Guantanamo: 17 anni dopo attende i suoi nuovi prigionieri

Roberto Montoya – https://blogs.publico.es

Le foto diffuse con orgoglio dal Pentagono dei primi prigionieri trasferiti, l’11 gennaio 2002, su aerei militari dall’Afghanistan alla prigione di Guantanamo, indignarono il mondo. Diciassette anni dopo, 40 prigionieri permangono ancora in quel campo di concentramento del XXI secolo e Trump chiede di investire decine di milioni di $ per migliorare le sue infrastrutture per ricevere nuovi ostaggi.

Guantanamo ci ricorda che la crociata “contro il terrore” avviata da Bush, Blair e Aznar, che ha causato tante migliaia di vittime, non è ancora finita.

In quelle immagini distribuite dal Pentagono ai media di tutto il mondo, nel 2002, si mostrava numerosi uomini davanti alle loro celle di reti metalliche, all’aria aperta, di cinque metri quadrati. Erano vestiti con tute arancioni, in ginocchio, imbavagliati, mani e piedi incatenati, con grandi occhiali neri, maschere alla bocca, caschi insonorizzanti coprendo le loro orecchie, guanti imbottiti e piedi rivestiti.

Nessuno di loro aveva idea di dove fosse, molti non lo seppero se non qualche anno dopo. Con quell’equipaggiamento e provvisti di pannolini avevano sopportato circa 30 ore di volo incatenati al pavimento degli aerei da carico militari.

Il primo gruppo di prigionieri, 23, arrivò alla base navale USA, localizzata illegalmente nella provincia cubana di Guantanamo, l’11 gennaio, in un aereo militare C-141, ma quello non fu un volo diretto dall’Afghanistan.

Scali in suolo spagnolo

La prima parte del volo, effettuata in un C-17, partì dalla base delle truppe USA a Kandahar, Afghanistan, e atterrò in Spagna, presso la base militare di Morón de la Frontera. Lì i prigionieri furono trasferiti sul C-141, con il quale proseguirono il viaggio sino Guantanamo.

Erano trascorsi esattamente quattro mesi dagli attentati terroristici dell’11 settembre ed il servile governo di José María Aznar fu tra i primi governi europei ad offrire, volentieri, appoggio alla crociata “contro il terrore” lanciata da George Bush Junior.

Una commissione d’inchiesta del Parlamento Europeo ed un’altra del Consiglio d’Europa confermarono, anni più tardi, nel 2007, che gli aerei camuffati della CIA che trasferirono, a Guantánamo o a prigioni segrete, gli individui catturati in diversi paesi, fecero più di 1400 scali negli aeroporti europei, tra il 2002 ed il 2005.

Più di 120 di questi scali ebbero luogo in 10 aeroporti civili spagnoli ed un numero indefinito in basi militari spagnole di uso congiunto con gli USA.

Il rapporto di Aznar con Bush si sarebbe ulteriormente stretto negli anni successivi ed entrambi, insieme a Blair, avrebbero poi costituito il tristemente celebre trio delle Azzorre che, meno di due anni dopo dell’11 settembre e della guerra in Afghanistan, cominciata settimane più tardi da quegli attentati, lanciava, nel marzo 2003, l’illegale ed unilaterale devastante guerra contro l’Iraq ai fini anche della “guerra contro il terrore”.

A quel primo aereo C-141 che partì dalla base di Morón a Guantanamo sarebbero seguiti molti altri nei giorni successivi. In poche settimane erano già 150 i prigionieri che il Pentagono mostrava come trofei a tutti, ed il flusso dei trasferimenti fu costante durante i primi anni.

Quelle foto furono copertina dei media di tutto il mondo, causando grande indignazione per il trattamento inumano e vessatorio che implicavano e per la violazione delle norme sul trattamento dei prigionieri di guerra stabilite nelle Convenzioni di Ginevra dal 1950.

George Bush rispose a queste critiche con il suo particolare stile: emise un memorandum in cui etichettò tutti i detenuti come “talebani” o “combattenti di al-Qaeda”, senza fornire alcuna prova che tutti lo fossero e creò, per loro, la figura del “combattenti nemici”. Con tale nuovo status, una vera e propria presa in giro dell’ONU e di tutte le organizzazioni internazionali, escludeva quei prigionieri dai diritti conferiti dalle Convenzioni di Ginevra a tutti i prigionieri di guerra, dal 1949.

Adducendo che la base navale della baia di Guantanamo, situata nella provincia cubana omonima, dal 1903, -nonostante le ripetute denunce del Governo di Cuba- era un “territorio USA d’oltremare” Bush impedì le azioni dei tribunali federali USA.

Attraverso il suo Ordine Militare del 13 novembre 2001, Bush aveva già deciso che i prigionieri sarebbero stati processati da tribunali militari.

La trama legale architettata dalla Casa Bianca, Pentagono, Dipartimento di Giustizia e Dipartimento di Stato lasciò così nell’assoluto limbo legale tutti gli individui catturati dalle sue forze armate, in Afghanistan o in altri teatri di guerra ed ai sequestrati e trasportati dalla CIA ai centri di tortura.

Agenti spagnoli parteciparono agli interrogatori di due detenuti a Guantanamo che avevano nazionalità spagnola.

Prigionieri tra i 13 e gli 89 anni

Ci sono voluti anni per conoscere l’identità di coloro che erano detenuti a Guantanamo ed il tipo di torture a cui erano stati sottoposti in totale impunità. Secondo i dati ACLU (American Civil Liberties Union) la più potente associazione che difende i diritti civili negli USA, un totale di 779 persone, di 40 nazionalità diverse, passarono per il carcere.

Il più giovane aveva 13 anni -e si ebbero altri 20 minori-; il più anziano aveva 89 anni. Furono circa 200 gli agenti dell’FBI che parteciparono agli abusi ed alle torture dei prigionieri; 26 dei detenuti a Guantanamo erano stati precedentemente torturati da agenti della CIA in prigioni segrete poste in vari paesi, alcuni di esse sul suolo europeo, in Ungheria e Polonia.

Almeno 7 prigionieri si suicidarono non tollerando le torture e la reclusione; il più giovane di loro, Yasser Talal Al Zahrani, si suicidò all’età di 21 anni. Era stato catturato a 16 anni.

Molti altri prigionieri tentarono il suicidio, più di 100 effettuarono uno sciopero della fame di protesta, nel 2005, che si concluse con l’alimentazione forzata, legati ad una sedia ed attraverso sonde gastroesofagee.

Secondo Harry B. Harris, ex comandante della Joint Task Force a Guantanamo -e attuale ambasciatore USA in Corea del Sud- i suicidi non erano il risultato della disperazione, ma “parte di un piano di guerra asimmetrica progettato da Al Qaeda” “un’abile strategia di propaganda”.

Secondo il rapporto ACLU, in coincidenza con i dati di Amnesty International ed altre organismi per i diritti umani, solo il 5% dei detenuti che passarono per Guantanamo furono catturati dalle truppe USA.

L’86% fu catturata dalle milizie controllate dai ‘signori della guerra’ afghani e venduti, tra i 3000 e 25000 $ ciascuno, alle truppe USA dopo averli accusati, in modo interessato, di essere combattenti talebani o di Al Qaeda. Il Pentagono investì milioni di $ in tali “acquisti”.

Da qui i pessimi risultati ottenuti.

Centinaia di loro furono liberati senza accuse, dopo anni di reclusione, più di 500 di loro durante l’era Bush. Obama ne “ereditò” 242 dal suo predecessore e “lasciò in eredità” 41 prigionieri a Trump, dopo i suoi otto anni in carica. Trump ne ha trasferito, in due anni, solo uno, il saudita Ahmed Mohammed Al-Darbi.

Come in buona parte dei casi di prigionieri trasferiti nei loro paesi di origine o in paesi terzi, Al-Darbi, catturato nel 2002 in Azerbaigian e torturato in una prigione segreta della CIA in Afghanistan, si dovette incolpare davanti al tribunale militare della base da Guantanamo per poter essere trasferito in una prigione dell’Arabia Saudita, per essere sottoposto ad un programma di “deradicalizzazione” per diversi anni.

Solo 8 furono condannati dai tribunali militari, i cui membri ignorarono le denunce delle torture sofferte affinché si auto incolpassero. Sette dei procuratori militari designati dal Pentagono richiesero il trasferimento al non poter sopportare il livello di ingiustizia di quei processi, effettuati senza alcuna garanzia. I detenuti non avevano il diritto di conoscere gli atti accusatori per “problemi di sicurezza nazionale”.

Human Rights First, un’altra delle maggiori organizzazioni per la difesa dei diritti civili negli USA, fornisce, da parte sua, questi dati aggiuntivi: 4 detenuti morirono, dal 2009, per diversi motivi, a parte i suicidi; i 40 detenuti che sono ancora in prigione, la maggior parte di loro yemeniti sono lì da più di 10 anni; 7 di loro sono attualmente processati; 5 dei prigionieri stanno aspettando, da tempo, il momento di essere liberati; 26 sono considerati dal Pentagono “particolarmente pericolosi” e che non è disposto a rilasciare in ogni caso, sebbene contro alcuni di loro non siano state presentate prove incriminanti.

Secondo i calcoli di HRF, simili alle cifre ufficiali del bilancio della Difesa, mentre il mantenimento di un detenuto in un carcere federale di massima sicurezza, in territorio USA ,costa allo stato $ 78000 ogni anno, un prigioniero della base di Guantanamo costa 10 milioni dato che si mantiene lo stesso personale militare e civile (1760 effettivi) e la stessa infrastruttura per i 40 attualmente detenuti che manteneva quando ce n’erano 780.

Solo la riabilitazione di Camp 7, il blocco ultra segreto dove si mantengono 15 detenuti considerati più pericolosi, -alcuni sono accusati di coinvolgimento nella pianificazione degli attentati dell’11-S e altri atti terroristici- fu preventivata nel 2014 da John F. Kelly -comandante sotto l’amministrazione Obama del Southern Command USA e, dal 2017, Segretario per la Sicurezza Nazionale di Trump- in 69 milioni di $, a 4,6 milioni per prigioniero.

Paralizzato il progetto da Obama è stato recuperato da Trump, che progetta poterlo realizzare prima del 2022 se si approva il suo nuovo bilancio generale della Difesa per il 2019.

Nonostante i magri risultati ottenuti con questo sinistro laboratorio dei Caraibi, Trump si ostina a mantenerlo aperto per lì trasferire “i cattivi che minacciano la sicurezza USA”.

Il presidente USA ha emesso, il 30 gennaio 2018, un Ordine Esecutivo revocando la decisione di Obama di chiudere la prigione ed annunciando che lì vi sarebbero stati trasferiti nuovi prigionieri.

Nel 2008 giunsero gli ultimi detenuti a Guantanamo, ma il Pentagono ha presentato un piano a Trump, mesi fa, per mettere a profitto tanto costoso carcere con l’ingresso di prigionieri di “alto valore” dello stato islamico che attualmente mantiene in basi militari in Medio Oriente.

Lo scorso giugno è stata effettuata una simulazione dell’arrivo, in aereo, a Guantánamo di nuovi prigionieri per verificare che l’intero protocollo fosse ancora oliato come un decennio fa.

Il Partito Democratico non appoggiò Obama al fine di chiudere Guantánamo

Obama promise, nel 2009, di chiudere il penitenziario e quando lasciò la Casa Bianca, nel 2017, era ancora aperto. Perché non usò il meccanismo presidenziale dell’Ordine Esecutivo per farlo evitando così l’opposizione repubblicana? Molti analisti si sono posti questa domanda.

I repubblicani non erano il suo unico problema. Obama ha effettivamente incontrato una seria opposizione all’interno del Partito Democratico stesso. Non ha ottenuto appoggio quando all’inizio del suo mandato annunciò che si sarebbe formata una commissione per indagare e punire i responsabili dei numerosi casi di tortura contro i prigionieri di guerra, e neppure quando propose il suo piano per chiudere Guantanamo, proponendo liberare i prigionieri contro i quali non c’erano accuse e giudicare nei tribunali federali USA quelli contro cui c’erano.

Numerosi governatori democratici si opposero, come repubblicani, a che si trasferissero, quelli che furono condannati da quelle corti, in carceri di massima sicurezza nei loro rispettivi stati. Assicuravano che una tale decisione avrebbe convertito, i loro stati, in bersaglio dei terroristi.

Nel 2015, durante il secondo mandato di Obama, il Partito Repubblicano controllava le due Camere. All’approvare il budget della Difesa, per il 2016, sia la Camera dei Rappresentanti che il Senato respinsero la voce reclamata dal presidente per portare a termine il suo piano di chiudere Guantánamo.

Obama non ha potuto porre il veto al cosiddetto National Defense Authorization Act (NDAA) perché fu votato da una maggioranza molto ampia, e ciò fu possibile perché solo una minoranza di Democratici votò contro. Nella Camera dei Rappresentanti il ​​Partito Repubblicano aveva 247 seggi su un totale di 435, ma ottenne 370 voti a favore e solo 58 contrari; al Senato c’erano 54 repubblicani su un totale di 102, ma furono 91 che votarono a favore della Legge e solo 3 contro.

Le cifre sono eloquenti. Il Partito Democratico ha evidentemente un grave problema interno e diverse famiglie con interessi molto diversi.

Tutto ciò ha contribuito affinché Guantánamo rimanesse aperto

Tra le richieste a Trump affinché investa nel miglioramento delle infrastrutture della prigione, i comandanti militari della stessa chiedono di ristrutturare alcuni dei suoi blocchi, campi, per ospitare prigionieri anziani, come il ricco uomo d’affari pakistano Saifullah Paracha, 71enne, o altri con disabilità fisiche.

Nonostante il fatto che importanti funzionari del Pentagono si rifiutino di tenere aperto Guantánamo a causa dei suoi costi e della sua manifesta inefficacia nella lotta contro il terrorismo, Trump continua con i suoi piani. Nel dicembre 2017 il Relatore Speciale contro la Tortura dell’ONU, Nils Melzer, ha duramente criticato, in un comunicato, che a Guantanamo si continuassero con l’applicazione di torture di diversi tipi ed ha denunciato l’impunità con cui agiscono i responsabili di queste.

Ma per il presidente, la tortura non è mai stata un problema. Nel 2017 ha impedito che si declassificasse l’informe di 6700 pagine elaborato da una commissione parlamentare presieduta dalla democratica Dianne Feinstein -recentemente eletta presidentessa della Camera dei Rappresentanti- sugli interrogatori e torture della CIA.

Dall’inizio del suo mandato ha rivendicato l’uso del “waterboarding” (sottomarino). In un atto della sua campagna elettorale, nel giugno 2016, Trump ha chiesto ai suoi seguaci: “Cosa ne pensate del waterboarding?” E lui si è risposto: “Mi piace molto, non penso sia abbastanza duro”.

Nel 2017 colpì molti la decisione del presidente di nominare a figura chiave nell’elaborazione dei memorandum dell’amministrazione Bush teorizzando e giustificando la tortura sistematica dei prigionieri, Steven Engel, per presiedere il Consiglio Legale del Dipartimento di Giustizia.

Nel 2018 ha anche nominato Gina Haspel, responsabile di un carcere segreto della CIA in Tailandia, dove diversi prigionieri furono torturati, come direttrice dell’agenzia. Trump non ha nascosto, in alcun momento, il suo scopo di recuperare le più sinistre pratiche della “guerra contro il terrore” dell’era Bush.

E la comunità internazionale?

Le proteste e critiche dell’ONU e della UE, durante gli anni più duri della “guerra contro il terrore” di Bush, sono andate rarefacendosi e sono praticamente scomparse.

Per quei prigionieri considerati meno pericolosi dal Pentagono, la vita quotidiana nella prigione è migliorata e per questo organizza visite di giornalisti per visitare alcuni dei campi di detenzione, che possono essere visti solo attraverso gli spioncini. Possono verificare che hanno una biblioteca, video, giochi, corsi di disegno e artigianato.

Più di 30 quadri dipinti da prigionieri e diverse sculture sono state presentate alla fine del 2017 nella mostra ‘Ode al mare: arte della Baia di Guantanamo’ in una galleria dell’Upper West Side di Manhattan. Fu un successo, diverse celebrità comprarono alcune di quelle opere e si incominciarono ad interessare agli “artisti”, a causa di ciò il Dipartimento di Stato a proibito l’uscita di altri dipinti e sculture dalla prigione, affermando che erano “proprietà dello Stato” .

Il Pentagono sa che dopo dieci o più anni isolati dal mondo, il “valore” di quei prigionieri, ciò che possono sapere su come funziona Al Qaeda o Daesh è nullo. Si ignora quale sia il trattamento che ricevono i 15 prigionieri di Camp 7, un blocco di cui tutto è sconosciuto. Non si sa nemmeno dove sia localizzato.

Ed il “tour” per i media è completato mostrando altre unità della base navale dove sventola la bandiera del McDonald insieme a quella a stelle e strisce, dove c’è un campo da golf, palestra, piscina, cinema, supermercati, sdraio in piazza, bar e vari luoghi di divertimento per le truppe ed i funzionari civili USA e le loro famiglie.

Il Pentagono organizza visite alla base navale di gruppi di clown per intrattenere i figli dei militari o gruppi rock ed altri spettacoli dal vivo per le truppe per farle sentire “come a casa” e affinché dimentichino che stanno occupando terra straniera, che dall’altra parte del perimetro della base c’è il legittimo titolare di quel territorio, l’arci nemica Cuba.

A poca distanza dalle case, dai bar, dal centro sportivo e dalle rumorose feste dei carcerieri ci sono 40 uomini imprigionati da più di 10 anni. Sono in balia dei capricci di un presidente che, come i suoi predecessori, agisce in totale impunità, con la certezza che gli dà sapere che la cosiddetta “comunità internazionale” non farà nulla per loro, che può continuare a contare dopo 17 anni con la sua passiva – quando non attiva- complicità.

(Tratto da Publico)


Guantánamo: 17 años después espera a sus nuevos prisioneros

Las fotografías difundidas con orgullo por el Pentágono de los primeros prisioneros trasladados el 11 de enero de 2002 en aviones militares desde Afganistán a la prisión de Guantánamo indignaron al mundo. Diecisiete años después aún permanecen 40 prisioneros en ese campo de concentración del siglo XXI, y Trump reclama invertir decenas de millones de dólares en mejorar sus infraestructuras para recibir a nuevos rehenes.

Guantánamo nos recuerda que la cruzada “contra el terror” iniciada por Bush, Blair y Aznar que se ha cobrado tantos miles de víctimas aún no ha terminado.

En esas imágenes distribuidas por el Pentágono a medios de todo el mundo en 2002 se mostraba a numerosos hombres frente a sus celdas de rejas metálicas al aire libre de cinco metros cuadrados. Estaban vestidos con monos naranja, arrodillados, amordazados, encadenados de pies y manos, con grandes gafas ciegas negras, mascarillas en la boca, cascos de insonorización cubriendo sus orejas, guantes acolchados y pies enfundados.

Ninguno de ellos tenía idea de dónde estaba, muchos no lo supieron hasta años después. Con ese equipamiento y provistos de pañales habían soportado cerca de 30 horas de vuelo encadenados en el suelo de aviones de carga militares.

El primer grupo de prisioneros, 23, llegó a la base naval estadounidense situada ilegalmente en la provincia cubana de Guantánamo el 11 de enero en un avión militar C-141, pero no fue ese un vuelo directo desde Afganistán.

Escalas en suelo español

La primera parte del vuelo, realizada en un C-17, partió de la base de las tropas estadounidenses en Kandahar, Afganistán, y aterrizó en España, en la base militar de Morón de la Frontera. Allí se traspasó a los prisioneros al C-141 con el cual se siguió viaje hasta Guantánamo.

Habían pasado exactamente cuatro meses desde los atentados terroristas del 11-S de 2001 y el servil Gobierno de José María Aznar se apuntó entre los primeros gobiernos europeos en brindar gustosamente apoyo a la cruzada “contra el terror” lanzada por George Bush junior.

Una comisión de investigación del Parlamento Europeo y otra del Consejo de Europa confirmaron años después, en 2007, que los aviones camuflados de la CIA que trasladaron a Guantánamo o a prisiones secretas a individuos capturados en distintos países, hicieron más de 1.400 escalas en aeropuertos europeos entre 2002 y 2005.

Más de 120 de esas escalas tuvieron lugar en 10 aeropuertos civiles españoles y un número indefinido en bases militares españolas de uso conjunto con EEUU.

La relación de Aznar con Bush se estrecharía aún más en los años siguientes y ambos, junto con Blair, constituirían luego el tristemente célebre trío de las Azores que menos de dos años después del 11-S y de la guerra de Afganistán que se inició semanas más tarde de esos atentados, lanzaba en marzo de 2003 la ilegal y unilateral guerra devastadora contra Irak en aras también de la ‘guerra contra el terror’.

A ese primer avión C-141 que partió de la base de Morón hacia Guantánamo le seguirían varios más en los siguientes días. En pocas semanas ya eran 150 los prisioneros que mostraba el Pentágono como trofeos a todo el mundo, y el goteo de traslados fue constante durante los primeros años.

Aquellas fotos fueron portada de medios de todo el mundo, provocando gran indignación por el trato inhumano y vejatorio que suponían y por la violación de las normas sobre trato a prisioneros de guerra establecidas en las Convenciones de Ginebra desde 1950.

George Bush respondió a esas críticas con su particular estilo: emitió un memorándum en el que etiquetó a todos los detenidos como “talibán” o “combatientes de Al Qaeda” sin aportar ninguna prueba que todos lo fueran, y creó para ellos la figura de “combatientes enemigos”. Con ese novedoso estatus, una verdadera burla a la ONU y a todos los organismos internacionales, excluía a esos presos de los derechos que confieren las Convenciones de Ginebra a todo prisionero de guerra desde 1949.

Aduciendo que la base naval de la bahía de Guantánamo, enclavada en la provincia cubana del mismo nombre desde 1903 -pese a las reiteradas denuncias del Gobierno de Cuba- era un “territorio estadounidense de ultramar”, Bush impidió la actuación de los tribunales federales de EEUU.

Por medio de su Orden Militar del 13 de noviembre de 2001 Bush ya había decidido que los prisioneros serían juzgados por tribunales militares.

La trama jurídica urdida por la Casa Blanca, el Pentágono, el Departamento de Justicia y el Departamento de Estado dejó así en un absoluto limbo legal a todos los individuos capturados por sus fuerzas armadas en Afganistán u otros escenarios de guerra y a los secuestrados y trasladados por la CIA a centros de tortura.

Agentes españoles participaron en los interrogatorios a dos de los detenidos en Guantánamo que tenían nacionalidad española.

Prisioneros de entre 13 y 89 años

Se tardó años en conocer la identidad de quienes estaban detenidos en Guantánamo y el tipo de torturas a las que habían sido sometidos con total impunidad. Según los datos de ACLU (American Civil Liberties Union) la más poderosa asociación defensora de los derechos civiles de EEUU, en total pasaron por la prisión 779 personas de 40 nacionalidades diferentes.

El menor tenía 13 años -y hubo otros 20 menores de edad-; el mayor tenía 89 años. Fueron cerca de 200 los agentes del FBI que participaron en los abusos y torturas a prisioneros; 26 de los detenidos en Guantánamo habían sido previamente torturados por agentes de la CIA en cárceles secretas situadas en distintos países, algunas de ellas en suelo europeo, en Hungría y Polonia.

Al menos 7 prisioneros se suicidaron al no soportar las torturas y el confinamiento; el más joven de ellos, Yasser Talal Al Zahrani, se suicidó a los 21 años. Había sido capturado a los 16 años.

Muchos otros prisioneros intentaron suicidarse, más de 100 llevaron adelante una huelga de hambre de protesta en 2005, a los que se terminó alimentando por la fuerza, sujetos a una silla y por medio de sondas gastroesofágicas.

Según Harry B. Harris, el que fuera comandante de la Joint Task Force en Guantanamo -y actual embajador de EEUU en Corea del Sur- los suicidios no eran consecuencia de la desesperación sino “parte de un plan de guerra asimétrica diseñado por Al Qaeda”, “una hábil estrategia de propaganda”.

Según el informe de ACLU, coincidente con datos de Amnistía Internacional y otros organismos de derechos humanos, solo el 5% de los prisioneros que pasaron por Guantánamo fueron detenidos por las tropas estadounidenses.

El 86% fue capturado por milicias controladas por ‘señores de la guerra’ afganos y vendidos por entre 3.000 y 25.000 dólares cada uno a las tropas de EEUU tras acusarlos interesadamente de ser combatientes talibán o de Al Qaeda. El Pentágono invirtió millones de dólares en esas ‘compras’.

De ahí los pésimos resultados logrados.

Cientos de ellos fueron liberados sin cargos tras años de confinamiento, más de 500 de ellos durante la era Bush. Obama ‘heredó’ 242 de su predecesor y ‘legó’ 41 prisioneros a Trump tras sus ocho años de mandato. Trump ha transferido en dos años solo a uno, el saudí Ahmed Mohammed Al-Darbi.

Como en buena parte de los casos de prisioneros transferidos a sus países de origen o a terceros países, Al-Darbi, capturado en 2002 en Azerbayán y torturado en una cárcel secreta de la CIA en Afganistán, tuvo que autoinculparse ante el tribunal militar de la base de Guantánamo para poder ser trasladado a una prisión de Arabia Saudí, para ser sometido a un programa de ‘desradicalización’ durante varios años más.

Solo 8 fueron condenados por los tribunales militares, cuyos miembros hicieron caso omiso de las denuncias de las torturas que habían sufrido para que se autoinculparan. Siete de los fiscales militares designados por el Pentágono pidieron su traslado al no poder soportar el nivel de injusticia de esos juicios, realizados sin garantía alguna. Los prisioneros no tienen derecho a conocer los autos acusatorios por ‘problemas de seguridad nacional’.

Human Rights First, otra de las más grandes organizaciones defensoras de los derechos civiles en EEUU aporta por su parte estos otros datos complementarios: 4 detenidos murieron desde 2009 por distintas razones, aparte de los suicidados; los 40 detenidos que aún permanecen en la prisión, la mayoría de ellos yemeníes están allí desde hace más de 10 años; 7 de ellos están actualmente siendo juzgados; 5 de los prisioneros están desde hace tiempo a la espera de ser liberados; 26 son los considerados por el Pentágono ‘especialmente peligrosos’ y a los que no está dispuesto a liberar en ningún caso aunque contra varios de ellos no se presentaron pruebas incriminatorias.

Según los cálculos de HRF, similares a las cifras oficiales del presupuesto de Defensa, mientras el mantenimiento de un preso en una cárcel federal de máxima seguridad en territorio estadounidense cuesta al Estado 78.000 dólares anuales, un prisionero de la base de Guantánamo cuesta 10 millones, dado que se mantiene el mismo personal militar y civil (1.760 efectivos) y la misma infraestructura para los 40 detenidos actualmente que la que se mantenía cuando había 780.

Solo la rehabilitación del Camp 7, el ultrasecreto bloque donde se mantiene a los 15 prisioneros considerados más peligrosos -algunos están acusados de participar en la planificación de los atentados del 11-S y otros actos terroristas- fue presupuestada en 2014 por John F. Kelly , -comandante bajo la Administración Obama del Comando Sur de Estados Unidos y desde 2017 Secretario de Seguridad Nacional de Trump- en 69 millones de dólares, a 4,6 millones por prisionero.

Paralizado el proyecto por Obama ha sido recuperado por Trump, quien proyecta poder realizarlo antes de 2022 si se aprueba su nuevo presupuesto general de Defensa para 2019.

Pese a los magros resultados obtenidos con este siniestro laboratorio caribeño, Trump se obstina en mantenerlo abierto para trasladar allí a “los tipos malos que amenazan la seguridad de Estados Unidos”.

El presidente estadounidense emitió el 30 de enero de 2018 una Orden Ejecutiva revocando la decisión de Obama de cerrar la prisión y anunciando que se trasladaría allí a nuevos prisioneros.

En 2008 llegaron los últimos detenidos a Guantánamo, pero el Pentágono le ha presentado un plan a Trump meses atrás para rentabilizar tan costoso penal con el ingreso de prisioneros de “alto valor” del Estado Islámico que mantiene actualmente en bases militares en Oriente Medio.

En junio pasado se llevó a cabo una simulación de llegada en avión a Guantánamo de nuevos prisioneros para comprobar que todo el protocolo seguía estando aceitado como hace una década.

El Partido Demócrata no apoyó a Obama para cerrar Guantánamo

Obama prometió en 2009 cerrar el penal y al irse de la Casa Blanca en 2017 este seguía abierto. ¿Por qué no utilizó el mecanismo presidencial de la Orden Ejecutiva para hacerlo sorteando así la oposición republicana? Muchos analistas se han hecho esa pregunta.

Los republicanos no eran su único problema. Obama encontró en realidad una seria oposición en el seno del propio Partido Demócrata. No logró apoyo cuando al inicio de su mandato anunció que se formaría una comisión para investigar y castigar a los responsables de los numerosos casos de torturas contra los prisioneros de guerra, y tampoco cuando planteó su plan para cerrar Guantánamo, proponiendo liberar a los presos contra los que no había cargos y juzgar en tribunales federales estadounidenses a aquellos contra los que sí los hubiera.

Numerosos gobernadores demócratas se opusieron al igual que los republicanos a que se trasladara a los que fueran condenados por esos tribunales a cárceles de máxima seguridad en sus respectivos estados. Aseguraban que una decisión de ese tipo haría que sus estados se convirtieran en objetivo de los terroristas.

En 2015, durante el segundo mandato de Obama, el Partido Republicano controlaba las dos Cámaras. Al aprobar el presupuesto de Defensa para 2016 tanto la Cámara de Representantes como el Senado rechazaron la partida reclamada por el presidente para poder llevar a cabo su plan de cierre de Guantánamo.

Obama no pudo vetar la llamada Ley de Autorización de Defensa Nacional (NDAA) porque se votó por una amplísima mayoría, y ello fue posible porque solo una minoría de demócratas votó en contra. En la Cámara de Representantes el Partido Republicano tenía 247 escaños de un total de 435, pero consiguió 370 votos a favor y solo 58 en contra; en el Senado eran 54 los republicanos de un total de 102, pero fueron 91 los que votaron a favor de la Ley y solo hubo 3 en contra.

Las cifras son elocuentes. El Partido Demócrata tiene evidentemente un problema interno grave y varias familias con intereses muy distintos.

Todo esto ha contribuido para que Guantánamo siguiera abierto.

Entre los reclamos a Trump para que invierta en mejorar las infraestructuras de la prisión, los mandos militares de la misma piden reacondicionar algunos de sus bloques, sus campos, para albergar a prisioneros ancianos, como el otrora rico empresario paquistaní Saifullah Paracha, de 71 años, u otros con discapacidad física.

A pesar de que importantes cargos del Pentágono rechazan mantener abierto Guantánamo por su costo y su manifiesta ineficacia en la lucha contra el terrorismo, Trump sigue adelante con sus planes. En diciembre de 2017 el Relator Especial contra la Tortura de la ONU, Nils Melzer, criticó duramente en un comunicado que en Guantánamo se siguieran aplicando torturas de distinto tipo y denunció la impunidad con la que actuaban los responsables de estas.

Pero para el presidente la tortura nunca fue un problema. En 2017 impidió que se desclasificara el informe de 6.700 páginas elaborado por una comisión parlamentaria presidida por la demócrata Dianne Feinstein -recientemente elegida presidenta de la Cámara de Representantes- sobre los interrogatorios y torturas de la CIA.

Desde el inicio de su mandato reivindicó el uso del ‘waterboarding’ (submarino). En un acto de su campaña electoral, en junio de 2016, Trump preguntó a sus seguidores: “¿Qué opináis del waterboarding?” Y se respondió: “Me gusta mucho, no creo que sea suficientemente duro”.

En 2017 conmovió a muchos la decisión del presidente de nombrar a un hombre clave en la elaboración de los memorandos de la Administración Bush teorizando y justificando la tortura sistemática con los prisioneros, Steven Engel, para presidir el Consejo Legal del Departamento de Justicia.

En 2018 nombraba igualmente a Gina Haspel, responsable de una cárcel secreta de la CIA en Tailandia donde se torturó a varios prisioneros, como directora de la agencia. Trump no ocultó en ningún momento su propósito de recuperar las prácticas más siniestras de la ‘guerra contra el terror’ de la era Bush.

¿Y la comunidad internacional?

Las protestas y críticas de la ONU y la UE durante los años más duros de la “guerra contra el terror” de Bush se fueron espaciando y prácticamente han desaparecido.

Para aquellos prisioneros considerados menos peligrosos por el Pentágono la vida diaria en la prisión ha mejorado y por ello organiza visitas de periodistas para visitar algunos de los campos de detenidos, a los que solo se pueden ver a través de mirillas. Pueden comprobar que tienen una biblioteca, vídeos, juegos, clases de dibujo y manualidades.

Más de 30 de los cuadros pintados por prisioneros y varias esculturas fueron presentados a fines de 2017 en la exposición Oda al mar: arte de la Bahía de Guantánamo en una galería del Upper West Side de Manhattan. Fue un éxito, varios famosos compraron algunas de esas obras y se empezaron a interesar por los ‘artistas’, lo que decidió al Departamento de Estado a prohibir la salida de más pinturas y esculturas de la prisión, alegando que eran “propiedad del Estado”.

El Pentágono sabe que después de diez o más años aislados del mundo, el ‘valor’ de esos presos, lo que puedan saber de cómo funciona Al Qaeda o Daesh es nulo. Se ignora cuál es el trato que reciben los 15 presos del Camp 7, un bloque del que se desconoce todo. Ni siquiera se sabe dónde está localizado.

Y el “tour” para los medios se completa mostrando otras dependencias de la base naval donde la bandera de McDonald ondea junto a la enseña de las barras y estrellas, donde existe un campo de golf, gimnasio, piscina, cine, supermercados, tumbonas en la plaza, bares y distintos lugares de esparcimiento para las tropas y funcionarios civiles estadounidenses y sus familiares.

El Pentágono organiza visitas a la base naval de grupos de payasos para entretener a los hijos de los militares o de grupos de rock y otros espectáculos en vivo para las tropas para hacerlos ‘sentir como en casa’ y que olviden que están ocupando suelo extranjero, que del otro lado del perímetro de la base está la legítima titular de ese territorio, la archienemiga Cuba.

A escasa distancia de las viviendas, bares, polideportivo y ruidosas fiestas de los carceleros hay 40 hombres encarcelados desde hace más de 10 años. Están a merced de los caprichos de un presidente que como sus predecesores actúa con total impunidad, con la seguridad que le da saber que la llamada ‘comunidad internacional’ no hará nada por ellos, que puede seguir contando después de 17 años con su pasiva -cuando no activa- complicidad.

(Tomado de Público)

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.