John Bolton: Sì, signori, siamo l’Impero

Iroel Sánchez https://lapupilainsomne.wordpress.com

E’ comune in una parte della sinistra latino-americana utilizzare la parola Impero per riferirsi agli USA, e anti-imperialisti sogliono riconoscersi coloro che criticano le politiche egemoniche ed interventiste che quel paese ha tenuto nella regione. Ad esempio, l’attuale Costituzione di Cuba ed il nuovo progetto attualmente in discussione raccolgono l’espressione “imperialismo yankee” e proclamano l’antimperialismo come un principio delle relazioni internazionali della Repubblica.

Il Comandante Fidel Castro era solito nominare Impero il potente vicino del nord ed in più di un’occasione ha ironicamente paragonato l’agire dei suoi dirigenti con quello dei Cesari dell’antica Roma, ma fu José Martí che coniò l’espressione “Roma americana” per riferirsi agli USA.

Ciò che non ci si aspetterebbe è che siano i dirigenti stessi di quel paese, coloro che facilitino il parallelo come appena fatto dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale USA, John Bolton, in un’intervista al quotidiano El Nuevo Herald di Miami. Riferendosi ai presunti e mai provati “attacchi alla salute” a diplomatici USA a Cuba, che sono serviti a soddisfare l’agenda più estremista tra i politici cubano-americani, il signor Bolton ha affermato: “Non si può danneggiare gli statunitensi all’estero senza assumerne le conseguenze. È lo stesso argomento che il “Sono cittadino di Roma””.

John Bolton e gli USA hanno un rapporto difficile con la verità, almeno per quanto riguarda Cuba. La storia della politica USA verso L’Avana è una lunga storia di oltre 120 anni di fake news (notizie false), ma ha raggiunto uno dei suoi punti culminanti quando il signor Bolton, come ambasciatore all’ONU dell’amministrazione Bush, lanciò l’accusa, sgonfiata nientemeno che dall’ex presidente James Carter durante una visita all’Avana, che l’isola fabbricasse armi biologiche. Tuttavia, sembra che questa volta sia sfuggita una real news (notizia vera): “Sì signori, siamo l’Impero”. E se ci fosse qualche dubbio, nella stessa intervista, riferendosi alle relazioni tra la Russia e Cuba, ha citato la dottrina Monroe, quella che all’inizio del XIX secolo proclamò “l’America agli americani”.

John Bolton era a Miami per un annuncio di nuove misure contro Cuba, a cui questa volta si sono aggiunte minacce a Venezuela e Nicaragua. E benché l’abbia negato nell’intervista, il collegamento elettorale era troppo evidente a pochi giorni prima delle votazioni per eleggere congressisti e governatori. Trattandosi di uno stato con forte peso migratorio, in cui il discorso xenofobo del presidente Trump, al di là del privilegiato “esilio storico” cubano americano, ​​non si adatta molto tra i migranti provenienti da altre fonti, che aggiunto all’avanzata di una movimento per dotare di diritto di voto 1,4 milioni di persone che sono state condannate per reati potrebbe creare una congiuntura sfavorevole per i repubblicani. Attualmente, nel luogo dove più democrazia si richiede per Cuba, uno ogni cinque afrostatunitensi ed il 10% della popolazione adulta dello stato non possono votare a causa dei loro precedenti penali.

E’ anche inevitabile associare la presenza del Consigliere per la Sicurezza Nazionale a Miami con il fatto che quasi contemporaneamente Washington avrebbe ricevuto, all’ONU per la 27esima occasione, una condanna universale della sua politica contro Cuba, questa volta aggravata dalla sconfitta di nove emendamenti ed una mozione di procedura con la quale gli USA hanno tentato di intrappolare la tradizionale solitudine in cui sogliono rimanere con Israele in quelle votazioni, ma che nonostante ciò è tornata inesorabilmente a ripetersi. Sembrerebbe una consolazione nella forma di una cortina fumogena a quelli che nella Florida del Sud negano la realtà: “Non importa ciò che ci diga il mondo intero, continueremo a compiacerli”.

Privo di filettatura dove avvitare ulteriormente la vite senza farsi male anche alle mani, il governo USA ha annunciato aumentare la lista delle aziende cubane con le quali i cittadini USA non possono avere alcun contatto ed ha accarezzato le labbra all’estremismo di Miami promettendo di valutare “seriamente” il suo vecchio desiderio di porre in vigore il capitolo III della legge Helms Burton, la cui applicazione è stata successivamente rinviata ogni sei mesi da tutte le amministrazioni, da Bill Clinton a Donald Trump, a causa della quantità di inconvenienti che produrrebbe negli USA e nei rapporti con i suoi alleati.

Si stima che tale decisione comporterebbe la saturazione del sistema giudiziario, con azioni legali, nei tribunali USA, di oltre 200000 persone che denuncerebbero imprese di paesi terzi per “trafficare proprietà” a Cuba, ma non erano cittadini USA ma cubani al momento in cui le persero, e la legislazione internazionale riconosce il diritto sovrano dei governi di decidere sui beni dei propri cittadini; a differenza di 5913 reclami di cittadini USA le cui proprietà sono state sequestrate sull’isola e che Cuba è sempre stata disposta a risarcire in cambio di ricevere compensazione dei danni causati dalle aggressioni USA e su cui si è cominciato a conversare durante l’amministrazione Obama. L’analista USA William Leogrande riassume così le sicure conseguenze che hanno fatto rifiutare, sia ai governi repubblicani che democratici, la tentazione di applicare quel capitolo della Legge Helms Burton: “I tribunali USA saranno sopraffatti, la capacità delle società USA di fare affari sull’isola si vedrà danneggiata e gli alleati all’estero potranno intraprendere rappresaglie per le cause USA contro le loro società a Cuba”.

Quella Legge, ed in particolare il suo titolo III, aveva lo scopo di intensificare il blocco e scoraggiare gli investimenti stranieri a Cuba, ma che ora riemerga questo tentativo è un segno che nonostante le sanzioni, rafforzate durante il governo di Donald Trump, la strategia cubana di attrarre investitori sta avendo dei risultati.

Per certo, nel discorso del ministro degli esteri cubano al presentare la risoluzione di condanna del blocco, approvata da 189 voti favorevoli 2 contro, l’Assemblea Generale ONU c’è un dato che merita più attenzione da coloro, che consapevolmente o inconsapevolmente, ripetono le bugie del governo USA e l’attribuiscono al socialismo la causa fondamentale delle difficoltà economiche cubane: “Con gli ingressi smessi di percepire da esportazioni di beni e servizi ed i costi associati alla riubicazione geografica del commercio, che ci impone di disporre di più alte rimanenze, il prodotto interno lordo sarebbe cresciuto, a prezzi correnti, negli ultimi dieci anni, circa del 10% come tasso medio annuo”.

Potrebbe, la nuova Roma, tollerare quella real news? Sembra di no.


John Bolton: Sí, señores, somos el Imperio

Por Iroel Sánchez

Es común en parte de la izquierda latinoamericana utilizar la palabra Imperio para referirse a los Estados Unidos, y antiimperialistas suelen reconocerse quienes cuestionan las políticas hegemonistas e injerencistas que ese país ha sostenido en la región. Por ejemplo, la Constitución vigente en Cuba y el nuevo proyecto que se discute actualmente recogen la expresión “imperialismo yanqui” y proclaman el antiimperialismo como un principio de las relaciones internacionales de la República.

El Comandante Fidel Castro acostumbraba a nombrar Imperio al poderoso vecino del Norte y en más de una ocasión comparó irónicamente el proceder de sus líderes con el de los Césares de la antigua Roma, pero fue José Martí quien acuñó la expresión “Roma americana” para referirse a los Estados Unidos.

Lo que no se esperaría es que sean los propios líderes de ese país quienes faciliten el paralelo como acaba de hacer el Asesor de Seguridad Nacional de los Estados Unidos, John Bolton, en una entrevista con el diario El Nuevo Herald de Miami. Refiriéndose a los alegados y nunca probados “ataques de salud” a diplomáticos estadounidenses en Cuba que sirvieron para complacer la agenda más extremista entre los políticos cubanoamericanos, el Sr Bolton ha afirmado: “No se puede dañar a los estadounidenses en el extranjero sin asumir las consecuencias. Es el mismo argumento que el “Soy ciudadano de Roma””.

John Bolton y los EE.UU. tienen una relación difícil con la verdad, al menos en cuanto a Cuba respecta. La historia de la política estadounidense hacia La Habana recorre un largo historial de más de 120 años de fake news pero alcanzó uno de sus puntos culminantes cuando el Sr Bolton, como embajador en la ONU de la Aministración de George W. Bush, lanzó la acusación, desinflada nada menos que por el ex Presidente James Carter durante una visita a La Habana, de que la Isla fabricaba armas biológicas. Sin embargo, parece que esta vez se les ha escapado una real news: “Sí señores, somos el Imperio”. Y por si alguna duda había, en la misma entrevista, a propósito de las relaciones entre Rusia y Cuba, citó la doctrina Monroe, aquella que a inicios del siglo XIX proclamó “América para los americanos”.

John Bolton estaba en Miami para un anuncio de nuevas medidas contra Cuba, a las que esta vez se añadieron amenazas a Venezuela y Nicaragua. Y aunque él lo negó en la entrevista, la conexión electoral era demasiado evidente a pocos días de las votaciones para elegir congresistas y gobernadores. Tratándose de un estado con elevado peso migratorio, donde el discurso xenófobo del Presidente Trump, más allá del privilegiado “exilio histórico” cubanoamericano, no encaja mucho entre los migrantes de otras procedencias, lo que sumado al avance de un movimiento para dotar de derecho al voto a 1,4 millones de personas que fueron condenadas por delitos pudiera crear una coyuntura desfavorable para los republicanos. Actualmente, en el lugar donde más democracia se exige para Cuba, uno de cada cinco afroestadounidenses y el 10% de la población adulta del estado no pueden votar debido a sus antecedentes penales.

También es inevitable asociar la presencia del Asesor de Seguridad Nacional en Miami con el hecho de que casi simultáneamente Washington recibía en la ONU por vigésimo séptima ocasión una condena universal de su política contra Cuba, esta vez agravada con la derrota de nueve enmiendas y una moción de procedimiento con la que Estados Unidos intentó enredar la tradicional soledad en que suele quedar junto a Israel en esas votaciones pero que a pesar de ello volvió a repertirse inexorablemente. Pareciera como un consuelo en forma de cortina de humo a quienes en el Sur de la Florida niegan la realidad: “No importa lo que nos diga el mundo en pleno, seguiremos complaciéndolos”.

Carente ya de rosca donde apretar más el tornillo sin que le duelan también sus manos, el gobierno de Estados Unidos anunció aumentará en una docena la lista de las empresas cubanas con las que los ciudadanos estadounidenses no pueden tener contacto alguno y le acarició los labios al extremismo miamense con la promesa de evaluar “seriamente” su viejo anhelo de poner en vigor el capítulo III de la Ley Helms Burton, cuya aplicación ha sido pospuesta sucesivamente cada seis meses por todas las administraciones, desde Bill Clinton hasta la de Donald Trump, debido la cantidad de inconvenientes que produciría dentro de los Estados Unidos y en las relaciones con sus aliados.

Se estima que tal decisión implicaría la saturación del sistema judicial con demandas en tribunales norteamericanos de más de 200 000 personas que reclamarían a empresas de terceros países por “traficar propiedades” en Cuba, pero no eran ciudadanos norteamericanos sino cubanos en el momento en que las perdieron, y la legislación internacional reconoce el derecho soberano de los gobiernos a decidir sobre los bienes de sus propios ciudadanos; a diferencia de 5.913 reclamaciones de nacionales de los EE. UU. cuyas propiedades fueron incautadas en la Isla y que Cuba ha estado siempre dispuesta a indemnizar a cambio de recibir compensación de los daños ocasionados por las agresiones de EE.UU. y sobre lo que comenzó a conversarse durante la Administración Obama. El analista estadounidense William Leogrande resume así las seguras consecuencias que han hecho desestimar tanto a gobiernos republicanos como demócratas la tentación de aplicar ese capítulo de la Ley Helms Burton: “Los tribunales estadounidenses se verán abrumados, la capacidad de las empresas estadounidenses para hacer negocios en la isla se verá afectada y los aliados en el extranjero podrían tomar represalias por las demandas estadounidenses contra sus empresas en Cuba.”

Esa Ley, y en particular su título III, tuvo el propósito de recrudecer el bloqueo y desestimular la inversión extranjera en Cuba, pero que resurja ahora ese intento es una muestra de que a pesar de las sanciones, reforzadas en lo que va del gobierno de Donald Trump, la estrategia cubana de atraer inversionistas está teniendo resultados.

Por cierto, en el discurso del Canciller cubano al presentar la resolución de condena al bloqueo que aprobó por 189 votos contra 2 la Asamblea General de la ONU hay un dato que merecería más atención de quienes consciente o inconscientemente repiten las falacias del gobierno estadounidense y atribuyen al socialismo la causa fundamental delas penurias económicas cubanas: “Con los ingresos dejados de percibir por exportaciones de bienes y servicios y los costos asociados a la reubicación geográfica del comercio, que nos impone disponer de muy altos inventarios, el Producto Interno Bruto de Cuba habría crecido, a precios corrientes, en el último decenio, alrededor de un 10% como tasa promedio anual”.

¿Pudiera la nueva Roma tolerar esa real news? Parece que no.

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