Le prove che lascia la crisi del Gruppo di Lima

e gli appelli all’intervento  

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Il Gruppo Lima, piattaforma promossa da Luis Almagro e dal Dipartimento di Stato USA, come progetto parallelo alle tradizionali organizzazioni internazionali per produrre un accordo regionale contro il Venezuela e di supporto alle sanzioni economiche, ha rilasciato un comunicato dove respinge le recenti dichiarazioni del Segretario Generale dell’OSA, precisando che non si deve scartare nessuna opzione per rovesciare il governo di Nicolás Maduro, neppure l’intervento militare.

Questa apparente manifestazione di condanna ad un confronto diretto in territorio venezuelano guidato dagli USA, è conseguenza di una linea narrativa che sta testando la possibilità di avanzare con quel piano, basandosi sulla storia della “crisi dei rifugiati venezuelani”, lo “Stato fallito” e la supposta minaccia che implica, il Venezuela, per la regione, in diversi ordini.

Al prospettare, con serietà, l’attacco unilaterale contro la Repubblica Bolivariana, i paesi della regione si sono dissociati dal proponimento, esercitando un certo pragmatismo di fronte ai settori più ostili contro la sovranità del Venezuela. La principale prova lasciata da questo allontanamento è che l’idea dell’intervento militare, in Venezuela, si è fortemente posizionata nei media ed è riuscita ad ascendere tra i responsabili decisionali della Casa Bianca e del Pentagono. Si trasforma in una minaccia credibile.

Ma questa uscita diplomatica non è nuova. Nel settembre 2017 Donald Trump si riunì, a margine dell’Assemblea Generale ONU, con l’ex presidente Juan Manuel Santos ed i presidenti di Brasile, Panama e Perù, facendo pressione sul tema d’invadere il Venezuela; proposta che fu respinta dai paesi consultati.

Fallito assassinio, avanzano gli appelli all’intervento militare

 

Immediatamente dopo che è stato sventato il primo tentativo di omicidio, mediante droni, di un presidente di una nazione, si è dato luogo ad un’estesa copertura, con dati imprecisi ed esagerando situazioni specifiche del fenomeno migratorio causato dalle misure di guerra economica attuate contro il Venezuela dagli USA.

Prendere i reportage dei media aziendali in relazione a questo tema come sostegno delle denunce che posizionano il paese come un problema di sicurezza per la regione, che compete agli USA, è l’agenda che gestisce sia Almagro che il senatore Marco Rubio. Entrambi hanno utilizzato la costruzione della “diaspora venezuelana” e la narrazione dello “stato fallito” per progettare uno scenario in cui l’invasione militare sia una risorsa fattibile.

Nel seno stesso del governo USA esiste una disputa sulla politica estera da adottare contro il Venezuela. La disputa tra neo-liberali democratici e neo-conservatori bi-partitica con la sua scorta mediatica mondiale ed i settori conversatori, ultra-nazionalista e suprematisti bianchi, rappresentati dal presidente Trump, ha aperto una pubblica discussione sui piani d’interventismo.

La posizione di Almagro, in questo senso, risponde a questo contesto immediato. Durante un viaggio che ha fatto al confine colombiano-venezuelano, il 14 settembre, il Segretario Generale OSA ha ratificato la linea di violenza su scala militare.

Nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso il Ponte Internazionale Simon Bolivar, luogo a cui ha partecipato per, fondamentalmente, raccogliere input che gli dessero il tocco drammatico alla questione migratoria che “in quanto all’intervento militare per spodestare Nicolas Maduro, non dobbiamo scartare nessuna opzione”. Un approccio superficiale di testimonianze “strazianti” è stata la manovra per fare pressione con la minaccia dell’ “aiuto umanitario”.

I suoi consecutivi fallimenti nel concretare le ​​azioni per smantellare il paese con il pretesto delle denunce umanitarie, oggi si intensificano a causa del contesto di offensiva economica che sta assumendo il presidente Maduro con il supporto di importanti forze geopolitiche, cioè la Russia e la Cina, che anche lottano contro i colpi ai loro sistemi finanziari sotto fattura USA.

A partire da lì, quello è il punto in cui si manifesta l’accelerazione delle velocità, che non tutti gli attori politici coinvolti sono disposti ad assumere.

Allo stesso modo Marco Rubio avanza nella direzione militare su un percorso chiaro; dopo che è stato messo in evidenza da media di portata globale come Bloomberg e The New York Times, che hanno pubblicato la partecipazione di Washington in conversazioni con agenti del golpismo che erano incaricati della “Operazione Costituzione” e di altri piani di golpe.

Da allora, e sotto il formato della campagna mediatica migratoria (“la diaspora venezuelana”), il senatore repubblicano ha difeso l’approccio delle “opzioni non scartate” per affrontare un problema continentale che è costato, allo stato USA, ingenti risorse in meccanismi non convenzionali di aggressione.

Oltre a funzionare come parte del suo lavoro di “gendarme” all’interno del Senato USA, Marco Rubio approfitta della storia dell’esodo venezuelano per fare il controllo dei danni davanti al rinculo del Gruppo di Lima. La propaganda di un falso stato di miseria e di fame nella popolazione venezuelana spinge il motivo morale della salvaguardia dei diritti umani, facendo emergere l’Occidente a rifulgere come il “protettore” di questa causa. L’essenza che consente loro di invocare la “Responsabilità di proteggere” (R2P) come dottrina dell’intervento umanitario.

Infatti, dopo il comunicato emesso dagli 11 paesi firmatari, Rubio ha pubblicato sul suo account Twitter di concordare sul fatto che “tutte le opzioni devono essere sul tavolo per affrontare la crisi in Venezuela”, riferendosi a quanto espresso dall’ambasciatore colombiano negli USA, Francisco Santos, nel suo primo atto come funzionario internazionale in quel paese.

Bogotá: il sarto che prende le misure del costume invasore

 

Colombia, Canada e Guyana sono stati gli unici paesi che non hanno firmato il comunicato del Gruppo di Lima che respingeva qualsiasi azione che implicasse un intervento militare. Le dichiarazioni dell’ambasciatore Santos assicurano che il cambio di regime è indispensabile per garantire una soluzione alla situazione venezuelana. Sostiene Almagro e segnala la mancanza di consenso con il resto dei paesi latinoamericani sulla considerazione di tutte le possibilità affinché quel cambio si verifichi.

In precedenza, il suo omologo a Bogotà, Kevin Whitaker, ha marcato il modello affinché il paese subordinato potesse manifestarsi a supporto sulle ultime mosse di operazioni informative che attaccano, sullo sfondo di guerra all’Amministrazione Trump, le violente uscite della dirigenza politica di Washington.

In un’intervista a El Tiempo, l’ambasciatore USA in Colombia ha ribadito che la Colombia conta sul sostegno del suo paese in caso di presunta aggressione da parte del Venezuela. Ha commentato l’ultima iniezione di dollari che si è fatta per la causa migratoria: 60 milioni per finanziare interventi umanitari, nascosti nell’assistenza ai precari “centri di rifugiati” installati nelle città limitrofe del paese colombiano.

L’insistenza su un presunto conflitto di confine prodotto della “tragedia venezuelana” si sta armando con l’approvazione dell’alto comando politico USA, che ha inviato, in agosto, il segretario alla Difesa, James Mattis, con l’agenda prioritaria di puntualizzare le azioni che il nuovo presidente colombiano deve continuare per realizzare l’evento che scateni lo scontro e giustifichi l’attacco unilaterale del paese vicino.

“Sarà come la prima visita a un sarto”, è stato ciò che ha espresso il capo del Pentagono sulla riunione per discutere il tema della sicurezza emisferica con Ivan Duque. Le misure sono state prese con precisione dalla Colombia, che sta assumendo dal fatidico fallimento dell’opposizione venezuelana, fallendo con il modello delle rivoluzioni colorate, la lobby pro-intervento a livello regionale.

Condizioni che affronta il Gruppo Lima nel continente

 

Lo scisma è evidenziato nella regione: la breve integrazione collettiva dei paesi nel proteggere i piani per gettare nel caos economico e sociale la popolazione venezuelana, non mantiene il suo ritmo quando la politica estera del potere frammentato negli USA si ostruiscono tra loro, agitando gli stati soggiogati nella regione dell’America Latina.

Quando i paesi che si beneficiano di risorse fornite dal Governo venezuelano sono sacrificati al fine di continuare con l’agenda sanzionatoria, come il Brasile, che può vedersi danneggiato nella fornitura di energia elettrica in una zona del suo territorio per le azioni economiche coercitive che gli impediscono di pagare Corpoelec, si danno questi tipi di viraggi nelle relazioni con il Venezuela.

Un altro caso è l’Argentina, che sente sterminata l’economia nazionale dopo aver seguito la ricetta dettata dai consulenti del FMI e che ha derivato una precarizzazione della vita sociale, con tagli finanziari ai settori pubblici, l’aumento del costo dei servizi di base e l’indebolimento della sicurezza sociale.

Gli agenti incaricati di ritornare al percorso della Dottrina Monroe, all’interno di governi progressisti, attraverso interventi indiretti tramite infiltrazione (giudiziaria nel caso del Brasile, politica nel caso ecuadoriano) nello stato, ora vedono come la situazione si inverte nelle rispettive amministrazioni. Sono fragili pedine nelle operazioni contro il Venezuela e quindi scartabili. Pedro Pablo Kuczynski, anfitrione iniziale del Gruppo Lima, lo testimonia.

In realtà, sostenere un intervento militare straniero in Venezuela significherebbe, per quei governi che hanno firmato l’ultimo comunicato del Gruppo di Lima, un errore come decisione politica poiché non solo sono freschi, nella memoria, i disastri umanitari derivanti da tali invasioni (Panama 1989, Libia 2011, ecc), bensì anche avrebbero conseguenze regionali con molta ascendenza nei paesi limitrofi al Venezuela o che hanno una relazione commerciale e diplomatica da curare con lo stato che Maduro presiede.

La Colombia, da parte sua, sembra avere ragioni ed interessi, in abbondanza, per spingere verso una campagna bellica, poiché con tale mezzo cercherebbe garantire il controllo di una zona strategica (l’occidentale venezuelano) per il corridoio del narcotraffico, così come del petrolio e benzina, una risorsa essenziale per la elaborazione di cocaina ed il suo trasporto.

In un contesto di golpe via invasione militare, prevedono che i cartelli della droga rimarrebbero al comando, i cui interessi convergono strettamente con la dinamica para-economica del potere USA. Questo si illustra con la seguente domanda enunciata da questa tribuna: “Come soddisfare i settori governativi USA, ponendo freno all’affare che ossigena e sostiene l’economia colombiana, la para-politica ed il business della guerra, che a sua volta si mescola con gli interessi di altri settori dello stesso Stato nordamericano?”.

Proiezioni (realistiche) di un attacco unilaterale USA

 

Sotto tale delicato quadro, sembra non aversi un accordo tra le elite USA per attivare questo scenario, poiché le forze che si oppongono sono cartellizzate in una campagna diffamatoria contro l’attuale inquilino della Casa Bianca.

Questo conflitto interno, per prima cosa, determina in modo più chiaro le intenzioni degli USA e massimizza i suoi costi di credibilità nell’opinione pubblica. In secondo luogo, legittima le denunce da parte dello Stato venezuelano di tutte le operazioni per cambiare l’ordine politico chavista nel paese.

D’altra parte, gli dà un margine per manovrare con attori politici che preferiscono il dialogo a scapito di azioni violente, e verso quel lato vira la diplomazia venezuelana.

Nell’immediato si valuta tale rotta: una riunione con il direttorio di Nicolas Maduro è stata confermata da Jose Luis Rodriguez Zapatero, questo mercoledì 19 settembre. L’ex presidente spagnolo, che ha respinto le cause politiche del flusso migratorio e le ha contestualizzate nelle sanzioni economiche, potrebbe partecipare ad un rovesciamento del trattamento che i paesi membri dell’OSA hanno dato al Venezuela.

In questo senso, Hugo de Zela, vice ministro degli esteri del Perù che ha diretto il comunicato del Gruppo di Lima e che ha previsto la caduta dell’attuale presidente peruviano, Martin Vizcarra, cercherebbe di “ingraziarsi il favore della sinistra regionale per facilitare la sua elezione, dopo una eventuale uscita di Almagro, dalla segretaria generale dell’OSA”, secondo quanto pubblica Rafael Poleo nella Rivista Zeta.

Quindi, una combinazione di interessi e politici che competono per un posto nel vertice regionale possono allontanare, a breve termine, i venti d’intervento militare di un Venezuela assediato e minacciato da Washington.

Queste beghe interne e l’intenzione di guadagnarsi i settori che difendono il discorso ufficiale delle aggressioni politiche e finanziarie a cui è stato sottoposto il paese negli ultimi cinque anni, descrive una tendenza regressiva negli effetti degli assalti internazionali, anche quando questi cercano di essere più aggressivi.


Las evidencias que deja la crisis del Grupo de Lima y los llamados a la intervención

El Grupo de Lima, plataforma impulsada por Luis Almagro y el Departamento de Estado norteamericano, como proyecto paralelo a las organizaciones internacionales tradicionales para producir un acuerdo regional contra Venezuela y de respaldo a las sanciones económicas, difundió un comunicado donde rechaza las últimas declaraciones del Secretario General de la OEA, precisando que no se debe descartar ninguna opción para derrocar el gobierno de Nicolás Maduro, ni siquiera la intervención militar.

Esta aparente manifestación de condena a una confrontación directa en territorio venezolano liderado por Estados Unidos, es consecuencia de una línea narrativa que viene tanteando la posibilidad de avanzar con ese plan, apoyándose en el relato de la “crisis de refugiados venezolanos”, el “Estado fallido” y la supuesta amenaza que implica Venezuela para la región, en distintos órdenes.

Al plantear con seriedad el ataque unilateral contra la República Bolivariana, los países de la zona se desvincularon del planteamiento, ejerciendo cierto pragmatismo frente a los sectores más hostiles contra la soberanía venezolana. La evidencia principal que deja este alejamiento, es que la idea de la intervención militar en Venezuela se ha posicionado fuertemente en medios y ha logrado escalar a los decisores de la Casa Blanca y el Pentágono. Se transforma en una amenaza creíble.

Pero esta salida diplomática no es nueva. En septiembre de 2017 Donald Trump se reunió al margen de la Asamblea General de la ONU con el ex presidente Juan Manuel Santos y los presidentes de Brasil, Panamá y Perú, presionando con el tema de invadir a Venezuela, propuesta que fue rechazada en consenso por los países consultados.

Fallido el magnicidio, avanzan los llamados a la intervención militar

Inmediatamente de que se frustrara el primer intento de magnicidio mediante el uso de drones a un Presidente de una nación, se dio pasó a una cobertura extensa, con datos imprecisos y exagerando situaciones puntuales del fenómeno migratorio causado por las medidas de guerra económica implementadas contra Venezuela por Estados Unidos.

Tomar los reportajes de los medios corporativos en relación a este tema como sustento de las denuncias que posicionan al país como un asunto de seguridad para la región que compete a Estados Unidos, es la agenda que manejan tanto Almagro como el senador Marco Rubio. Ambos han utilizado la construcción de la “diáspora venezolana” y la narrativa del “Estado fallido” para proyectar un escenario en el que la invasión militar sea un recurso factible.

En el mismo seno del gobierno norteamericano existe una disputa acerca de la política exterior a tomarse contra Venezuela. La disputa entre los neoliberales demócratas y neoconservadores bipartidistas junto a su escolta mediática mundial y los sectores conversadores, ultranacionalista y supremacistas blancos representados por el presidente Trump, ha abierto una discusión pública sobre los planes de intervencionismo.

La posición de Almagro, en este sentido, responde a ese contexto inmediato. Durante un viaje que hizo el 14 de septiembre a la frontera colombo-venezolana, el Secretario General de la OEA ratificó la línea de violencia a escala militar.

En rueda de prensa realizada en el Puente Internacional Simón Bolívar, sitio al que asistió para fundamentalmente recoger insumos que le dieran el toque dramático a la cuestión migratoria, manifestó que “en cuanto a la intervención militar para derrocar a Nicolás Maduro, no debemos descartar ninguna opción”. Un abordaje superficial de testimonios “desgarradores” fue la maniobra para presionar con la amenaza de la “ayuda humanitaria”.

Sus consecutivos fracasos en concretar las acciones para desmantelar al país bajo la excusa de las denuncias humanitarias, hoy se intensifican debido al presente contexto de ofensiva económica que está asumiendo el presidente Maduro con el apoyo de fuerzas geopolíticas importantes, a saber, Rusia y China, que también lidian contra golpes a sus sistemas financieros bajo factura estadounidense.

A partir de allí, ese es el punto en el que surge la aceleración de velocidades, que no todos los actores políticos involucrados están dispuestos a asumir.

Igualmente Marco Rubio avanza en la dirección militar en una ruta despejada, luego de que quedara en evidencia por medios de alcance global como Bloomberg y The New York Times, que publicaron la participación de Washington en conversaciones con agentes del golpismo que estaban a cargo de la “Operación Constitución” y de otros planes de golpe de Estado.

Desde ese entonces, y bajo el formato de la campaña mediática migratoria (“la diáspora venezolana”), el senador republicano ha defendido el enfoque de “las opciones no descartadas” para abordar un problema continental que le ha costado al Estado norteamericano ingentes recursos en mecanismos no convencionales de agresión.

Además de funcionar como parte de su trabajo de “gendarme” dentro del Senado estadounidense, Marco Rubio aprovecha el relato del éxodo venezolano para hacer control de daños ante el recule del Grupo de Lima. La propagandización de un falso estado de miseria y hambre en la población venezolana empuja el motivo moral de salvaguardar los derechos humanos, saliendo a relucir Occidente como el “protector” de esta causa. La esencia que les permite invocar la “Responsabilidad para Proteger” (R2P) como doctrina de intervención humanitaria.

De hecho, luego del comunicado emitido por los 11 países firmantes, Rubio publicó en su cuenta de Twitter estar de acuerdo con que “todas las opciones deben estar sobre la mesa para lidiar con la crisis en Venezuela”, refiriéndose a lo expresado por el embajador colombiano en Estados Unidos, Francisco Santos, en su primer acto como funcionario internacional en ese país.

Bogotá: el sastre que toma las medidas del traje invasor

Colombia, Canadá y Guyana, fueron los únicos países que no firmaron el comunicado del Grupo de Lima rechazando cualquier acción que implique una intervención militar. Las declaraciones del embajador Santos aseguran que el cambio de régimen es indispensable para garantizar una solución a la situación venezolana. Respalda a Almagro y señala la falta de consenso con el resto de los países latinoamericanos sobre la consideración de todas las posibilidades para que ese cambio ocurra.

Anteriormente, su homólogo en Bogotá, Kevin Whitaker, marcó la pauta para que el país subordinado pudiera manifestarse con soporte sobre las últimas movidas de operaciones informativas que atacan, con el trasfondo de guerra a la Administración Trump, las salidas violentas de la dirección política de Washington.

En una entrevista de El Tiempo, el embajador de Estados Unidos en Colombia reiteró que Colombia cuenta con el apoyo de su país en caso de una supuesta agresión de Venezuela. Comentó la más reciente inyección de dólares que se hizo para la causa migratoria: 60 millones financiando la intervención humanitaria, disimuladas en la asistencia a los precarios “centros de refugiados” instalados en las ciudades limítrofes del país colombiano.

La insistencia en un supuesto conflicto fronterizo producto de la “tragedia venezolana” se está armando con el beneplácito del alto mando político estadounidense, quienes enviaron en el mes de agosto al secretario de Defensa, James Mattis, con la agenda prioritaria de puntualizar las acciones que el nuevo presidente colombiano debe seguir para aterrizar el suceso que desencadene el enfrentamiento y justifique el ataque unilateral del país vecino.

“Será como la primera visita a un sastre”, fue lo que expresó el jefe del Pentágono de la reunión para tratar el tema de seguridad del hemisferio con Iván Duque. Las medidas fueron tomadas con precisión por Colombia, que está asumiendo desde el fatídico quiebre de la oposición venezolana, al fallar con el modelo de revoluciones de color, el lobby pro-intervención a escala regional.

Condiciones a las que se enfrenta el Grupo de Lima en el continente

El cisma queda evidenciado en la región: la breve integración colectiva de los países en amparar los planes de caotización económica y social de la población venezolana, no mantiene su ritmo cuando las políticas exteriores del poder fragmentado en Estados Unidos se obstruyen entre ellas, sacudiendo a los Estados avasallados en la región latinoamericana.

Cuando países que se benefician de recursos facilitados por el Gobierno venezolano son sacrificados para continuar con la agenda sancionadora, como Brasil, que puede verse afectado en el suministro de energía eléctrica en una zona de su territorio por las acciones económicas coercitivas que le impiden pagar a Corpoelec, se dan esta clase de virajes en las relaciones con Venezuela.

Otro caso es Argentina, que siente exterminada la economía nacional luego de seguir la receta dictada por asesores del FMI y que ha derivado en una precarización de la vida social, con recortes financieros a los sectores públicos, el aumento del costo de servicios básicos y el debilitamiento de la seguridad social.

Los agentes encargados de retomar la senda de la Doctrina Monroe en el seno de los gobiernos progresistas, mediante intervenciones indirectas vía infiltración (judicial en el caso brasileño, política en lado ecuatoriano) en el Estado, ahora ven cómo se revierte la situación en sus respectivas administraciones. Son fichas frágiles en las operaciones contra Venezuela y por lo tanto descartables. Pedro Pablo Kuczynski, anfitrión inicial del Grupo de Lima, es testigo de ello.

De hecho, apoyar una intervención militar extranjera en Venezuela significaría para esos gobiernos que firmaron el último comunicado del Grupo de Lima un equívoco como decisión política, pues no sólo están frescas en la memoria los desastres humanitarios resultantes de tales invasiones (Panamá 1989, Libia 2011, etc.), sino que también tendría consecuencias regionales con mucha ascendencia en los países limítrofes con Venezuela o que tienen una relación comercial y diplomática que cuidar con el Estado que preside Maduro.

Colombia, por su parte, parece tener razones e intereses de sobra para empujar hacia una campaña bélica, pues con ese medio buscarían garantizar el control de una zona estratégica (el occidente venezolano) para el corredor del narcotráfico, así como del petróleo y la gasolina, un recurso imprescindible para la elaboración de la cocaína y su transporte.

En un contexto de golpe vía invasión militar, avizoran que los carteles de la droga quedarían al mando, cuyos intereses convergen estrechamente con la dinámica paraeconómica de poderes estadounidenses. Ello se ilustra con la siguiente pregunta enunciada desde esta tribuna: “¿Cómo satisfacer a los sectores gubernamentales de los Estados Unidos poniendo freno al negocio que oxigena y sostiene la economía colombiana, la parapolítica y el negocio de la guerra, que a su vez se mezcla con los intereses de otros sectores del mismo Estado norteamericano?”.

Proyecciones (realistas) de un ataque unilateral de Estados Unidos

Bajo este delicado cuadro, pareciera no haber un acuerdo entre las élites de Estados Unidos para activar ese escenario, ya que las fuerzas que se oponen están cartelizadas en una campaña de desprestigio contra el actual inquilino de la Casa Blanca.

Este conflicto interno, primero, determina con mayor claridad las intenciones de Estados Unidos y maximiza sus costos de credibilidad en la opinión pública. Segundo, legitima las denuncias que ha hecho el Estado venezolano de todas las operaciones para cambiar el orden político chavista en el país.

Por otro lado, le da un margen para maniobrar con actores políticos que se decantan por el diálogo en detrimento de las acciones violentas, y hacia ese lado vira la diplomacia venezolana.

En lo inmediato se aprecia ese rumbo: una reunión con el directorio de Nicolás Maduro fue confirmada por José Luis Rodríguez Zapatero este miércoles 19 de septiembre. El ex presidente español, que ha desestimado las causas políticas del flujo migratorio y las ha contextualizado en las sanciones económicas, podría participar en una reversión del tratamiento que países miembros de la OEA le han dado a Venezuela.

En ese sentido, Hugo de Zela, vicecanciller de Perú que dirigió el comunicado del Grupo de Lima y que prevé la caída del actual presidente peruano, Martín Vizcarra, buscaría “congraciarse con la izquierda regional para que faciliten su elección tras una eventual salida de Almagro de la secretaría general de la OEA”, según publica Rafael Poleo en la Revista Zeta.

Así, una combinación de intereses y políticos que pugnan por un sitial en la cúspide regional pueden alejar en el corto plazo los vientos de intervención militar de una Venezuela asediada y amenazada por Washington.

Estas riñas internas y la intención de ganarse a los sectores que defienden el discurso oficial de las agresiones políticas y financieras a las que ha sido sometido el país en los últimos cinco años, describe una tendencia regresiva en los efectos de los embates internacionales, aun cuando estos buscan ser más agresivos.

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