioventù ed in coloro che dirigono lo Stato, un irriconciliabile antagonismo che deve essere sterminato, come è successo a Orlando Figuera, il cui omicidio è stato celebrato come il modo di governo che promette “il miglior Venezuela” di Leopoldo Lopez.

Il chavismo rimane l’unica scommessa seria, reale contro lo sterminio sognato e finanziato dall’USAID.

Vettore geostrategico: Comando Sud, esercitazioni, Haley e Mattis

 

Nel primo informe speciale abbiamo suggerito che con il tentato omicidio si cercava affrettare, molto probabilmente, un “vuoto di autorità” nello Stato, che secondo l’estremismo di coloro che fungono come interlocutori della questione venezuelana di fronte all’Amministrazione Trump, doveva risolversi con un intervento militare per stabilire un Governo di Transizione (GdT), e risolvere la “crisi umanitaria”, guidato dai molteplici presidenti in esilio.

Questa ipotesi assume un tratto più realistico quando a Panama, durante la settimana in cui si è verificato l’attentato, si realizzava un’esercitazione multinazionale di 20 paesi, guidata dal Comando Sud, con l’obiettivo di praticare operazioni di stabilizzazione umanitaria. Il segnale è chiaro.

L’esercitazione multinazionale, chiamata PANAMAX2018, fa parte di una galleria di enormi pratiche militari congiunte che, dall’anno passato, sono state accentuate, ogni volta a minori intervalli di tempo, e con l’obiettivo posto in una “crisi umanitaria” di fronte alla quale è necessario prepararsi.

Ma la confessione che manca nella bocca dei comandanti del Comando Sud, l’ha data, la settimana scorsa, l’ambasciatrice USA all’ONU, Nikki Haley, che in un tour per il confine colombiano-venezuelano ha esortato la comunità internazionale ad isolare Maduro usando come giustificazione la “crisi umanitaria”.

La fragilità della frontiera e l’accentuazione delle sue debolezze storiche e strutturali potenziate dalla GNC, alla luce delle esercitazioni militari del Comando Sud e la dichiarazione di Haley, può essere interpretato come la fabbricazione di un teatro di operazioni per consegnarle tratti di “necessità” all’impostazione che “l’aiuto umanitario” deve entrare con la forza, ciò che avrebbe l’avallo e l’appoggio automatico di uno Stato colombiano dove debutta un fantoccio dell’ uribismo. Sotto l’eufemismo di “riscattare il Venezuela” si nasconde una geo-strategia per intensificare l’assedio dal nostro confine marittimo e territoriale con la Colombia.

E lì le provocazioni paramilitari, allertate dal presidente Nicolás Maduro, come pretesto per propiziare un conflitto bellico binazionale, si posiziona nuovamente nella galleria di risorse da utilizzare.

È per questa ragione che, dopo l’attentato contro Maduro, le coordinate del conflitto si sovvertono nei loro livelli di pericolo. Il livello di articolazione mostrato tra il Comando Sud ed i portavoce della politica estera USA, in questo momento particolare, mette in rilievo l’urgenza di mantenere in programma l’ “urgenza di aiutare il Venezuela”, mentre la GNC affretta le condizioni di crisi e collasso sociale (aumentando il danneggiamento del sistema elettrico e la coazione economica) che riempiono quel discorso.

Il capo del Pentagono, James Mattis, ha iniziato un tour in America Latina. Durante il suo soggiorno in Brasile, ha parlato con le autorità di Venezuela, senza offrire troppi dettagli alla stampa. Ma sebbene questo tour deve essere seguito in dettaglio, è un aspetto antecedente quello che potrebbe dare un senso pratico, almeno rispetto allo specifico venezuelano. Dal punto di vista geopolitico ha rimarcato la “minaccia russa e cinese sul continente”, un aspetto che ci tocca anche come frontiera non conquistata dalla Dottrina Monroe.

Da quando il presidente Donald Trump ha annunciato, nel l’agosto dello scorso anno, che l’ “opzione militare” non era scartata in Venezuela, il Congresso USA, un corpo dal quale si è intrapresa la selvaggia campagna di sanzioni finanziarie, ha preso posizione nella questione.

In una primizia data da Mision Verdad, si mostra come il Congresso aveva chiesto al capo del Pentagono che includesse nella legge dell’anno fiscale 2018 un piano di emergenza di fronte ad una “crisi umanitaria” in Venezuela, sia all’interno che all’esterno dei suoi confini. Lo scenario di “collasso” tracciato dal rapporto è di tali proporzioni che gli USA sarebbero moralmente obbligati ad intervenire.

Il Comitato dei Servizi Armati ha chiesto al Pentagono di prepararsi per fermare una convulsione generalizzata che potrebbe interessare il Brasile, la Guyana, la Colombia, il Perù ed altri paesi. Denominò il Venezuela come uno “stato fallito”, usando una categoria abbastanza specifica affinché gli USA continuino a mantenere l’opzione militare sul tavolo in un contesto in cui l’amministrazione Trump attua al di fuori della legislazione internazionale.

L’uso dello Stato fallito, come una forma di rappresentazione di un conflitto extraterritoriale, in diverse occasioni, è stato usato dagli USA per promuovere interventi militari che si sono conclusi con disastri umanitari.

La legge di bilancio fiscale 2018 è stata approvata prendendo atto di questa relazione, per cui, per quanto riguarda il Venezuela, la visita di Mattis potrebbe andare in questa direzione. Questo non vuol dire, meccanicamente, l’imminenza di un intervento, ma probabilmente la concatenazione di molteplici obiettivi, tra i quali potrebbe evidenziarsi la giustificazione del bilancio, l’intimidazione all’interno dell’alto comando militare e l’applicazione di dispositivi “umanitarie” per mantenere l’ “aiuto umanitario” come una componente centrale della pressione internazionale contro il paese.

Vettore politico: il “Governo di Transizione” (GdT) ed il ritorno all’instabilità

 

Il tentativo di assassinio cerca di riaprire uno scenario di instabilità ed incertezza per impattare sensibilmente il quadro di pace politica costruito a partire dall’anno scorso. Attraverso questo azzeramento di costringerci a ritornare al giorno prima dell’installazione della Costituente, con vari meccanismi non solo si cerca di posizionare, nuovamente, all’ordine del giorno la violenza come dispositivo politico, ma anche le agende golpiste che stanno alla base del conflitto. Ed arriviamo al punto in cui si chiude lo spettro delle possibilità, e sebbene presentino alcune sfumature, nella loro essenza tutte pongono che si tratti di un’azione di forza internazionale quella che rovescerà il chavismo.

La più promossa dall’anti-chavismo d’ estrema destra è l’installazione di un “GdT” in stile libico. L’idea parte, inizialmente, da una complicanza legale e politica: l’intervento militare è difficile che si realizzi senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, dove Russia e Cina, che hanno potere di veto, non darebbero il loro consenso.

L’idea del “GdT” cerca di replicare “la rotta libica”, che secondo alcuni statunitensi che consigliano l’antichavismo non avrebbe bisogno dell’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Un’assurdità, poiché anche quando fu installato un “governo in esilio”, riconosciuto dalle potenze occidentali, richiese passare per i canali del Consiglio di Sicurezza.

Ma in un contesto di decostruzione e crisi sistemica dell’ordine internazionale liberale, v’è una scommessa che il sistema legale sarà spinto al limite e senza mediare in negoziati geopolitici con attori chiave come Russia e Cina, due potenze emergenti con enormi interessi in Venezuela. Gli USA invaderebbero sotto una copertura umanitaria a richiesta di un “GdT” guidato dall’ex sindaco Antonio Ledezma.

Gli USA non si trovano, attualmente, in una posizione dominante a livello geopolitico per intraprendere una classica campagna di intervento militare, protetta dal diritto internazionale, che riproduca automaticamente l’esperienza libica. Per questo motivo gli sforzi passano attraverso la GNC.

E proprio, impiegando tale modalità, il piano di assassinare Maduro ed affrettare una situazione di caos insormontabile, era la formula meno burocratica e scomoda per configurare uno scenario di intervento sofisticato, “umanitario”, con forza dosata, presentato come un “fattore di ordine “e stabilizzazione, che si appoggiasse alla “legittimità di origine” dell’Assemblea Nazionale, dominata dagli antichavisti, per superare il vuoto costituzionale, insieme ai notabili che hanno già il loro “GdT” a Miami e Bogota.

È esattamente in questa meccanica dove acquisisce senso la triangolazione tra assassinio, promozione di un intervento umanitario ed ingresso trionfante del “GdT”.

Vettore militare: l’ultima scommessa del 2018

 

A pochi giorni dall’attuazione di un insieme di misure che puntano a stabilizzare l’economia, né il “GdT”, accompagnato da un intervento umanitario. né il “processo a Maduro” dall’illegale “Tribunale Suprema in esilio”, né la campagna per perseguire il Presidente nella Corte Penale Internazionale, come neppure un programma di sanzioni più selvagge né l’esplosione sociale catastrofica, presentano, fino ad ora, un sufficiente livello di maturità per ottenere un determinante indebolimento del paese e delle sue autorità.

Ed il tempo qui è cruciale, poiché un minimo saldo di ripresa economica si tradurrà in un ancoraggio della legittimità del chavismo e di conseguenza una blindatura delle sue basi e sovrastruttura politica.

In questo contesto, riaffiora la carta della cospirazione militare interna, a cui molti sforzi hanno dedicato i funzionari USA: dall’ex segretario di Stato Rex Tillerson, passando per Marco Rubio e l’ex incaricato d’affari Todd Robinson, sino alle decine di consulenti in outsourcing che offrono tale via come quella che deve seguire l’opposizione per cambiare governo e riprendere il potere politico.

Probabilmente le indagini condotte dallo Stato venezuelano potranno portarci al fatto che il piano di omicidio aveva un qualche tipo di supporto all’interno della FANB, che è ancora da verificare. Il procuratore generale del Venezuela, Tarek William Saab, ha confermato che il generale Alejandro Pérez Gámez ed il colonnello Pedro Zambrano Hernandez, sono detenuti con l’accusa di coinvolgimento nell’attentato.

Tuttavia, i momenti di alto conflittualità politica che abbiamo vissuto negli ultimi tempi stanno emettendo dati e tradizioni: quando c’è un’eccessiva pressione che mette in gioco la vita del paese, la risposta immediata è la coesione. Proprio le recenti defezioni hanno dimostrato che non rappresentano uno spirito maggioritario in una chiave fondamentale del nostro processo politico: l’unione civico-militare.

Agosto sarà cruciale per delimitare con maggiore chiarezza il terreno di gioco in cui ci muoviamo e le condizioni in cui arriveremo al 2019. Per ora, abbiamo lo stesso Presidente che abbiamo eletto nel momento più difficile che abbiamo dovuto vivere, ma che stiamo vivendo.


Mapa ampliado del magnicidio: segundo informe especial

 

Siguen su curso las investigaciones que encabeza el Estado venezolano sobre el fallido intento de magnicidio del pasado 4 de agosto. Hasta el momento, las pesquisas, pruebas y actores involucrados son suficientes para describir el modo de funcionamiento de la agenda terrorista-mercenaria que incursiona sobre el país, pero también los alcances de un punto de inflexión crucial para la cuestión venezolana.

Vector operacional: privatización de la violencia y Guerra No Convencional

En el transcurso de la semana pasada el presidente Nicolás Maduro y el Ministro de Comunicación e Información, Jorge Rodríguez, mostraron pruebas reveladoras sobre la operación frustrada de magnicidio. En el marco de lo que presentaron ante los medios, seis aspectos destacan por su relevancia, tanto por lo político como por el esquema operacional utilizado.

1. El aparente vacío político subyacente a la operación quedó saldado con el testimonio de Juan Requesens, quien delató a su compañero de partido, Julio Borges, como jefe político inmediato del intento de magnicidio al usar sus contactos con el gobierno colombiano para proteger a los operadores y planificadores del antentado. A Requesens, días antes, ya lo había delatado Juan Carlos Monasterios, alias “Bons”, encargado del entrenamiento y la logística en el terreno. Posteriormente lo hizo el periodista Jaime Bayly, quien confirmó que efectivamente estábamos ante un plan que tenía niveles de coordinación en Estados Unidos.

2. La Guerra No Convencional (GNC) que vive el país, en sus múltiples manifestaciones, debe verse como la traducción, en el ámbito militar, de los esquemas y dispositivos del neoliberalismo que regulan la vida social, económica y cultural de la sociedad global. La GNC tiene forma de empresa y se rige por códigos de reducción de costos y maximización de beneficios. Por esa razón, desde su práctica y discurso, se plantea como un modo de intervención que persigue la extenuación del Estado-víctima (siempre inferior en capacidad defensivas) utilizando la menor cantidad de gastos financieros/militares, explotar las vulnerabilidades de la nación mediante sabotajes para abaratar los costos de la injerencia y la subcontratación de una fuerza insurgente que generalice el miedo en la sociedad y socave las bases de apoyo social del Gobierno. Un modelo de guerra privatizada.

3. Este signo estuvo presente en el nacimiento y entrada en operaciones de la célula terrorista de Óscar Pérez a mediados de 2017, pero que con anterioridad ya se había probado en los asesinatos políticos de Robert Serra, María Herrera, Eliécer Otaiza, así como en las revoluciones de color de 2014 y 2017. Guardando las evidentes distancias entre estos eventos, cada una de esas manifestaciones de terrorismo político reprodujo una lógica de privatización y tercerización a la hora de ejecutar y, posteriormente, a la hora de asumir los costos y desdibujar complicidades de instancias superiores de poder.

4. Siguiendo ese mismo curso de acciones, el plan de magnicidio plasmó un modo de operar donde los reductos de la revolución de color de 2017, en general jóvenes de clase media fanatizados, incluyendo factores asociados a la célula armada de Óscar Pérez, son utilizados como mano de obra subcontratada, perfectamente sacrificable si todo salía mal, tal cual ocurrió, mientras que los planificadores y financistas aguardaban fuera del país utilizando sus residencias en Colombia y Estados Unidos a modo de cobertura. Allí también se incluye al diputado promesa Juan Requesens y a Julio Borges, cada uno del lado que le correspondía.

5. Esa forma de procedimentar el intento de magnicidio describe una mecánica donde los mercenarios que participaron en el golpe de color de 2017 ahora toman cuerpo de “ejército industrial de reserva”, junto a la industria del crimen, en el cual una agenda terrorista puede encontrar la suficiente oferta para realizarse. De igual forma, el papel del Estado colombiano al avalar cuáles zonas con elevada presencia paramilitar (caso Cúcuta) sirvan como centros de adiestramiento paramilitar y retaguardia, rol que a su forma reproduce también el Sur de la Florida, pone encima del tapete los límites del derecho internacional dispuestos a ser rebasados para alimentar actos subversivos contra la seguridad nacional del Estado venezolano. Ahora, de una manera más frontal, siguiendo la tradición bajo la cual Estados Unidos protegió a terroristas de la estatura de Luis Posada Carriles.

6. También juega un papel clave el contexto. Sin posibilidades remotas de “calentar la calle” a la usanza tradicional, los objetivos de la GNC contra Venezuela parecen invertirse, lo que no representa de ningún modo una lógica inamovible en el tiempo: inhibida la insurrección “generalizada”, los blancos a atacar deben perfilarse hacia la superestructura (el poder), con el objetivo de producir la fractura social y política que no se logró mediante presión desde abajo. Y eso pasa por la alerta descrita en el pasado informe especial: forzar un escenario de inseguridad generalizada donde elementos terroristas sean enfilados hacia operaciones de sicariato político, con el fin de debilitar al Estado venezolano y atemorizar a las bases chavistas. Una especie de compensación al magnicidio frustrado.

Vector cultural: Saleh, Pérez Venta y Requesens

Es con la denominada “Fiesta Mexicana” de 2010 que los partidos de extrema derecha venezolana logran hegemonizar a totalidad el movimiento estudiantil universitario, bajo la ideología de la “lucha no violenta” promocionada por Gene Sharp y financiada por la NED y la USAID durante años. Voluntad Popular tomaba la batuta.

Ese año se inaugura en México una línea de ensamblaje de jóvenes formados ideológicamente en el libre mercado y materialmente en la organización de movimientos de “protesta ciudadana”, ese eufemismo con el que se suele anunciar una guerra civil desde los medios de comunicación.

Pero fue en las revoluciones de color de 2014 y 2017 cuando sus exponentes más visibles de aquella “Fiesta Mexicana” (Daniel Ceballos, Lester Toledo, Freddy Guevara, entre otros) mostraron, en realidad, la orientación de esas actividades y otras tantas financiadas desde el Departamento de Estado de Estados Unidos, para “adiestrar” a la juventud opositora.

La sangre derramada y el rol que jugaron cada uno de ellos revelaron que la formación iba dirigida al arte de armar protestas violentas y al uso de tácticas de guerrilla urbana para enfrentar a las fuerzas de seguridad. El espejo mecánico de los ucronazis del Maidán en suelo venezolano es obra de una misma agenda geopolítica labrada en suelo estadounidense y experimentado sobre el cuerpo de la juventud clase media.

Con ese estrato específico de la sociedad venezolana, se intentó fabricar la base cultural e ideológica que le daría legitimidad de desempeño a la emergencia de un grupo terrorista adaptado a las condiciones venezolanas, en el cual el fanatismo religioso que sirve de base al Estado Islámico debía ser sustituido por un fanatismo nacionalista.

El odio por razones étnicas, en las coordenadas identitarias venezolanas, debía ser reemplazado por un odio de clase que encontraba todo su antagonismo en el chavismo. Los pobres.

Sí, las denominadas guarimbas funcionaron como polígonos de tiro para desarrollar esas capacidades y probar sus propios límites (observar hasta dónde lograba mutar el experimento), pero sobre todo fue una fábrica que produjo una semántica de la muerte, la cual buscó insertarse en la sociedad venezolana en función de aquel forzado consenso de que matarnos es lo mejor. El experimento mutó y generó una fábrica de asesinos protegidos por la “sociedad civil” de Plaza Altamira.

En ese sentido, pensar en Lorent Saleh y en su deriva como futuro novato del año del paramilitarismo colombiano; a José Pérez Venta, militante de Voluntad Popular, descuartizando a Liana Hergueta simplemente porque un negocio no salió bien; o a Juan Requesens pidiendo a gritos una intervención militar contra su propio país o vinculándose a un plan de magnicidio; o a Daniel Ceballos y a Freddy Guevara dirigiendo asesinos en las calles e instigando a quemar chavistas, permite reinterpretar que lo que ocurrió en 2010 en México fue, en realidad, la inserción de un proyecto sociocultural para generar una fractura generacional irreconciliable entre quienes representan el futuro de la nación. Partir en dos al país pasa por fabricar una separación fratricida entre sus componentes juveniles.

Todos estos exponentes de la juventud antichavista y sus fanáticos más dedicados, producto de la agenda geopolítica que los aplastó culturalmente, ven en el chavismo, en su juventud y en quienes dirigen el Estado, un antagonismo irreconciliable que debe ser exterminado, tal cual ocurrió con Orlando Figuera, cuyo asesinato fue celebrado como el modo de gobierno que promete “La Mejor Venezuela” de Leopoldo López.

El chavismo sigue siendo la única apuesta seria, real, contra el exterminio soñado y financiado por la USAID.

Vector geoestratégico: Comando Sur, ejercicios, Haley y Mattis

En el primer informe especial sugeríamos que con el intento de magnicidio se buscaba precipitar, muy probablemente, un “vacío de autoridad” en el Estado, que acorde al extremismo de quienes fungen como interlocutores de la cuestión venezolana ante la Administración Trump, debía resolverse con una intervención militar para establecer un Gobierno de Transición y resolver la “crisis humanitaria”, encabezado por los múltiples presidentes en el exilio.

Esa hipótesis se abroga un rasgo de mayor realismo cuando en Panamá, durante la semana en que ocurrió el intento de magnicidio, se daba un ejercicio multinacional de 20 países, encabezado por el Comando Sur, con el objetivo de practicar operaciones de estabilización humanitaria. El guiño ha quedado claro.

El ejercicio multinacional, denominado PANAMAX2018, forma parte de una galería de enormes prácticas militares conjuntas que desde el año pasado vienen acentuándose, cada vez con menores intervalos de tiempo y con el blanco puesto en una “crisis humanitaria” ante la que hay que prepararse.

Pero la confesión que falta en la boca de los comandantes del Comando Sur, la dio la semana pasada la embajadora estadounidense ante la ONU, Nikki Haley, quien en un recorrido por la frontera colombo-venezolana exhortó a la comunidad internacional que debe aislar a Maduro utilizando como justificación la “crisis humanitaria”.

La fragilidad de la frontera y la acentuación de sus debilidades históricas y estructurales potenciadas por la GNC, a la luz de los ejercicios militares del Comando Sur y la declaración de Haley, puede ser interpretado como la fabricación de un teatro de operaciones para otorgarle rasgos de “necesidad” al planteamiento de que la “ayuda humanitaria” debe ingresar a la fuerza, lo cual tendría el aval y el apoyo automático de un Estado colombiano donde se estrena un títere del uribismo. Bajo el eufemismo de “rescatar a Venezuela” se encubre una geoestrategia para intensificar el cerco desde nuestra frontera marítima y territorial con Colombia.

Y allí las provocaciones paramilitares advertidas por el presidente Nicolás Maduro, como excusa para propiciar un conflicto bélico binacional, se posiciona nuevamente en la galería de recursos a utilizar.

Es por esta razón que, después del atentado contra Maduro, las coordenadas del conflicto se trastocan en sus cotas de peligro. El nivel de articulación mostrado entre el Comando Sur y las vocerías de la política exterior de Estados Unidos en este momento específico, pone en relieve la urgencia de mantener en cartelera la “urgencia de ayudar a Venezuela”, mientras la GNC precipita las condiciones de crisis y colapso social (elevando la afectación del sistema eléctrico y la coacción económica) que rellenen ese discurso.

El jefe del Pentágono, James Mattis, ha iniciado una gira por Latinoamérica. Durante su estadía en Brasil, conversó con las autoridades sobre Venezuela, sin ofrecer demasiados detalles a la prensa. Pero si bien esta gira debe seguirse con detalle, es un aspecto anterior el que le podría otorgar un sentido práctico, al menos en lo que respecta a lo específicamente venezolano. En lo geopolítico remarcó la “amenaza rusa y china en el continente”, un aspecto que también nos toca como frontera no conquistada por la Doctrina Monroe.

Desde que el presidente Donald Trump anunciara, en agosto del año pasado, que la “opción militar” no estaba descartada sobre Venezuela, el Congreso estadounidense, instancia desde la cual se ha emprendido la salvaje campaña de sanciones financieras, tomó cartas en el asunto.

En una primicia dada por Misión Verdad, mostramos cómo el Congreso había solicitado al jefe del Pentágono que incluyera en la ley del año fiscal 2018 un plan de contingencia ante una “crisis humanitaria” en Venezuela, tanto dentro como fuera de sus fronteras. El escenario de “colapso” dibujado por el reporte es de tales proporciones que Estados Unidos estaría obligado moralmente a intervenir.

El Comité de Servicios Armados le pidió al Pentágono alistarse para detener una convulsión generalizada que pudiera afectar a Brasil, Guyana, Colombia, Perú, entre otros países. Denominó a Venezuela como un “Estado fallido”, empleando una categoría lo bastante específica como para que Estados Unidos siga sosteniendo la opción militar sobre la mesa en un contexto donde la Administración Trump actúa al margen de la legislación internacional.

El uso del Estado fallido como una forma de representación de un conflicto extraterritorial, en varias oportunidades, ha sido usado por Estados Unidos para promover intervenciones militares que han terminado en desastres humanitarios.

La ley de presupuesto fiscal 2018 fue aprobada tomando nota de este reporte, por lo que, con respecto a Venezuela, la visita de Mattis podría ir en este sentido. Esto no significa, de forma mecánica, la inminencia de la intervención, sino probablemente la concatenación de múltiples objetivos, entre los cuales podrían destacarse la justificación presupuestaria, la intimidación a lo interno del alto mando militar y la aplicación de dispositivos “humanitarios” para mantener la “ayuda humanitaria” como un componente central de la presión internacional contra el país.

Vector político: el “Gobierno de Transición” y la vuelta a la inestabilidad

El intento de magnicidio busca reabrir un escenario de inestabilidad e incertidumbre para afectar sensiblemente el cuadro de paz política construido desde el año pasado. Por medio de ese reseteo, de forzarnos a volver al día anterior a la instalación de la Constituyente por diversos mecanismos, no solo se intenta posicionar nuevamente en la agenda la violencia como dispositivo político, sino también las agendas golpistas que subyacen al conflicto. Y llegamos al punto donde se cierra el espectro de posibilidades, y aunque presenten algunos matices, en su esencia todas plantean que es una acción de fuerza internacional la que derrocará al chavismo.

La más promovida por el antichavismo de extrema derecha es la instalación de un “Gobierno de Transición” al estilo libio. La idea parte, inicialmente, de una complicación legal y política: la intervención militar es difícil que se dé sin el aval del Consejo de Seguridad, donde Rusia y China, que tienen poder de veto, no darían su consentimiento.

La idea del “Gobierno de Transición” intenta replicar “la ruta libia”, que según algunos estadounidenses que asesoran al antichavismo no necesitaría del beneplácito del Consejo de Seguridad de la ONU. Un absurdo, ya que aún cuando se instaló un “gobierno en el exilio” reconocido por las potencias occidentales, requirió pasar por los canales del Consejo de Seguridad.

Pero en un contexto de deconstrucción y crisis sistémica del orden internacional liberal, existe una apuesta de que el sistema legal será llevado al límite y sin mediar en negociaciones geopolíticas con actores claves como Rusia y China, ambas potencias emergentes con enormes intereses en Venezuela. Estados Unidos invadiría bajo una cobertura humanitaria a petición de un “Gobierno de Transición” encabezado por el ex alcalde Antonio Ledezma.

Estados Unidos actualmente no se encuentra en una posición dominante a nivel geopolítico para emprender una campaña clásica de intervención militar, amparada en la ley internacional, que reproduzca automáticamente la experiencia libia. Por esa razón los esfuerzos van por la vía de la GNC.

Y justamente, empleando esa modalidad, el plan de asesinar a Maduro y precipitar una situación de caos insuperable, era la forma menos burocrática e incómoda para configurar un escenario de intervención sofisticada, “humanitaria”, con fuerza dosificada, presentada como “factor de orden” y de estabilización, que se apoyara en la “legitimidad de origen” de la Asamblea Nacional dominada por el antichavismo para superar el vacío constitucional, de mano de los notables que ya tienen su “Gobierno de Transición” en Miami y Bogotá.

Es exactamente en esa mecánica donde adquiría sentido la triangulación entre magnicidio, promoción de una intervención humanitaria y la entrada triunfal del “Gobierno de Transición”.

Vector militar: la última apuesta de 2018

A pocos días de la implantación de un conjunto de medidas que apuestan a estabilizar la economía, ni el “Gobierno de Transición” acompañado de una intervención humanitaria, ni el “juicio a Maduro” por el trucho “Tribunal Supremo en el exilio”, ni la campaña para enjuiciar al Presidente en la Corte Penal Internacional, así como tampoco una agenda de sanciones más salvaje ni la explosión social catastrófica, plantean, hasta los momentos, un nivel de suficiente maduración para lograr un socavamiento determinante del país y sus autoridades.

Y el tiempo aquí es crucial, en tanto y en cuanto un saldo mínimo de recuperación económica resultará en un anclaje de la legitimidad del chavismo, y en consecuencia un blindaje de sus bases y superestructura política.

En ese contexto, resurge la carta de la conspiración militar interna, a la que tantos esfuerzos le han dedicado funcionarios estadounidenses, desde el ex secretario de Estado Rex Tillerson, pasando por Marco Rubio y el ex encargado de negocios Todd Robinson, hasta las decenas de asesores outsourcing que ofrecen esa vía como aquella que debe seguir la oposición para cambiar de gobierno y retormar el poder político.

Probablemente las investigaciones que realiza el Estado venezolano podrían llevarnos a que el plan de magnicidio tuvo algún tipo de soporte a lo interno de la FANB, lo que aún está por comprobarse. El fiscal general venezolano, Tarek William Saab, confirmó el general Alejandro Pérez Gámez y el coronel Pedro Zambrano Hernández, se encuentran detenidos por sospechas de haber participado en el atentado.

Sin embargo, los momentos de alta conflictividad política que hemos vivido en tiempos recientes van emitiendo datos y tradiciones: cuando existe una presión excesiva que pone en juego la vida del país, la respuesta inmediata es la cohesión. Justamente las defecciones recientes han demostrado que no representan un espíritu mayoritario en una clave fundamental de nuestro proceso político: la unión cívico-militar.

El mes de agosto será crucial para delimitar con mayor claridad el terreno de juego en el que nos movemos y las condiciones en que llegaremos a 2019. Por lo pronto, tenemos al mismo Presidente que elegimos en el momento más duro que nos ha tocado vivir, pero que estamos viviendo.

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