Argentina, Macri attacca l’economia popolare e arresta Grabois

di Geraldina Colotti

In Argentina, continua la repressione di Macri contro i settori popolari. Una repressione brutale, che lascia mano libera alle parti più reazionarie delle “forze dell’ordine”, che non hanno mai veramente archiviato le pratiche brutali in uso nel periodo più buio della storia dell’Argentina, quello dell’ultima dittatura civico-militare.


La polizia di Macri si può permettere di colpire la rappresentante di uno Stato latinoamericano, com’è accaduto con Delcy Rodriguez, allora ministra degli Esteri venezuelana, nel dicembre 2016. L’imprenditore Macri si può permettere di portare il paese al disastro economico e di gettare le famiglie sul lastrico. Si può permettere di manganellare e mettere in galera chi protesta pacificamente contro la repressione e contro gli arresti arbitrari di dirigenti popolari: senza che il signor Almagro, solerte Segretario dell’Osa con l’ossessione bellica contro Maduro, gli rivolga neanche un rimprovero.

Né arriveranno sanzioni o rimproveri da parte dell’Unione Europea, così pronta a chiudere le frontiere ai migranti del Mediterraneo ma a elargire milioni di euro per aiutare una presunta “emergenza profughi venezuelani alle frontiere”, come sta assicurando ora Federica Mogherini al ministro degli Esteri colombiano Trujillo in visita in Europa. Che dicono Mogherini o Tajani di quel che accade in Argentina, paese di grande migrazione italiana? Niente.

L’ultima repressione di Macri ha avuto come pretesto proprio la persecuzione nei confronti dei migranti. Di fronte a un raid compiuto dalla polizia contro alcuni venditori ambulanti senegalesi che ogni giorno lavorano nel quartiere diConstitución, diversi militanti del Movimiento de Trabajadores Excluidos (MTE – CTEP) sono accorsi in loro aiuto per evitare nuovi arbitrii.

Per tutta risposta, sono stati picchiati e arrestati insieme ai senegalesi. I movimenti popolari hanno reagito con una manifestazione spontanea per chiedere la liberazione degli arrestati. Una protesta pacifica che ha però incontrato una nuova risposta repressiva che ha portato all’arresto di vari manifestanti. Tra questi, noti portavoce della CTEP como Juan Grabois, Jacqueline Flores Rafael Klejzler.

Rappresentanti dei lavoratori informali dell’economia popolare, particolarmente vicini alle posizioni del papa Bergoglio. Grabois, in particolare, viene considerato l’”emissario” del papa nei movimenti popolari. Sulla scia di Trump – suo vecchio amico e sodale – Macri sta dunque lanciando un messaggio anche a quella parte del Vaticano, più attenta al messaggio evangelico che a quello delle classi dominanti.

Riproponiamo qui la voce di Juan Grabois, da noi intervistato per Le Monde diplomatique quando è venuto a Roma. Intervista che si può leggere per intero nel libro Después de Chavez. Como nacen las banderas (coedizione El Perro y la rana e Vadell). Grabois è stato uno degli organizzatori del III Incontro mondiale dei movimenti popolari, voluto dal papa in Vaticano, ed è membro della direzione nazionale della Confederacion de Trabajadores de la Economia popular (Ctep). Insieme a Emilio Persico, è autore del libro Organizacion y Economia popular, edito in Argentina da Enocep e da Ctep e distribuito gratuitamente (ctepargentina@yahoo.com.ar). Un quaderno di formazione “per lavoratori, militanti, delegati e dirigenti di organizzazione”, che si dichiara “per una società senza schiavi né esclusi, per un’economia al servizio del popolo, per l’unità dei lavoratori e degli umili”. E conclude: “Senza potere popolare, non c’è giustizia sociale”. Un viaggio nell’economia “informale” dell’Argentina, formata da riciclatori, sarti dei laboratori clandestini, venditori ambulanti… In America latina, il 47,7% del lavoro è informale. In Argentina, su 500.000 lavoratori, oltre la metà è impiegato nel settore informale, il 16,5% lavora “per conto proprio”. Un pezzo importante di quell’economia a tre velocità in cui – dice il volume – c’è chi va in aereo, chi in treno e chi… in ciabatte.

Precari, senza tetto e senza terra, sono stati al centro dei tre incontri in Vaticano. Con quali obiettivi?

Nel primo incontro, del 2014, abbiamo visto come i perdenti di questo sistema soffrono, e però si organizzano. Nel secondo, che si è svolto l’anno dopo a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, abbiamo individuato 10 punti generali per avviare un cambiamento strutturale, per passare a una nuova società che superi la relazione sociale, culturale ed economica del capitalismo globale. Punti che riguardano le rivendicazioni dei contadini, dei popoli originari, dei lavoratori precari e senza impiego formale, delle persone senza casa, senza terra: le 3T, Tierra, Techo y Trabajo. In questo terzo confronto, a cui hanno partecipato oltre 200 delegati di 65 organizzazioni dei 5 continenti, abbiamo cercato di tradurre quei punti in azioni concrete. Tra le molte proposte avanzate, ne abbiamo sintetizzato 6: una per ognuno dei primi tre temi, e altre 3 per quelli che si sono aggiunti in questo ultimo incontro mondiale. Riguardano l’offensiva del capitale contro la natura, il dramma dei migranti e dei rifugiati e il rapporto tra movimenti popolari e partecipazione politica nella crisi della democrazia rappresentativa. Per esempio, campagne per l’acqua come bene pubblico e non privatizzabile in nessuna parte del mondo, il No agli sfratti e alle espulsioni, la riforma agraria integrale… A queste vanno aggiunte le iniziative per la liberazione dei leader sociali detenuti come la deputata indigena Milagro Sala. Io sono parte civile nella causa contro lo stato argentino. Anche l’Onu ha chiesto la sua liberazione.

E’ possibile un cambiamento strutturale senza un ribaltamento dei rapporti di potere? E dove porta la critica alla democrazia rappresentativa che – voi dite – è ormai “sequestrata” dai poteri forti?

Nessuno ha la ricetta o il monopolio dell’interpretazione: neanche la Chiesa, ha detto Papa Francesco. Si deve costruire insieme. Noi cominciamo col porre temi molto vicini, partiamo dalle esclusioni più evidenti come quelle dalla terra, dalla casa e dal lavoro per costruire un programma di trasformazione integrale, lanciando campagne mondiali contro la speculazione immobiliare, sia in campagna che in città, contro la precarietà del lavoro, contro il dominio della finanza sulle decisioni sovrane del popoli. Questo implica una rifondazione della democrazia, oggi sequestrata dai grandi poteri economici attraverso il monopolio della comunicazione, che impedisce un dibattito reale e di massa su questi temi. Così i grandi poteri impongono non solo i propri candidati, ma anche un’agenda a proprio vantaggio e un’egemonia culturale, stili di vita che vanno contro il bene della maggioranza e della Madre Terra. Vengono così impedite altre forme di democrazia partecipata. Al contrario, noi vogliamo che le organizzazioni comunitarie siano incluse e contino nelle decisioni, vogliamo individuare i meccanismi per approssimazioni successive, per evitare sia il rischio di cooptazione nei soliti meccanismi di potere, sia la corruzione.

La politica si deve fare per passione, non per interesse o per denaro.

Lei ha invitato anche la chiesa alla coerenza: a cedere parte del proprio patrimonio immobiliare e del latifondo. Una provocazione o un gesto concordato con il papa?

A Rio de Janeiro, il Papa ha detto ai senza casa: trasferitevi nelle diocesi. E ha dato l’esempio rinunciando alla residenza di Castel Gandolfo, lasciando il palazzo per vivere come un qualunque sacerdote e con i più umili. Ci sono due tipi di austerità: una è imposta ai popoli dal capitale con i prestiti condizionati, l’altra è quella del cuore. Dobbiamo cambiare modo di vivere, liberarci dal consumo ossessivo indotto dal costante bombardamento pubblicitario per manipolare la nostra libertà. Questa coerenza tra quel che si pensa, quel che si dice e quel che si fa è più che mai necessaria alla società: alla credibilità dei leader politici, sociali, sindacali, religiosi. Non è solo un problema etico, ma pratico: per sconfiggere la corruzione, uno dei grandi mali dell’America latina, bisogna rifiutare la cultura del capitalismo, che ha permeato tutta la società, distorcendo obiettivi e motivazioni. Oggi una persona può essere senza casa, terra o lavoro ma possedere un cellulare. Se è eletto dal popolo, un dirigente non può pensare al denaro, ostentare un tenore di vita molto diverso da chi dovrebbe rappresentare. Per questo, nei nostri incontri non vogliamo Ong, elite che – come dice papa Francesco – non organizzano ma addormentano la responsabilità e l’organizzazione diretta del popolo. Non vogliamo neanche produrre la quadratura del cerchio ideologica. Marx diceva che l’ideologia è una falsa coscienza. Qui vogliamo sentire la voce dei descamisados del presente.

In America latina, la democrazia partecipata e protagonista è stata assunta dai paesi che, come il Venezuela, si richiamano al Socialismo del XXI secolo. E’ un’indicazione universale?

Sono tutte esperienze interessanti: il buen vivir, il vivir bien, il socialismo del XXI secolo, in Argentina il “giustizialismo”. Mi ha commosso andare all’assunzione di incarico di Evo Morales e vedere gli eletti in parlamento: indigene con la gerla, minatori col loro casco… una rappresentazione diretta dei settori popolari. In Argentina, su 300 deputati non ce n’è uno che sia povero, lo stipendio dei deputati è 20 volte il salario medio. Questo genera una casta. Certo, a paragone di quanto guadagnano le multinazionali, è poco, ma l’argomento secondo il quale è meglio pagarli tanto, se no si lasciano corrompere è perlomeno contraddittorio. Quel che corrompe sono le motivazioni sbagliate, altrimenti il capitalista sarebbe il politico più giusto… Ma anche in Bolivia, la corruzione è fortissima, Evo sta cercando di prendere di petto il problema nell’ultima fase del mandato. In tutti i paesi del mondo, si verificano complicità tra il potere poliziesco, giudiziario e politico, cooptato dalla tirannia del denaro che ha come espressione illegale il crimine organizzato a livello nazionale, e come espressione legale il crimine organizzato delle grandi multinazionali. Quella di crimine organizzato è forse la miglior definizione del sistema capitalista: in parte para-statale e paralegale, in parte istituzionalizzato e legalizzato. Non è facile resistere alla tirannia del denaro, bisogna puntare alla formazione di nuovi quadri, capaci di coerenza tra quel che si pensa e si fa e di accettare critiche. Oltre agli attacchi dell’imperialismo, in America latina oggi ci sono anche questi problemi. Ai tre principi dei popoli indigeni boliviani – non rubare, non mentire, non essere debole – bisognerebbe aggiungerne un quarto: non essere adulatore. E soprattutto, occorre cambiare il concetto di cosa significhi “qualità della vita”. Sbagliamo a credere che l’obiettivo sia l’accesso continuo al consumismo, da sempre negato ai poveri. Una cosa è garantire una vita degna a tutti, per il buen vivir in tutto il mondo, un’altra è proporre la socializzazione del consumismo, lo sperpero e la cultura dell’usa e getta: altrimenti verremo sussunti dalla logica economica così distruttiva. E sorgeranno milioni di Chavez, e si moltiplicheranno, e milioni di Tupac Amaru.

E con il Nord del mondo?

A questo incontro, forse la sorpresa più grande è stata la consistenza e la qualità della delegazione statunitense… Un livello molto alto di coscienza. L’anno prossimo faremo un incontro regionale negli Stati uniti. Un altro appuntamento, non dettato da noi, sarà la prossima riunione del Wto, che si tiene a Buenos Aires. Qual è la nostra risposta? Negli Usa c’è Bernie Sanders, che riprende il discorso del Papa, ma c’è Trump, un personaggio che si va un vanto di aver abusato delle donne. La sua vittoria, avrebbe lo stesso significato di quella di Haider in Austria. Quando c’è una crisi sistemica, vi sono due uscite: la guerra di tutti contro tutti, oppure il cammino verso un cambio di paradigma, un cambiamento strutturale. Come movimenti popolari dobbiamo appoggiare questa seconda ipotesi, senza pregiudizi ideologici, ma con fermezza, perché è l’unica via di trasformazione.

Da questi incontri è sorta una “nuova internazionale francescana”?

Intanto si cerca di stabilire una nuova sintesi fra tradizioni secolari e spirituali, uniti dalla percezione che questo sistema porta alla distruzione collettiva e che occorra fare uno sforzo di unità. Questo implica rinunciare ad alcuni pregiudizi e dogmi: non significa abbassare l’intensità della critica strutturale al capitalismo, ma intendere che le contraddizioni secondarie non devono impedire l’azione comune. Qui non siamo tutti cattolici, o peronisti, o marxisti, c’è una confluenza di tradizioni con una consapevolezza in comune: una società che non consenta l’accesso alla terra, al tetto e al lavoro produce disuguaglianze e quindi genera violenza. Per questo, occorre una profonda trasformazione delle strutture economiche e di potere. Cancellare le differenze economiche non significa però azzerare le differenze culturali, uniformare le identità.

Alimentare figure messianiche non porta però al paternalismo e al culto della personalità?

Bisogna trovare un nuovo equilibrio dialettico: perché da un lato i leader sono necessari, dall’altro c’è il rischio di delegare loro la responsabilità. Non è Francesco a chiedere che la gente si metta la maglietta con la sua foto, ma a volte siamo più papisti del Papa, cerchiamo il paternalismo. Da lui, invece, dobbiamo imparare la capacità di ascoltare, di recepire i nuovi fenomeni come quello dell’economia popolare: non significa accettare la precarietà del lavoro e la marginalizzazione, ma agire da quel punto proprio contro gli interessi particolari e le burocrazie che ormai non difendono più gli interessi generali di tutti i lavoratori. Bisogna essere creativi, agendo fra tradizione e innovazione. O inventiamo o sbagliamo, diceva qualcuno…

… Si  tratta di Simon Rodriguez, il maestro di Bolivar, è la frase più pronunciata in Venezuela….

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