Intervento armato contro il Vzla: il Financial Times dà l’ordine

Fabrizio Verde www.lantidiplomatico.it

«Dobbiamo fare qualcosa», l’ennesimo articolo contro il Venezuela confezionato dalla finanza internazionale (Financial Times) riporta le dichiarazioni di Nikki Halley, rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite. Tristemente nota anche per lavorare parallelamente ad un’intervento armato contro la Siria, rea di liberare il suo territorio dai terroristi foraggiati dall’occidente.

Nell’articolo del Financial Times si indica espressamente come l’opzione militare contro Caracas sia ancora sul tavolo. Dopo quanto trapelato rispetto alle intenzioni di Trump che nello scorso anno aveva chiesto ai propri collaboratori di studiare un’eventuale invasione del Venezuela. La frase della dirigente statunitense risulta davvero inquietante. Perché è vero il contrario. Gli Stati Uniti e i suoi vassalli, interni ed esteri, hanno fatto fin troppo in Venezuela.

A questo proposito è interessante leggere il pensiero di Alfred de Zayas, esperto indipendente nominato dall’ONU, che ha potuto toccare con mano la realtà in Venezuela. Afferma che le sanzioni imposte al paese da Obama e Trump hanno arrecato molti danni al governo di Caracas, impedendogli finanche di acquistare medicinali. Inoltre, secondo l’esperto indipendente delle Nazioni Unite «sanzioni e blocchi economici di oggi sono paragonabili agli assedi medievali delle città con l’intento di costringerle alla resa. Nel XXI secolo, tuttavia, sono destinati a piegare non solo città, ma paesi sovrani». La differenza è che ora nel XXI secolo sono «accompagnati dalla manipolazione dell’opinione pubblica attraverso notizie false, pubbliche relazioni aggressive e una pseudo-retorica dei diritti umani per dare l’impressione che i diritti dell’uomo giustifichino i mezzi criminali». Un esempio perfetto del tentativo di manipolazione dell’opinione pubblica è rappresentato proprio dall’articolo del Financial Times. Il quotidiano economico britannico, infatti, infarcisce il proprio scritto contro il Venezuela con l’opinione dei soliti noti in servizio permanente contro il governo di Caracas.

Ci riferiamo a Ricardo Hausmann e Moses Naim, già esponenti di governo in Venezuela, nel periodo precedente l’avvento del chavismo e della Rivoluzione Bolivariana. Vale la pena ricordare che in quel periodo di certo l’economia di Caracas non viaggiava a gonfie vele. Tutt’altro. L’inflazione era a tre cifre senza guerra economica; la povertà in costante crescita; il popolo costretto a languire nella miseria senza alcun sostegno sociale da parte dello Stato. La rivolta repressa nel sangue, conosciuta come il Caracazo, è il simbolo della ‘larga noche neoliberal’ in Venezuela. Solo grazie al chavismo e alla Rivoluzione Bolivariana la situazione è mutata radicalmente. Un dato su tutti: sono state costruite e consegnate oltre 2 milioni di case popolari già arredate.

Riguardo alla narrazione che vuole il Venezuela in crisi umanitaria. Questa è funzionale ai venti di guerra che soffiano da Washington a Caracas. Il pretesto da dare in pasto all’opinione pubblica per scatenare l’invasione.

A tal proposito, il rapporto vergato da Alfred de Zayas ha rimarcato che in Venezuela «c’è una crisi economica che non può essere paragonata alla crisi umanitaria in Yemen, Libia, Siria, Iraq, Haiti, Mali, Repubblica Centrafricana, Sudan, Somalia o Myanmar», secondo i dati della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. Secondo de Zayas, questa affermazione si basa, inoltre, sul fatto che nei rapporti della FAO di dicembre 2017 e 2018, «il Venezuela non compare nelle 37 crisi alimentari del mondo considerate dall’organismo». In questo contesto, per lui siamo in presenza di una «campagna mediatica che cerca di forzare la percezione che ci sia una crisi umanitaria nel paese», che può essere usata impropriamente come pretesto per l’intervento militare.

Il quotidiano britannico rende conto inoltre della posizione di Marco Rubio. Senatore statunitense sempre schierato contro i governi progressisti e socialisti latinoamericani. Fiancheggiatore delle peggiori destre estreme e fasciste della regione. Per non parlare degli ambienti mafiosi di Miami. Insomma, un estremista guerrafondaio e reazionario. Però puntualmente dipinto come un uomo che ha a cuore la ‘libertà’ dei popoli latinoamericani. Forse si riferisce alla libertà di essere sfruttati come limoni o di venire uccisi se osano alzare la testa come accade sistematicamente in Colombia.

Lo stesso paese da cui repressione violenta e politiche neoliberiste hanno espulso oltre 5 milioni di cittadini, adesso ospitati in Venezuela. Paese dove godono anche di tutte le protezioni sociali negategli dal proprio paese d’origine. Caracas non ha mai strepitato in cerca d’aiuto e fondi per questa generosa accoglienza. Come ricordato in una recente conferenza stampa dal presidente Nicolas Maduro, che ha poi informato come il governo da lui presieduto stia studiando di chiedere un indennizzo al governo colombiano per tutti i migranti accolti in Venezuela negli anni. In conclusione, il vergognoso articolo del Financial Times, si vede costretto ad ammettere che ovunque vi sia stato un intervento armato statunitense adesso regna il caos e la vera emergenza umanitaria. Afghanistan, Libia e Iraq rappresentano esempi lampanti in tal senso.

Ma che importa alla finanza internazionale: i paesi che dicono no all’imperialismo prima si distruggono ma dopo i milioni tra morti e profughi scatta l’ora della speculazione. Vero Financial Times?

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