La sfida di Maduro al Capitale riguarda tutti. Anche l’Italia

di Fabio Marcelli https://www.lantidiplomatico.it

Sono oramai quasi 20 anni che il Venezuela  bolivariano ha lanciato la sua sfida al potere,  sia sul piano politico -mettendo in questione l’imperialismo statunitense in America latina e  altrove- sia su quello economico – opponendosi alle politiche delle istituzioni finanziarie internazionali che hanno sparso miseria e morte nel mondo intero, costituendo fra l’altro uno dei fattori propulsivi delle migrazioni internazionali.

Tali politiche hanno aggravato le disparità in tutto il mondo, facilitato la devastazione dell’ambiente, costretto centinaia di milioni di persone alla fame e alla disperazione. Esse costituiscono un vero e proprio cappio al collo di moltissimi Paesi, non più solamente del cosiddetto Terzo mondo, come dimostrato dalle vicende greche e, in prospettiva, da quelle italiane, a prescindere dall’inevitabile giudizio negativo sull’immangiabile marmellata fascioleghista con spruzzate di velleitarisimo pentastellato.

La sfida del Venezuela ha registrato per tutto un primo periodo una serie di indiscutibili successi, anche sul piano economico, come dimostrato fra l’altro dai giudizi positivi espressi dalle agenzie internazionali in settori fondamentali come quelli dell’alimentazione e dalla riduzione dei tassi di povertà. Questa spinta in avanti si è accompagnata alla creazione di importanti livelli di integrazione su scala continentale, con la creazione prima dell’Alba e poi di Unasur e Celac. Come in altre parti del mondo (ad esempio in Europa) è infatti impensabile, dati i livelli di globalizzazione raggiunti e la forza acquisita dal capitale transnazionale, di attuare uno sviluppo conforme ai dettami della volontà popolare senza disporre di strumenti a livello adeguato e cioè continentale.

La controffensiva dell’imperialismo è però riuscita a disgregare i livelli di integrazione raggiunti, provocando – con strumenti vari – il cambio della guardia in Argentina, Brasile ed  Ecuador. Se Cristina Fernandez è stata sconfitta alle elezioni da Macri il quale sta nuovamente portando l’Argentina come prevedibile al disastro  economico e finanziario, Lulaè stato vittima di una montatura giudiziaria senza precedenti con lo scopo di impedirne la candidatura alle prossime elezioni presidenziali, spianando la strada almilitare fascista Bolsonaro.

Eppure, il dollaro come moneta di riferimento è in evidente crisi in tutto il pianeta. La creazione di nuovi spazi monetari costituisce oggi una strada obbligata, specie per chi – come il governo di Nicolas Maduro e il popolo venezolano – è vittima oramai da molti anni di una vera e propria guerra economica.

Come affermato dall’economista venezuelana Pasqualina Curcio, l’attuale situazione di difficoltà economica che vive il Venezuela non è certo principalmente il risultato di errori del governo o della stessa debolezza del modello di rendita petrolifera, ma di una volontà politica di destabilizzazione, perché le multinazionali (così come il governo degli Stati Uniti) vogliono con tutta la loro forza che naufraghi il modello alternativo a quello dominante oggi impersonato da Nicolas Maduro e dal suo governo.

Le ricette invocate dai fautori del neoliberismo sono le stesse di sempre che continuano a perpetuare la grave crisi in corso da oltre dieci anni e cioè dollarizzazione e applicazione pedissequa delle ricette monetariste del Fondo monetario internazionale. Anche in Italia stiamo vivendo, sia pure in modo per molti aspetti caricaturale, un dibattito del genere, nel momento in cui le timide velleità del governo Conte di emanciparsi dai diktat del capitale finanziario a livello europeo trovano come risposta da parte dei “mercati” l’aumento dello spread e i giudizi negativi delle agenzie di rating.

Ma questi ricatti e questa dittatura del capitale finanziario saranno ostacoli per qualunque governo si proponga di attuare politiche che, sia pure in modo parziale o confuso, dissentano dai dogmi del capitale finanziario o ne mettano in qualsiasi misura in discussione gli interessi. Ecco perché va denunciato con forza l’attacco cui oggi è sottoposto il governo Maduro, che subisce attentati terroristici come quello recente con i droni, una campagna di stampa volta a ingigantire le difficoltà esistenti e continue minacce di attacco militare da parte dei Paesi confinanti, con in prima fila oggi la Colombia di Duque, delfino di Uribe ed esponente quindi della destra peggiore legata al paramilitarismo.

Ed ecco perché occorre sostenere gli sforzi del Venezuela di riproporre l’integrazione  latinoamericana e un modello alternativo al quello dominante, sia pure attraverso difficoltà in buona misura inevitabili, dato che -come ci ricorda Geraldina Colotti nel suo bel libro Dopo Chavez. Come nascono le bandiere– è “destino delle rivoluzioni quello di procedere tra difficoltà e stridori”. Eppure si procede, come dimostrano fra l’altro i risultati di tutti i recenti appuntamenti elettorali in Venezuela.

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