L’America Latina cammina sulle macerie di progetti falliti

William Serafino http://misionverdad.com

L’ascesa di figure come Jair Bolsonaro in Brasile non risponde a una situazione strettamente brasiliana. La polarizzazione tra settori nazionalisti, considerati come neofascisti, e progressisti inclinati verso la socialdemocrazia e la sinistra, riafferma una cruda realtà: la dipendenza dell’America Latina dagli USA, oltre ad essere economica o produttiva, è spirituale.

Proprio come il New Deal, alla sua epoca, ed in seguito il neoliberalismo, avrebbero modificato l’immaginario delle élite dell’America Latina, lo scontro in corso tra nazionalismo economico, che rappresenta Trump, e le élite globaliste sembra anche andar riconfigurando il campo di battaglia politico nella regione. Inizia nel paese con la più grande economia e popolazione dell’America Latina: il Brasile. Una prova brutale che la regione non ha ancora superato la condizione di discarica della politica USA, senza prospettive di costruire un proprio destino.

Per questo anche l’accanimento contro l’opzione chavista e la sua immaginazione politica di reinventare la regione da una prospettiva multipolare.

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Tuttavia, la crisi in Brasile non è strettamente brasiliana, ma latinoamericana.

Ciò che segna i ritmi e le intensità nello scontro interno della regione è la lotta tra le potenze mondiali. Il governo USA, riattualizzando la Dottrina Monroe, cerca di prosciugare le fonti di materie prime alla Cina, mentre in parallelo soffoca anche quelle che hanno origine in Medio Oriente, principalmente in Iran.

Indurre una crisi di legittimità in Brasile e fratturare il suo stato-nazione, utilizzando la “lotta alla corruzione”, è stato un obiettivo politico coerente con questa strategia: la restrizione del flusso di risorse energetiche verso il gigante asiatico per limitare la sua crescita come potenza globale, dal momento che le multinazionali USA, finanziatrici del colpo di stato, nel 2016, contro Dilma Rousseff, approfittano della debolezza del Brasile, e la sua uscita frettolosa come un fattore importante nel gioco geopolitico attraverso i BRICS, per alimentarsi delle sue risorse naturali e, quindi, invertire il declino dell’egemonia USA dentro l’ordine internazionale.

Le immense pressioni sul Venezuela sono anche spiegate a partire da lì: dall’interesse geostrategico USA di evitare che l’America Latina sia la base materiale per la costruzione di un nuovo ordine internazionale.

Brasile e Venezuela sono i paesi in cui la Cina ha investito la maggior parte della capitale nell’ultimo decennio.

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Il Brasile nacque come stato indipendente, essendo una repubblica schiavista e semicoloniale. Lo schiavismo, la violenza estrema, le pulizie etniche e le dittature, come forse nessun altro paese del continente, hanno attraversato tutta la sua storia.

Il prodotto di ciò è un elettorato con tendenze autoritarie, che nei momenti di crisi ed incertezza si appella ad una tradizione di ordine e forza seminata nell’immaginario politico del Brasile.

La vittoria di Jair Bolsonaro al primo turno si basava su quella base storica, forgiata dopo anni di sanguinarie dittature che hanno interiorizzato, nel corpo della società brasiliana, la sottomissione coloniale.

Ma in Brasile esiste una crisi politica e di rappresentazione indotta dalla “lotta anti-corruzione”, che ha screditato l’intera classe politica.

In parallelo alla crisi economica internazionale, che ha fortemente colpito i paesi della regione più esposti alla globalizzazione, figure come quella di Bolsonaro vengono ad offrire una soluzione di forza.

Ma il problema centrale qui è un altro. Nell’ambito di questa crisi organica del modello di sviluppo brasiliano, il progressismo sembra non avere capacità di reinterpretare il momento e tracciare orizzonti ed obiettivi collettivi che si diffondano nella società.

Davanti a questo vuoto, ed approfittando della situazione, Bolsonaro fa appello alla messa in discussione della politica brasiliana, sulla base di un’idea di ordine e di forza che si rende attraente per una società alla ricerca di un vendicatore per reprimere le “cause” della crisi: il PT, Lula, la democrazia, i neri, gli omosessuali, ecc.

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Ma andiamo un po’ oltre la geografia brasiliana. L’America Latina oggi cammina sulle macerie di progetti politici ed economici falliti: liberalismo democratico, keynesianesimo, neoliberalismo, integrazione latinoamericana, ecc.

Vi sono profondi segni di esaurimento dei modelli storici applicati per condurre politicamente le società latinoamericane. Tutte le forme di organizzazione sociale e politica che attualmente si prospettano sembrano essere sopraffatte dal feroce scontro tra le élite industriali e finanziarizzate, l’accelerata lotta geopolitica, la crisi ecologica e le tensioni sociali che dissipano all’orizzonte qualsiasi progetto di stabilità basato su un patto comune.

È una crisi di modelli e d’invenzione della regione come costruzione geografica e storica. In questo contesto, la forza bruta e l’antipolitica si impongono come l’unico modo per imporre un ordine più o meno stabile.

Ma questa promessa di ordine, che si prefigura sotto una logica di stato di polizia, mira a rafforzare la condizione di periferia della regione e creare condizioni di sicurezza per l’estrazione delle risorse energetiche che rimangono su questo lato del continente.

Le multinazionali ed i loro agenti si stanno avvantaggiando e non hanno limiti etici, ideologici e legali che impediscano loro l’estremo sfruttamento, il saccheggio, la violenza e la schiavitù.

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Esiste un aspetto che non possiamo perdere di vista. Lula e il PT hanno basato il loro progetto politico sull’espansione economica del Brasile sostenendosi col boom delle esportazioni di materie prime; un patto fragile con la borghesia paulista e uno schema inedito di distribuzione della ricchezza.

Ma dietro quella redistribuzione, secondo me, c’era poca costruzione politica. La distribuzione della ricchezza di per sé non è una soluzione, poiché rafforza solo la dipendenza e le strutture di potere dei paesi periferici che sono subordinate alle economie culturali dei paesi sviluppati. La crisi in Brasile è, a sua volta, un termometro per analizzare i limiti politici di quel modello e la sua incapacità di generare irreversibilità.

Rafforza un’immaginaria classe media che offusca le linee di classe del processo politico. L’unico modo per interrompere queste strutture è attraverso una lotta di classe costituente, facente leva sui settori più poveri ed esclusi, che riesca ad interrompere un ordine politico e costituzionale sequestrato dalle élite.

Il PT sta pagando i costi di non mettere le favelas al centro del suo programma politico e di non giocare una demolizione dell’ereditato ordine oligarchico. Non avevano alternative. Oggi sono testimoni di come distribuire il reddito senza costruzione politica, in parallelo e dal basso, alla lunga finisce con una resa dei conti. Il chavismo lo ha capito dal primo giorno al potere.

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Se vince Jair Bolsonaro, può essere che s’intenda molto bene con Donald Trump. Ciò può indurre che gli USA guadagnino un alleato chiave per far precipitare una “soluzione” extrapolitica e di forza in Venezuela, ma potrebbe anche intensificare ulteriormente la balcanizzazione della regione.

La riconversione dei Trattati di Libero Commercio e la politica commerciale dell’amministrazione Trump, orientata ai negoziati bilaterali, possono generare un effetto ancora più regressivo nei progetti di integrazione regionale.

Rafforzare la balcanizzazione della regione è un punto essenziale all’interno della strategia dell’amministrazione Trump, mirata a realizzare benefici per l’economia USA e ad avere esclusivo accesso alle materie prime. Politici come Jair Bolsonaro cadono a puntino per questi obiettivi, in quanto promuoverebbero la destrutturazione degli accordi di integrazione.

Questo è importante tenerlo in conto, perché l’unico modo in cui l’America Latina può superare le sue contraddizioni, come periferia del sistema mondiale, è raggiungendo livelli più alti di integrazione con la meta di conformarsi come un blocco storico. L’idea di Chávez, che le oligarchie ignoranti del continente hanno attaccato così tanto.

L’interessante ed il complesso di ciò è che i progetti di integrazione neoliberale, come l’Alleanza del Pacifico, e quelli politici, come CELAC o UNASUR, sono allo stesso modo nel mirino dell’amministrazione Trump.


Latinoamérica camina sobre los escombros de proyectos fallidos

William Serafino

El auge de figuras como Jair Bolsonaro en Brasil no responde a una situación estrictamente brasileña. La polarización entre sectores nacionalistas, tildados de neofascistas, y progresistas inclinados hacia la socialdemocracia y la izquierda, reafirma una cruda realidad: la dependencia de Latinoamérica con Estados Unidos, más allá de ser económica o productiva, es espiritual.

Así como el New Deal en su momento, y más tarde el neoliberalismo, modificarían el imaginario de las elites latinoamericanas, la confrontación actual entre el nacionalismo económico que representa Trump y las élites globalistas también parece ir reconfigurando el campo de batalla político en la región. Empieza en el país con la economía y población más grande de Latinoamérica: Brasil. Una prueba brutal de que la región sigue sin superar la condición de vertedero de la política estadounidense, sin perspectivas de construir un destino propio.

Por eso también la saña contra la opción chavista y su imaginación política para reinventar la región desde una perspectiva multipolar.

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Sin embargo, la crisis de Brasil no es propiamente de Brasil, sino latinoamericana.

Lo que marca los ritmos e intensidades en la confrontación interna de la región es la pugna entre potencias mundiales. El gobierno de los Estados Unidos, reactualizando la Doctrina Monroe, intenta secar las fuentes de materias primas a China, mientras en paralelo también asfixia a aquellas que tienen origen en Medio Oriente, principalmente en Irán.

Inducir una crisis de legitimidad en Brasil y fracturar su Estado-nación utilizando la “lucha anticorrupción” fue un objetivo político consistente con esta estrategia: la restricción del flujo de recursos energéticos hacia el gigante asiático para limitar su crecimiento como potencia global, toda vez que las transnacionales estadounidenses, financistas del golpe en 2016 contra Dilma Rousseff, aprovechan la debilidad de Brasil, y su salida precipitada como un factor importante del juego geopolítico a través de los BRICS, para nutrirse de sus recursos naturales y así revertir el declive de la hegemonía estadounidense dentro del orden internacional.

Las inmensas presiones sobre Venezuela también se explican a partir de allí: por el interés geoestratégico de Estados Unidos de evitar que Latinoamérica sea la base material para la construcción de un nuevo orden internacional.

Brasil y Venezuela son los países en que China ha invertido mayores capitales durante la última década.

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Brasil nació como Estado independiente siendo una república esclavista y semicolonial. El esclavismo, la violencia extrema, las limpiezas étnicas y las dictaduras, como quizás ningún otro país del continente, han atravesado toda su historia.

El producto de eso es un electorado con tendencias autoritarias, que en momentos de crisis e incertidumbre apela a una tradición de orden y fuerza sembrada en el imaginario político de Brasil.

La victoria de Jair Bolsonaro en primera vuelta se asentó en esa base histórica, fraguada tras años de sanguinarias dictaduras que internalizaron en el cuerpo de la sociedad brasileña el sometimiento colonial.

Pero en Brasil existe una crisis política y de representación inducida por la “lucha anticorrupción”, la cual desacreditó a toda la clase política.

En paralelo a la crisis económica internacional que afectó fuertemente a los países de la región más expuestos a la globalización, figuras como la de Bolsonaro vienen a ofrecer una solución de fuerza.

Pero el problema central aquí es otro. En el marco de esa crisis orgánica del modelo desarrollista brasileño, el progresismo pareciera no tener habilidades para reinterpretar el momento y dibujar horizontes y metas colectivas que calen en la sociedad.

Ante ese vacío, y aprovechando la situación, Bolsonaro apela al cuestionamiento de la política brasileña, con base a una idea de orden y fuerza que se hace atractiva para una sociedad que busca un vengador para reprimir las “causas” de la crisis: el PT, Lula, la democracia, los negros, los homosexuales, etc.

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Pero vayamos un poco más allá de la geografía brasileña. Latinoamérica hoy camina sobre los escombros de proyectos políticos y económicos fracasados: liberalismo democrático, keynesianismo, neoliberalismo, integración latinoamericana, etc.

Hay signos profundos de agotamiento de los modelos históricos aplicados para conducir políticamente a las sociedades latinoamericanas. Todas las formas de organización social y política que se plantean actualmente parecen ser desbordadas por el enfrentamiento encarnizado entre élites industriales y financiarizadas, la acelerada pugna geopolítica, la crisis ecológica y las tensiones sociales que disipan en el horizonte cualquier proyecto de estabilidad basado en un pacto común.

Es una crisis de modelos y de invención de la región como construcción geográfica e histórica. En ese contexto, la fuerza bruta y la antipolítica se imponen como única forma de imponer un orden más o menos estable.

Pero esa promesa de orden, que se prefigura bajo una lógica de Estado policial, tiene como objetivo reforzar la condición de periferia de la región y generar condiciones de seguridad para la extracción de los recursos energéticos que quedan en este lado del continente.

Las transnacionales y sus agentes nos están sacando varios cuerpos de ventaja y no tienen límites éticos, ideológicos y legales que les impida extremar las condiciones de explotación, saqueo, violencia y esclavitud.

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Existe un aspecto que no podemos perder de vista. Lula y el PT basaron su proyecto político en la expansión económica de Brasil apoyándose en el auge exportador de las materias primas, un pacto frágil con la burguesía paulista y un esquema inédito de distribución de la riqueza.

Pero detrás de esa redistribución, en mi opinión, hubo poca construcción política. Distribuir la riqueza per se no es una solución, pues sólo refuerza las estructuras de dependencia y poder de los países periféricos supeditados a las economías culturales de los países desarrollados. La crisis en Brasil es, a su vez, un termómetro para analizar los límites políticos de ese modelo y su incapacidad para generar irreversibilidad.

Refuerza un imaginario clase media que difumina las líneas de clase del proceso político. La única forma de trastocar esas estructuras es mediante una lucha de clases constituyente, apalancada por los sectores más pobres y excluidos, que logre trastocar un orden político y constitucional secuestrado por las élites.

El PT está pagando los costos de no colocar a las favelas en el centro de su programa político y de no jugarse una demolición del orden oligárquico heredado. No les quedaba de otra. Hoy son testigos de cómo distribuir la renta sin construcción política en paralelo y desde abajo, que a la larga termina pasando factura. El chavismo lo entendió desde el primer día en el poder.

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De ganar Jair Bolsonaro, puede que se entienda bastante bien con Donald Trump. Esto puede ocasionar que Estados Unidos gane un aliado clave para precipitar una “solución” extrapolítica y de fuerza en Venezuela, pero también podría intensificar aún más la balcanización de la región.

La reconversión de los Tratados de Libre Comercio y la política comercial de la Administración Trump orientada a negociaciones bilaterales pueden generar un efecto aún más regresivo en los proyectos de integración regional.

Reforzar la balcanización de la región es un punto esencial en el marco de la estrategia de la Administración Trump, dirigida a sacar beneficios para la economía estadounidense y tener exclusividad en el acceso a las materias primas. Políticos como Jair Bolsonaro caen como anillo al dedo para estos objetivos, ya que potenciaría la desestructuración de acuerdos de integración.

Esto es importante tenerlo en cuenta, porque la única forma de que Latinoamérica pueda superar sus contradicciones como periferia del sistema-mundo es alcanzando mayores niveles de integración con miras a conformarse como bloque histórico. La idea de Chávez de que las oligarquías ignorantes del continente tanto atacaron.

Lo interesante y complejo de esto es que los proyectos de integración neoliberales, como la Alianza del Pacífico, y los políticos, como CELAC o UNASUR, están en el punto de mira por igual de la Administración Trump.

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