USA: quando le armi non bastano

Raúl Antonio Capote  www.cubadebate.cu

Per vincere la resistenza dei popoli, le armi non sono mai state sufficienti. Alla guerra, alle occupazioni ed alle colonizzazioni, le accompagna, e molte volte le precede, l’imposizione della cultura dell’invasore.

Tra gli anni 58 e 52 A.N.E. (prima della nostra epoca ndt) le legioni romane, sotto il comando di Giulio Cesare, invasero le Gallie. Ottocento città conquistate, un milione di prigionieri venduti come schiavi e circa tre milioni di morti fu il saldo, secondo Plutarco, della conquista.

Per estendere la campagna al di là del Reno, Cesare aveva bisogno del sostegno del Senato; per ottenerlo creò una minaccia, la minaccia germanica. Tiberio, successore di Augusto, preferì non usare la guerra per sottomettere i bellicosi, germani ma vi provò attraverso la cultura. Sulle rive del Reno, l’imperatore costruì una città romana con terme, teatri, templi e viali, offrendo loro i “vantaggi” della civilizzazione romana.

Costruire una minaccia, demonizzare il nemico, usare la paura, sono state risorse molte volte usate dagli invasori per ottenere il sostegno dei popoli e mobilitarli o smobilitarli secondo i loro interessi.

Dopo la 2da Guerra Mondiale, la Paura Rossa fu efficacemente gestita dall’impero nordamericano, se il popolo USA si inquietava, si suonava a stormo: che vengono i russi!

Distruggere l’identità dei popoli, imporre la cultura del conquistatore a ferro e fuoco, cancellare la memoria storica, è essenziale per perpetuare il saccheggio ed il dominio, un popolo senza memoria è facilmente incatenato e sfruttato.

Città del Messico fu costruita sulle rovine di Tenochtitlan, i conquistatori spagnoli non lasciarono pietra su pietra. Nelle Americhe “scoperte” distrussero i quipus (cordicelle annodate ndt) inca, codici maya, osservatori astrologici, calendari, templi, immagini e simboli religiosi, monumenti, città e villaggi ed imposero la loro lingua e religione.

Durante la guerra in Iraq, le truppe USA saccheggiarono centinaia di monumenti storici, rubarono pezzi museali di valore incalcolabile, libri insostituibili; svaligiarono il Museo Nazionale dell’Iraq, in 48 ore l’edificio fu distrutto e saccheggiato ed, almeno, 50 mila pezzi furono rubati.

La Biblioteca Nazionale dell’Iraq, a Baghdad, fu presa d’assalto ed incendiata, l’Università di Baghdad fu bruciata due volte nello stesso giorno. “Distruggendo l’eredità dell’Iraq, il suo popolo, la sua architettura, millenni di cultura dell’umanità furono spazzati via”. 1

Durante il periodo della ricostruzione, nel paese distrutto dalla guerra, una delle prime proposte realizzate dai “liberatori” fu quella di costruire un Disney World.

Mir Ahmad Joyenda, deputato del Parlamento afghano, afferma che nel caso di quella nazione, i soldati stranieri, di notte, minavano le mura e penetravano nel Museo Nazionale per rubare. L’Afghanistan è stato vittima di furti e distruzioni intenzionali delle sue ricchezze archeologiche.

Sui popoli pesano secoli d’inganno, l’inganno che con l’arrivo dei mass media e delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha preso dimensioni molto difficili da misurare in tutta la sua portata.

Secondo Luis Brito García, mediante la cultura s’impone la volontà al nemico e si inculcano le concezioni del mondo, valori ed atteggiamenti. “A lungo termine l’apparato politico non può difendere vittoriosamente in guerra, o imporre in pace, ciò che la cultura nega”. 2

Il potere globale capitalista conta oggi su potenti armi culturali. “Con operazioni di penetrazione, ricerca motivazionale, propaganda ed educazione, gli apparati politici ed economici hanno assunto il compito di operare nel corpo vivente della cultura. L’operazione ha come strumentazione chirurgica un arsenale di simboli; come campo il pianeta, come preda la coscienza umana. I suoi cannoni sono i mezzi di comunicazione di massa, i suoi proiettili le ideologie”. 3

I grandi capitalisti sanno che il controllo ideologico è fondamentale affinché i popoli non si ribellino contro lo sfruttamento delle multinazionali e investono e si impadroniscono dei mass media; una rete multifattoriale che agisce per influire e manipolare l’opinione pubblica.

Come ci liberiamo dell’americanizzazione delle nostre abitudini, gusti, costumi e pensieri? Come priviamo la gente dei loro gusti e pratiche di tutta la vita? Giochi, intrattenimento, spettacoli fanno parte del nostro modo di essere, di vivere. Come rinunciare al modo di vestirci, alle serie televisive che ci piacciono, alla musica che ascoltiamo, allo sport che vediamo; a tutto ciò che ci causa piacere, quando siamo seduti nel salotto di casa nostra, davanti alla televisione, speriamo di “distrarci” un pò riposare, “disconnettere”?

L’influenza romana raggiunse solo una parte del pianeta, gli imperi successivi ebbero le loro zone limitate a spazi più o meno estesi. Dell’impero di Carlo V si diceva che in esso il sole non tramontava mai. L’influenza culturale della Spagna, Gran Bretagna e Portogallo fu enorme, estesero per gran parte del mondo la loro lingua, usi e costumi, ma gli USA hanno ottenuto portare la loro influenza a tutto il mondo, dalla politica sino alla moda.

Gli abitanti di questo mondo, sino nell’angolo più remoto della terra, indossano blue jeans, mangiano hamburger, bevono Coca-Cola, masticano gomme, indossano cappellini e maglie con immagini o segni USA, sono fan di gruppi e cantanti USA, sono fan della serie TV e dei film di Hollywood, seguono le notizie ed i pettegolezzi delle stelle del cinema, sono intrattenuti con le morbose immagini che svelano i paparazzi, l’amore, il sesso, la moda, i sogni sono sempre più made in USA

La globalizzazione della cultura è una realtà, ma bisognerebbe aggiungere un cognome, globalizzazione della cultura USA.

Il potere dell’impero ha oggi un’enorme esperienza, il suo dominio della industria culturale, dei media e dell’informazione, gli dà un grande vantaggio, ma quel potere ha come contropartita il progetto socialista cubano, un progetto culturale convalidato da 60 anni di esistenza, che possiede inoltre, per sua stessa autenticità, la virtù di nutrirsi delle controculture che genera. La sua esemplarità favorisce l’emergere di progetti simili, autonomi, in altre parti del mondo.

Il potere di una cultura, diceva Antonio Gramsci, si misura dal suo livello di assimilazione critica e di superarsi davanti a nuove realtà. Libero da ogni determinismo storico, Cuba è una “anomalia” che non può essere accettata dall’ordine capitalista mondiale.

Antagonista della religione del mercato imposta al mondo come l’ultima stazione del suo cammino, in un mondo che cerca di negare la storia, conta con la sua cultura come prima, seconda e ultima linea di difesa.

Note

1 Quotidiano francese Le Monde, May Muzzafar, maggio 2003

2 Luis Brito García. L’impero controculturale: dal rock alla postmodernità, p. 13.

3 Luis Brito García. L’impero controculturale: dal rock alla postmodernità, p. 14.

(Tratto da Granma)


Estados Unidos: Cuando no bastan las armas

Por: Raúl Antonio Capote

Para vencer la resistencia de los pueblos nunca han sido suficientes las armas. A la guerra, las ocupaciones y colonizaciones, les acompaña y muchas veces les antecede, la imposición de la cultura del invasor.

Entre los años 58 y 52 A.N.E. las legiones romanas, bajo el mando de Julio César, invadieron las Galias. Ochocientas ciudades conquistadas, un millón de prisioneros vendidos como esclavos y unos tres millones de muertos fue el saldo, según Plutarco, de la conquista.

Para extender la campaña hasta más allá del Rin, César necesitaba el apoyo del Senado; para lograrlo creó una amenaza, la amenaza germana. Tiberio, sucesor de Augusto, prefirió no usar la guerra para someter a los belicosos germanos, pero lo intentó a través de la cultura. A orillas del Rin, el emperador construyó una ciudad romana con termas, teatros, templos y avenidas, les ofreció las “ventajas” de la civilización romana.

Construir una amenaza, demonizar al enemigo, usar el miedo, han sido recursos muchas veces utilizados por los invasores para obtener el apoyo de sus pueblos y movilizarlos o desmovilizarlos según sus intereses.

Después de la 2da. Guerra Mundial, el Miedo Rojo fue manejado eficazmente por el imperio norteamericano, si el pueblo estadounidense se intranquilizaba, se tocaba a rebato: ¡Qué vienen los rusos!

Destruir la identidad de los pueblos, imponer la cultura del conquistador a sangre y fuego, borrar la memoria histórica, es primordial para perpetuar el saqueo y la dominación, un pueblo sin memoria es fácilmente encadenado y explotado.

La Ciudad de México se construyó sobre las ruinas de Tenochtitlan, los conquistadores españoles no dejaron piedra sobre piedra. En las Américas “descubiertas” destruyeron los quipus incas, los códices mayas, los observatorios astrológicos, los calendarios, los templos, las imágenes y símbolos religiosos, los monumentos, ciudades y pueblos e impusieron su idioma y su religión.

Durante la guerra de Iraq las tropas estadounidenses saquearon cientos de monumentos históricos, robaron piezas museables de incalculable valor, libros irremplazables; desvalijaron el Museo Nacional de Iraq, en 48 horas el edificio fue destrozado y saqueado y, al menos, 50 mil piezas fueron robadas.

La Biblioteca Nacional de Iraq en Bagdad fue asaltada e incendiada, la Universidad de Bagdad ardió dos veces el mismo día. “Al destruir la herencia de Iraq, su pueblo, su arquitectura, milenios de cultura de la humanidad quedaron barridos”.1

Durante el periodo de reconstrucción, en el país destruido por la guerra, una de las primeras propuestas realizadas por los “libertadores”, fue edificar un Disney World.

Mir Ahmad Joyenda, diputado del Parlamento afgano, afirma que en el caso de esa nación, soldados extranjeros, por la noche, socavaban los muros y penetraban en el Museo Nacional para robar. Afganistán ha sido víctima del robo y destrucción intencionados de sus riquezas arqueológicas.

Sobre los pueblos pesan siglos de engaño, engaño que con la llegada de los medios masivos de comunicación y las nuevas tecnologías de la información y de la comunicación, ha tomado dimensiones muy difíciles de medir en toda su magnitud.

Según Luis Brito García, mediante la cultura se impone la voluntad al enemigo y se inculcan concepciones del mundo, valores y actitudes. “A la larga el aparato político no puede defender victoriosamente en la guerra, o imponer en la paz, lo que la cultura niega”.2

El poder global capitalista, cuenta hoy con poderosas armas culturales. “Con operaciones de penetración, de investigación motivacional, de propaganda y de educación, los aparatos políticos y económicos han asumido la tarea de operar en el cuerpo viviente de la cultura. La operación tiene como instrumental quirúrgico un arsenal de símbolos; como campo el planeta, como presa la conciencia humana. Sus cañones son los medios de comunicación de masas, sus proyectiles las ideologías”.3

Los grandes capitalistas saben que el control ideológico es fundamental para que los pueblos no se rebelen contra la explotación de las transnacionales, e invierten y se adueñan de los medios masivos de comunicación, un tejido multifactorial que actúa para influir y manipular la opinión pública.

¿Cómo nos libramos de la americanización de nuestros hábitos, gustos, costumbres y pensamiento? ¿Cómo privamos a la gente de sus gustos y prácticas de toda la vida? Los juegos, el entretenimiento, los espectáculos, forman parte de nuestra forma de ser, de vivir. ¿Cómo renunciar a la manera de vestirnos, a las series de televisión que nos gustan, a la música que escuchamos, al deporte que vemos; a todo eso que nos causa placer, cuando apoltronados en la sala de nuestra casa, frente al televisor, esperamos “distraernos” un rato, descansar, “desconectar”?

La influencia romana llegó solo a una parte del planeta, los imperios sucesivos tuvieron sus zonas limitadas a espacios más o menos extensos. Del imperio de Carlos V se decía que en él nunca se ponía el sol. El influjo cultural de España, Gran Bretaña y Portugal fue enorme, extendieron por buena parte del mundo su lengua, hábitos y costumbres, pero Estados Unidos ha logrado llevar su influencia a todo el orbe, desde lo político hasta la moda.

Los habitantes de este mundo, hasta en el más remoto rincón de la tierra, usan blue jeans, consumen hamburguesas, toman Coca-Cola, mastican chicles, llevan gorras y pulóveres con imágenes o letreros estadounidenses, son seguidores de los grupos y cantantes norteamericanos, son fanáticos de las series de televisión y del cine de Hollywood, siguen las noticias y chismes de las estrellas de cine, se entretienen con las imágenes morbosas que destapan los paparazzi, el amor, el sexo, la moda, los sueños son cada vez más made in USA.

La globalización de la cultura es una realidad, pero habría que agregarle un apellido, globalización de la cultura estadounidense.

El poder del imperio tiene hoy una enorme experiencia, su dominio de la industria cultural, de los medios de comunicación e información, les da una gran ventaja, pero ese poder tiene como contrapartida al proyecto socialista cubano, un proyecto cultural validado por 60 años de existencia, que posee, además, por su propia autenticidad, la virtud de nutrirse de las contraculturas que genera. Su ejemplaridad fomenta el surgimiento de proyectos similares, autónomos, en otros lugares del mundo.

El poder de una cultura, decía Antonio Gramsci, se mide por su nivel de asimilación crítica y de superarse ante las nuevas realidades. Libre de todo determinismo histórico, Cuba es una “anomalía” que no puede ser aceptada por el orden capitalista mundial.

Antagonista de la religión del mercado impuesta al mundo como la última estación de su camino, en un mundo que pretende negar la historia, cuenta con su cultura como primera, segunda y última líneas de defensa.

Notas

1 Diario francés Le Monde, May Muzzafar, mayo del 2003

2 Luis Brito García. El imperio contracultural: del rock a la posmodernidad, p. 13.

3 Luis Brito García. El imperio contracultural: del rock a la posmodernidad, p. 14.

(Tomado de Granma)

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