Le quattro crisi che collocano Iván Duque in un vicolo cieco

María Fernanda Barreto http://misionverdad.com

Si sono completati i primi 30 giorni di governo di Ivan Duque in Colombia. I media colombiani abbondano in valutazioni della sua performance nel primo mese e dei problemi che già affronta.

Il nuovo gabinetto ministeriale come strategia di marketing di un governo che cerca di apparire come tecnocratico, progressista e depoliticizzato, ha ricevuto molte critiche per le nomine legate ad Uribe, alla corruzione ed alla parapolítica, come la nuova ministra degli interni Nancy Gutierrez, a cui, nel 2008, le è stata aperta un’indagine per i collegamenti con il paramilitarismo e la ministra del lavoro, Alicia Arango, che è stata segretaria privata di Uribe Vélez.

Vengono anche criticate le nomine di Alejandro Ordoñez come ambasciatore dell’OSA, e il nuovo ambasciatore negli USA. Duque lotta, inoltre, per la costruzione dell’egemonia nel Congresso che maggioritariamente si dibatte tra la destra non uribista e quella uribista, che ovviamente conta sull’appoggio dell’ultra destra.

La sinistra e il centro sono rimasti, come al solito, dando la titaniche battaglie affinché li si ascolti. L’annuncio della sua proposta di estendere l’IVA a tutti i prodotti del paniere famigliare è stato il passo finale affinché, prima di completare il suo primo mese, già alcuni sondaggisti hanno indicato che la sua popolarità era diminuita del 12%. Anche così, le summenzionate sono le più piccole crisi che affronta, nel suo primo mese, il nuovo presidente uribista; le più grandi crisi sono altre.

La crisi del narcotraffico e le pressioni USA

 

Essere presidente dell’attuale Colombia implica battersi con i poteri effettivi che dominano il paese. Il governo USA ha fatto pressioni sul governo Santos a causa dell’aumento della produzione di coca e cocaina e continua a farlo con il governo entrante. Duque nomina l’ex vice presidente Francisco Santos come nuovo ambasciatore della Colombia negli USA, e la prima cosa che gli affida è migliorare le relazioni che sono viste colpite dall’espansione delle coltivazioni illecite.

Immediatamente, il nuovo ambasciatore ha difeso pubblicamente l’uso del glifosato e si è riferito alla sradicamento manuale delle coltivazioni illecite -che è stata parte fondamentale degli accordi sottoscritti all’Avana tra il governo colombiano e le FARC- come “una storia”.

L’impatto positivo di questa tecnica di fumigazione non è stata dimostrata più che nell’aumento del prezzo della materia prima; ciò che sì è stato comprovato è che la fumigazione con glifosato colpisce gli esseri umani, altre colture legali e l’ecosistema in generale.

D’altra parte, risponde prendendo risoluzioni di tipo poliziesco per sequestrare la dose minimali di consumo e affrontare il “jibareo” (spaccio) nei parchi pubblici, definizioni che di nuovo consegnano al piccolo venditore ed al consumatore il lato più duro della repressione che non affrontano i grande signori della droga. Il vero dilemma di Duque è come soddisfare i settori governativi degli USA, frenando il commercio che ossigena e sostiene l’economia colombiana, la para-politica e l’affare della guerra, che a sua volta si mescola con gli interessi degli altri settori dello stesso stato nordamericano?

Secondo alcuni analisti, è il denaro del traffico di droga quello che contiene l’economia colombiana e la salva da crisi come quelle che attualmente si trovano ad affrontare altri governi di destra nella regione. Forse per questo le misure annunciate colpiscono solo gli anelli più deboli nella catena della produzione e del consumo di droga, nonostante la pressione della Casa Bianca.

La crisi del processo di pace

 

La pace non sembra in alcun modo far parte della strategia dello stato che è giunto a condurre la recluta di Uribe. La vera strategia sembra essere la “pacificazione”. Questo processo è visto come un trionfo militare basato sulla resa forzata delle organizzazioni guerrigliere e sull’assassinio e giudirizzazione dell’opposizione legale.

Alla luce di questa strategia, comincia a sentirsi in Colombia un nuovo assalto paramilitare, che ha già assassinato, solo nel 2018, oltre 150 dirigenti sociali in tutto il paese, configurando un nuovo genocidio.

Questa settimana, sotto la pressione dell’opposizione al Congresso, diverse autorità statali sono state convocate per discutere di questo tema, mentre una folla si è radunata nella Plaza de Bolívar per accompagnare il dibattito. D’altra parte, l’accordo con le FARC continua a sgretolarsi a causa delle molteplici violazioni dello Stato e vari dei leader di quel partito hanno deciso di tornare alla clandestinità. Tra coloro che persistono in quanto comcordato ha iniziato a denunciarsi la riluttanza del nuovo governo a rispettare i detti accordi.

Infine, il tavolo di dialogo con l’ELN -che ora è la più grande organizzazione di guerriglieri in Colombia- è in un silenzio imbarazzante. Mentre la Delegazione di Pace rimane a L’Avana, in attesa della delegazione governativa, Duque annuncia di esser pronto a dialogare se, in poche parole, l’ELN si arrende.

In un’intervista che ci ha recentemente concesso a L’Avana il capo della Delegazione di Pace, ha detto che tale organizzazione non ripeterà gli errori commessi negli accordi con le FARC, né in alcun modo contempla la resa. Duque esige liberazioni, l’ELN annuncia che farà alcune liberazioni nei prossimi giorni, ma v’è ancora una generale aspettativa se continueranno o meno questi dialoghi, che sono l’unica speranza immediata di una soluzione politica del conflitto sociale ed armato che vive la Colombia.

La crisi che questa situazione genera al governo colombiano ha anche a che fare con l’immagine di post-conflitto, o -post accordo- che ha installato nella sua retorica e per cui ha già iniziato a ricevere molteplici finanziamenti internazionali ma anche perché l’ordine interno gli è imprescindibile per assumere il nuovo ruolo che gli ha assegnato la NATO come forza armata multi-missione, interagenzia ed altri eufemismi che si traducono in quella che sarà la principale forza militare al servizio degli USA, data la grande esperienza di guerra irregolare che fa delle forze armate colombiane e dei gruppi paramilitari la principale fonte di contractor civili che operano, oggi, in Medio Oriente.

La crisi del combustibile per le misure venezuelane

 

Duque eredita da Santos il pesante compito di essere l’avanguardia nell’aggressione contro il Venezuela. Diplomaticamente e mediaticamente ha saputo adempiere al compito. Si ritira da UNASUR e mantiene il suo discorso belligerante parlando a voce alta degli affari interni del Venezuela.

Continua a plasmare il discorso della crisi di rifugiati, ottenendo più risorse economiche per essa, impegnandosi in esercitazioni militari e nominando uno dei quadri più impopolari dell’uribismo nell’OSA, dove si prevede che attaccare il Venezuela sarà il suo principale compito. Ma la verità è che le risposte che il governo venezuelano ha dato a queste aggressioni sono andate pregiudicando le mafie che si alimentano del contrabbando di estrazione, del Bolívar Cucuta e tutta l’economia -compresa la legalizzata- che parassita dell’economia venezuelana.

Queste misure non solo stanno creando immediate conseguenze in quei settori economici, ma minacciano di generare una vera e propria crisi sociale, in particolare nel Norte de Santander, dove l’abbandono dello Stato comincia a diventare evidente non appena l’economia venezuelana cessa di nutrirlo. Con il 77%, Norte de Santander era il dipartimento che ha votato in maggior proporzione per Iván Duque nelle ultime elezioni.

Le conseguenze delle misure adottate dal Venezuela, circa la sovvenzione della benzina ed il controllo cambiario, rovinerebbero il grande affare del contrabbando di combustibile che coinvolge, purtroppo, anche famiglie umili che si trovano in questo affare, legalizzato dal Uribe Velez: l’unico modo per sopravvivere all’abbandono dello stato colombiano.

Cercando di calmare le acque, Duque si destreggia e consegna, per esempio, la presidenza dell’Agenzia Nazionale per gli Idrocarburi all’ex governatore di quel dipartimento, Luis Morelli.

Anche così, Duque sembra rifiutarsi di intervenire militarmente in Venezuela -forse perché internamente non c’è consenso nell’oligarchia colombiana in questo senso- e pubblicamente respinge un’azione unilaterale. Il suo mentore politico decide quindi di parlare per lui e, questa settimana, al Congresso ha chiesto un intervento militare contro il Venezuela, questo sì, “legale”, che può riferirsi a qualsiasi insignificante avallo dato dall’OSA.

La crisi politica interna

 

Ma la più grande crisi interna che Iván Duque affronta, in questo momento, è una crisi di identità. Nessuno dubita che l’uribismo governa attualmente la Colombia ma cresce il dubbio sul fatto che sia Alvaro Uribe Vélez o Iván Duque che diriga il governo nazionale.

Come un’eco di questa crisi, questa settimana nel corso di un evento internazionale, la nuova Ministra della Giustizia della Colombia si è confusa di cognome riferendosi al presidente della Colombia, chiamando “presidente Uribe” a Duque, ciò che ovviamente è stato ampiamente diffuso dalle reti sociali, convertendo il dubbio in una burla.

È sempre più evidente che questa dottrina politica dell’estrema destra colombiana, emersa all’inizio del XXI secolo, chiamata “uribismo”, inizia a ostacolare il suo mentore principale. Se l’ego di Uribe non gli permette di appartarsi come sembrava avesse fatto intendere il giorno delle elezioni presidenziali, rischia di correre la sorte di altri alleati che gli USA hanno scartato come Manuel Noriega e Saddam Hussein.

Il risultato è che, mentre la campagna mediatica internazionale si concentra nel dire che il Venezuela si è convertito in uno “stato fallito” in Colombia c’è un governo stretto tra la pressione USA, gli interessi dei poteri forti, i conflitti politici e sociali interni e, in mezzo a tutte quelle crisi, l’identità del presidente colombiano è in dubbio. Alla luce dei fatti, è chiaro che è la Colombia che è diventata uno “stato fallito” che cerca di transnazionalizzarsi.


Las cuatro crisis que colocan en un callejón sin salida a Iván Duque

María Fernanda Barreto

Se cumplieron los primeros 30 días de gobierno de Iván Duque en Colombia. Los medios de comunicación colombianos abundan en evaluaciones sobre su desempeño en el primer mes y los problemas que ya afronta.

El nuevo gabinete ministerial como estrategia de márketing de un gobierno que procura lucir tecnocrático, progresista y despolitizado, recibe muchas críticas por nombramientos vinculados a Uribe, la corrupción y la parapolítica, como la nueva ministra del interior Nancy Gutiérrez, a quien en 2008 se le abriera una investigación por vínculos con el paramilitarismo, y la ministra del trabajo Alicia Arango, quien fuera secretaria privada de Uribe Vélez.

También son cuestionados los nombramientos de Alejandro Ordoñez como embajador en la OEA, y el nuevo embajador en Estados Unidos. Duque pugna, además, por la construcción de la hegemonía en el Congreso que mayoritariamente se debate entre la derecha no uribista y la uribista, que obviamente cuenta con el respaldo de la ultraderecha.

La izquierda y el centro quedaron como de costumbre, dando batallas titánicas para que se les escuche. El anuncio de su propuesta de extender el IVA a todos los productos de la canasta familiar fue el paso final para que, antes de cumplir su primer mes, ya algunas encuestadoras señalaran que su popularidad había caído en un 12%. Aún así, las mencionadas son las más pequeñas crisis que afronta en su primer mes el nuevo presidente uribista, las más grandes crisis son otras.

La crisis del narcotráfico y las presiones estadounidenses

Ser presidente de la Colombia actual implica lidiar con los poderes fácticos que dominan el país. El gobierno estadounidense venía presionando al gobierno de Santos por el aumento en la producción de coca y cocaína, y continúa haciéndolo con el gobierno entrante. Duque nombra al ex vicepresidente Francisco Santos como nuevo embajador de Colombia en Estados Unidos, y lo primero que le encomienda es mejorar las relaciones que se han visto afectadas por la expansión de cultivos ilícitos.

De inmediato, el nuevo embajador defendió públicamente el uso del glifosato y se refirió a la erradicación manual de cultivos ilícitos -que fue parte fundamental de los acuerdos firmados en La Habana entre el gobierno colombiano y las FARC- como “un cuento”.

El impacto positivo de esta técnica de fumigación no se ha comprobado más que en el aumento del precio de la materia prima, lo que sí se ha comprobado es que la fumigación con glifosato afecta a los seres humanos, otros cultivos lícitos y al ecosistema en general.

Por otro lado, responde tomando resoluciones de tipo policial para decomisar la dosis mínima de consumo y enfrentar el “jibareo” en los parques públicos, definiciones que de nuevo voltean al minorista y al consumidor el lado más duro de la represión que no enfrentan los grandes capos de la droga. El verdadero dilema de Duque es: ¿cómo satisfacer a los sectores gubernamentales de los Estados Unidos poniendo freno al negocio que oxigena y sostiene la economía colombiana, la parapolítica y el negocio de la guerra, que a su vez se mezcla con los intereses de otros sectores del mismo Estado norteamericano?

Según algunos analistas, son los dineros del narcotráfico los que contienen la economía colombiana y la salvan de crisis como las que actualmente enfrentan los otros gobiernos de derecha en la región. Tal vez por ello las medidas anunciadas sólo golpean los eslabones más débiles de la cadena de producción y consumo de drogas, a pesar de las presiones de la Casa Blanca.

La crisis del proceso de paz

La paz no parece de ningún modo ser parte de la estrategia del Estado que entró a conducir el bisoño de Uribe. La verdadera estrategia parece ser la “pacificación”. Este proceso es visto como un triunfo militar que se sustenta en la rendición forzada de las organizaciones guerrilleras y el asesinato y judicialización de la oposición legal.

A la luz de esta estrategia, comienza a sentirse en Colombia una nueva arremetida paramilitar que ya ha asesinado sólo en 2018 más de 150 líderes y lideresas sociales en todo el país, configurando un nuevo genocidio.

Esta semana por presión de la oposición en el Congreso, se convocó a diversas autoridades del Estado para debatir este tema, mientras una multitud se congregó en la plaza de Bolívar para acompañar el debate. Por otro lado, continúa desmoronándose el acuerdo con las FARC debido a los múltiples incumplimientos del Estado y varios de los líderes de ese partido decidieron volver a la clandestinidad. Entre quienes persisten en lo acordado ha comenzado a denunciarse la poca voluntad del nuevo gobierno para el cumplimiento de dichos acuerdos.

Por último, la mesa de diálogo con el ELN -que ahora es la organización guerrillera más grande de Colombia- está en un silencio incómodo. Mientras la Delegación de Paz se mantiene en La Habana esperando a la delegación del gobierno, Duque anuncia estar listo para dialogar si, en pocas palabras, el ELN se rinde.

En una entrevista que nos concediera recientemente en La Habana el jefe de la Delegación de Paz, dijo que esa organización no repetirá los errores que se cometieron en los acuerdos con las FARC, ni de ningún modo contempla una rendición. Duque exige liberaciones, el ELN anuncia que hará unas liberaciones en los próximos días, pero aún hay una expectativa general sobre si continuarán o no estos diálogos, que son la única esperanza inmediata de conseguir una salida política al conflicto social y armado que vive Colombia.

La crisis que esta situación le genera al gobierno colombiano también tiene que ver con la imagen de posconflicto -o posacuerdo- que ha instalado en su retórica, y por la que ya ha comenzado a recibir múltiples financiamientos internacionales, pero también porque el orden interno le es imprescindible para asumir el nuevo papel que le ha asignado la OTAN como fuerza armada multimisión, interagenciada y demás eufemismos que se traducen en que será la principal fuerza militar al servicio de los Estados Unidos, dada la amplia experiencia en guerra irregular que hace de las fuerzas armadas colombianas y los grupos paramilitares el principal abastecimiento de las contratistas civiles que operan hoy día en Medio Oriente.

La crisis del combustible por las medidas venezolanas

Duque hereda de Santos la pesada tarea de ser la vanguardia en la agresión contra Venezuela. Diplomática y mediáticamente ha sabido cumplir la tarea. Se retira de UNASUR y mantiene su discurso beligerante hablando en voz alta sobre los asuntos internos de Venezuela.

Continúa configurando el discurso de la crisis de refugiados, obteniendo más recursos económicos para ello, involucrándose en ejercicios militares y designando a uno de los cuadros más impopulares del uribismo en la OEA, donde se prevé que atacar a Venezuela será su principal tarea. Pero lo cierto es que las respuestas que el gobierno venezolano ha dado a estas agresiones, han venido perjudicando a las mafias que se nutren del contrabando de extracción, del Bolívar Cúcuta y toda la economía -incluso la legalizada- que parasita de la economía venezolana.

Estas medidas no solamente están generando consecuencias inmediatas en esos sectores económicos, sino que amenazan con generar una verdadera crisis social particularmente en el Norte de Santander, donde el abandono estatal comienza a evidenciarse tan pronto la economía venezolana deja de nutrirlo. Con el 77%, el Norte de Santander fue el departamento que votó en mayor proporción por Iván Duque en las pasadas elecciones.

Las consecuencias de las medidas tomadas por Venezuela en torno al subsidio de la gasolina y al control cambiario darían al traste con el negocio redondo del contrabando de combustible que lamentablemente también involucra a familias humildes que encuentran en este negocio, legalizado por Uribe Vélez, el único modo de sobrevivir al abandono del Estado colombiano.

Tratando de calmar las aguas, Duque hace malabarismos y entrega, por ejemplo, la presidencia de la Agencia Nacional de Hidrocarburos al ex gobernador de ese departamento, Luis Morelli.

Aún así, Duque parece negarse a intervenir militarmente en Venezuela -tal vez porque internamente no hay consenso en la oligarquía colombiana al respecto-, y públicamente desestima una acción unilateral. Su mentor político decide entonces hablar por él y esta semana en el Congreso llamó a una intervención militar contra Venezuela, eso sí, “legal”, lo cual puede referirse a cualquier aval írrito otorgado por la OEA.

La crisis política interna

Pero la más grande crisis interna que enfrenta Iván Duque en este momento es una crisis de identidad. Nadie duda que el uribismo gobierna Colombia actualmente, pero la duda sobre si es Álvaro Uribe Vélez o Iván Duque quien dirige el gobierno nacional, crece.

Como un eco de esta crisis, esta semana durante un evento internacional, la nueva ministra de justicia de Colombia se confundió de apellido al referirse al presidente de Colombia, llamando “presidente Uribe” a Duque, lo que obviamente fue ampliamente difundido por las redes sociales, convirtiendo a la duda en una burla.

Cada vez es más evidente que a esa doctrina política de la ultraderecha colombiana que surgió a principios del siglo XXI llamada “uribismo” empieza a estorbarle a su mentor principal. Si el ego de Uribe Vélez no le permite apartarse como parecía haberlo entendido el día de las elecciones presidenciales, se arriesga a correr el destino de otros aliados que los Estados Unidos ha desechado como Manuel Noriega y Saddam Hussein.

Lo concluyente es que, mientras la campaña mediática internacional se centra en decir que Venezuela se ha convertido en un “Estado fallido”, en Colombia hay un gobierno atrapado entre las presiones de los Estados Unidos, los intereses de los poderes fácticos, los conflictos políticos y sociales internos y, en medio de todas esas crisis, la identidad del presidente colombiano está en duda. A la luz de los hechos, es claro que es Colombia la que se ha convertido en un “Estado fallido” que procura transnacionalizarse.

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One thought on “Le quattro crisi che collocano Iván Duque in un vicolo cieco”

  1. Gracias por la traducción, compañer@s. Espero sea útil. Un abrazo. La autora.

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