Alba compie dieci anni, breve storia dell’asse della pace

Breve storia di come i paesi dell’Alba (Alleanza bolivariana per la nostra America) e in particolare Venezuela e Cuba costituiscono un gruppo di Stati “Amici della pace” che si contrappongono agli “Amici della guerra” (fra i quali spicca l’Italia, con altri membri della Nato e le petro-monarchie del Ccg)

Marinella Correggia https://ilmanifesto.it

Cuba e gli altri membri dell’Alleanza Alba – nata dieci anni fa per iniziativa di Venezuela e Cuba -, hanno una consolidata storia di militanza contro l’incubo della guerra, prosecuzione dell’imperialismo con altri mezzi e forma estrema di distruzione umana e ambientale. Per loro, opporvisi è un «dovere internazionalista». I concetti di «guerra giusta», e di «intervento umanitario», più recentemente chiamato «responsabilità di proteggere», sono strumenti dei governi egemoni e della «dittatura mediatica» (definizione di Fidel Castro) per occultare davanti alle rispettive opinioni pubbliche motivazioni ben meno nobili.

A partire dalla sua prima elezione nel 1998, il presidente venezuelano Hugo Chávez segue la stessa linea, seguito dopo qualche anno dall’Alba e dai suoi membri, in particolare dal Nicaragua e dalla Bolivia. Intanto lo stesso Movimento dei paesi non allineati, e l’Urss, poi Russia, mantenevano un atteggiamento altalenante e incerto.

Non hanno mai vinto – ovviamente – un premio Nobel per la pace, ma i paesi dell’Alba potrebbero essere nominati dalla «comunità internazionale» un «pool di pronto intervento per la pace». E legittimamente, di fronte agli esiti orrendi degli interventi «umanitari» potrebbero dire: «Ve l’avevamo detto.»

29 novembre 1990, il Consiglio di sicurezza dell’Onu approva la risoluzione 678 che autorizza gli stati membri a usare«tutti i mezzi necessari» per ottenere che l’Iraq si ritiri dal Kuwait che ha occupato. L’ultimatum è fissato per il 15 gennaio 1991. E’ in pratica l’autorizzazione legale alla cosiddetta «operazione di polizia internazionale». I membri non permanenti del Consiglio, africani, latinoamericani e asiatici, sono oggetto di un massiccio acquisto di voti da parte soprattutto degli Usa. Solo due paesi osano votare no: Cuba e Yemen. Per ritorsione, l’Arabia Saudita espelle tutti i lavoratori yemeniti, mentre Usa e Banca mondiale cancellano i programmi di aiuto. La Cina si astiene. Anche l’Unione sovietica di Gorbaciov vota a favore. L’ultimo a cercare di mediare, con un viaggio in extremis a Baghdad, è il presidente nicaraguense Daniel Ortega. Niente da fare, il mondo è sordo. La guerra inizia a suon di bombe nella notte fra il 16 e il 17 gennaio: uno spartiacque nella storia moderna. Una guerra devastante, che uccide decine di migliaia di civili, centinaia di migliaia di militari iracheni e distrugge le infrastrutture del paese.

Iraq embargo, 1991-2003. L’Iraq distrutto dai bombardamenti è stretto nella morsa dell’embargo.Manca tutto.In un ospedale di Baghdad, sparute (e inutili) delegazioni di pacifisti si vedono accogliere, con un certo stupore, da un medico cubano di origine palestinese, Anuar, che a costo zero per l’Iraq, aiuta i colleghi locali nell’emergenza del dopoguerra. Anni dopo, l’internazionalismo di Cuba viaggerà con le sue brigate mediche, mandate negli epicentri del bisogno. Nell’agosto 2000, il neopresidente venezuelano Hugo Chávez, in visita nei paesi arabi dell’Opec, va in Iraq, il primo presidente a visitare il paese dal 1991, Si attira gli strali degli Usa perché…non ha chiesto il consenso del Comitato per le sanzioni che si occupa dell’oil for food. Una visita di rottura in un paese piegato.

Jugoslavia 1999. Sul quotidiano Granma, il 25 marzo 1999 – la guerra della Nato contro la Serbia è iniziata da pochi giorni, senza il consenso dell’Onu – Cuba condanna la «ingiustificata aggressione contro la Jugoslavia, capeggiata dagli Stati uniti». Pochi giorni dopo Fidel Castro invita quelli che chiama «jugoslavi» (ma ormai il paese è smembrato da un pezzo) a «resistere, resistere e resistere». Lo ricorderà anni dopo nel suo articolo Le guerre illegali dell’impero parlando di un «unipolarismo oltraggioso, sostenuto da un impero guerrafondaio, che si erge a polizia mondiale». Il 21 febbraio 2008, Hugo Chávez spiega che il Venezuela non riconoscerà un Kosovo indipendente, al quale l’Occidente applaude, avvertendo che la separazione dalla Serbia peggiorerà la situazione nei Balcani e sarà un pericoloso precedente: una secessione nata da una guerra Nato.

Afghanistan 2001. Il 23 settembre 2001 Fidel Castro avverte che attacchi militari Usa sull’Afghanistan potrebbero avere conseguenze catastrofiche e dichiara l’opposizione di Cuba sia alla guerra che al terrorismo. In vari discorsi, dichiarazioni e documenti dell’epoca (raccolti nel libretto pubblicato all’Avana Cuba: contra le terrorismo y contra la guerra), il presidente il 22 settembre avvertiva che la tragedia dell’11 settembre non doveva essere servire «a iniziare irresponsabilmente che con il singolare e strano titolo ‘Giustizia infinita’ potrebbe convertirsi in una mattanza di altrettanti innocenti» e commentava nei dettagli le parole pronunciate poco prima da Bush («Useremo qualunque arma di guerra (…), guerra di civiltà (…) Dio non è neutrale». Per Castro, era «l’idea di una dittatura militare mondiale, senza legge», mentre una soluzione pacifica era ancora possibile e che l’Assemblea dell’Onu poteva condurre questa lotta al terrorismo, senza bombe. Ricordava anche che «già si contano le vittime: milioni di persone che fuggono». Pochi giorni dopo iniziano i bombardamenti Usa sulle capanne afghane. E Fidel Castro in un editoriale scrive: «una guerra delle tecnologie più sofisticate contro gli analfabeti; dei più ricchi contro i più poveri; degli ex colonizzatori contro i colonizzati; dichi si considera portatore di civiltà contro i barbari». Una guerra«a favore del terrorismo, che diventerà più difficile da sradicare». Guerra infinita: anni dopo, nel 2009, Fidel spiega che il ritiro del premio Nobel per la pace da parte di Barack Obama è stato un «atto cinico» visto il continuo impegno di guerra in Afghanistan «noncurante delle vittime», e visto che gli Usa sono «unasuper potenza imperiale con centinaia di basi militaridispiegate in tutto il mondo e duecento anni di interventi bellici».

Iraq 2003. Alla vigilia della nuova guerra annunciata, quasi tutti gli ambasciatori e relativi staff fuggono di gran carriera. Non i cubani. L’ambasciatore e parte dello staff rimangono là, sotto le bombe anglo-statunitensi con l’aiuto italiano. Per lo sparuto gruppo dei pacifisti internazionali dell’Iraq Peace Team, quell’ambasciata è un’isola di pace, dove si prende un caffè preparato dal vice ambasciatore e si inveisce contro chi bombarda. L’ambasciatore Ernesto Gomez Abascal lascia il paese in aprile, all’arrivo dei marines. L’ambasciata chiude, mentre quelle occidentali riaprono: «Non riconosciamo gli occupanti». Oltre dieci anni dopo, quell’ambasciatore di fronte alla guerra mediatica che colpisce il Venezuela ricorda che al tempo i media si piegarono alla campagna di menzogne alla quale si fece ricorso prima dell’invasione. Solo dopo troppo tardi alcuni di loro fecero autocritica. E comunque oggi i dirigenti politici e soprattutto le grandi potenze, pianificano l’inizio delle ostilità proprio ricorrendo a istituzioni specializzate in guerre mediatiche.

Per il vicepresidente venezuelano José Vicente Rangel, la guerra è «il collasso dell’intelligenza e dell’immaginazione e il conflitto crea una situazione molto particolare e molto inquietante nel mondo (…) il diritto alla pace non può essere subordinato a quello che alcuni considerano un diritto alla guerra».

Il 3 agosto 2006, Chávez rompe le già parziali relazioni diplomatiche con Israele espellendo l’incaricato d’affari in segno di protesta contro la guerra al Libano.

Libia, 2011. Il caso libico vede il Venezuela, Cuba e gli altri paesi dell’Alba protagonisti di uno sforzo negoziale per bloccare la guerra della Nato e impegnate a dire molti no a livello dell’Onu. Fidel Castro dedica molte delle sue «reflexiones del compañero Fidel» alla Libia fin dai primissimi giorni (il 21 febbraio). Sottolineando la necessità di indagini più rigorose rispetto al diluvio di notizie di ogni tipo, centrate sull’eccidio di migliaia di manifestanti pacifici (che si scoprirà poi non avvenuto), egli spiega che al governo degli Usa e alla Nato non interessa affatto la pace nel paese nordafricano e avverte che la guerra è imminente. A Ginevra, Cuba è membro di turno del Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Il 25 febbraio, si dissocia dalla richiesta da parte del Consiglio stesso di sospendere la Libia, anch’essa membro di turno. Cuba – come il Venezuela che non è però membro di turno del Consiglio – dice no anche alla risoluzione senza precedenti dell’Assemblea generale, che il 1 marzo sospende la Libia dal Consiglio per i diritti umani. Cuba sostiene una «risoluzione sovrana e pacifica del conflitto, senza alcun intervento esterno, tanto più se militare, che porterebbe migliaia di morti». Nelle stesse ore, il ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez interviene all’Onu a Ginevra sull’ipocrisia delle potenze, chiedendosi cosa deciderà Consiglio di Sicurezza (che il 26 febbraio ha imposto sanzioni alla Libia) rispetto a chi ha ucciso oltre un milione di civili in Iraq e Afghanistan; e chiede al Consiglio per i diritti umani se sarebbe pronto a sospendere gli stati che scatenano guerre, o mandano in giro droni, o che somministrano aiuti a paesi che violano i diritti dei popoli, come in Palestina.

Il 3 marzo Fidel Castro chiede al mondo di sostenere la proposta negoziale per la Libia avanzata dal presidente venezuelano Hugo Chávez, appoggiata ufficialmente dai paesi dell’Alba: «Il presidente bolivariano sta facendo uno sforzo encomiabile per trovare una soluzione che eviti l’intervento della Nato in Libia. Le sue possibilità di successo saranno maggiori se egli otterrà l’appoggio di un ampio movimento di opinione a favore dell’idea, prima che si verifichi l’intervento armato e non dopo, per evitare che i popoli debbano veder ripetere altrove l’atroce esperienza dell’Iraq».

La proposta dell’Alba rispetto alla Libia (paese nel quale proprio nel 2011 doveva svolgersi un incontro afro-latinoamericano) è stata elaborata fin dagli inizi di marzo: “Formare una Commissione internazionale per la pace e l’integrità della Libia”. Hugo Chávez ha seguito alla lettera il diritto internazionale che chiede prima di tutto di negoziare (“un anno di negoziati è meglio di un giorno di guerra” disse Alex Langer): “Il governo libico ha accettato la proposta dell’Alba di inviare una commissione internazionale per la verifica dei fatti e la mediazione fra le parti; anzi, il governo libico ha chiesto una missione della stessa Onu”. Dice il presidente bolivariano: «In Libia dobbiamo mostrare come la comunità internazionale dovrebbe lavorare nel XXI secolo: un gruppo di nazioni che si assume la responsabilità di sfide globali. E’ questo l’obiettivo stesso delle Nazioni Unite. Dunque ogni nazione qui presente deve essere orgogliosa di essere riuscita a salvare vite innocenti in Libia e di aver aiutato il popolo libico. E’ la cosa giusta da fare». Chávez sostiene che «gli Stati Uniti – seminatori di guerre nel mondo – e i paesi occidentali fomentano le guerre civili fra i popoli, bombardano, distruggono e poi si appropriano del paese che a loro conviene». Secondo il Psuv (Partito socialista del Venezuela) e il presidente, il Medio Oriente è panorama di due fenomeni ben differenti l’uno dall’altro: da un lato delle vere rivolte popolari (Egitto, Tunisia, Yemen, Bahrein) contro monarchi e presidenti autoritari amici dell’occidente, dall’altro delle operazioni politico-militari finalizzate ad attuare un cambio di regime e spacciate per «protezioni dei civili e dei diritti umani» attraverso un’opera disantificazione degli oppositori e di demonizzazione dei governi di Libia e Siria.

Il 4 marzo a Caracas il Consiglio Politico dell’Alba-Tcp appoggia ufficialmente l’iniziativa per evitare l’aggressione e «trovare una soluzione pacifica al conflitto armato in corso (…) rifiutando qualunque tipo di intervento della Nato o di potenze straniere così come tutte le intenzioni di approfittare opportunisticamente della tragica situazione per giustificare una guerra di conquista verso le risorse energetiche e idriche che sono patrimonio del popolo libico e non possono essere utilizzate per soddisfare la voracità del sistema capitalista. L’Alba si appella all’opinione pubblica internazionale e ai movimenti sociali del mondo perché si mobilitino in risposta ai piani bellici e intervisti in Libia». Il 20 marzo, 40 partiti della sinistra latinoamericana riuniti per una conferenza appoggiano la proposta dell’Alba. In Italia la redazione della rivista Albainformazionerilancia l’appello ai movimenti sociali e all’opinione pubblica, in nome “della vita, della sovranità e dell’autodeterminazione del popolo libico”. La sinistra occidentale, cioè dei paesi destinati a bombardare, non aiuta l’Alba. Rimane più che muta.

Che sarebbe successo se i paesi latinoamericani fossero riusciti a trascinare la titubante Unione Africana, formata da 52 stati, e poi i membri non occidentali di turno al Consiglio di Sicurezza fra i quali Cina e Russia, dotate di diritto di veto?

Una specie di attivissimo cartello allargato di non allineati avrebbe isolato nel Consiglio di Sicurezza e fuori Francia, Usa e Gran Bretagna impedendo un attacco della Nato gendarme internazionale. I media non avrebbero potuto ignorare le azioni popolari di massa né un negoziato condotto da un centinaio di stati (da Antigua e Barbuda alla Cina!), e corredato da “pezze giustificative”: la prova, portata dalla commissione internazionale, che non esisteva il “massacro di civili libici” da parte del governo, e le prove che esistevano interessi egoistici molto forti a favore dell’intervento militare.

Fra le numerose violazioni del diritto internazionale, c’è anche il fatto che gli Usa – sede delle nazioni Unite – non danno ilo visto di entrata al nuovo ambasciatore della Jamahiriya libica, nominato dopo che l’ambasciatore precedente è passato con i cosiddetti “ribelli”. A quel punto, il governo libico nomina padre Miguel D’Escoto, sacerdote protagonista della rivoluzione sandinista, come suo rappresentante all’Onu. Il presidente Daniel Ortega chiede a D’Escoto di accettare la nomina. Il nuovo “ambasciatore” dichiara: “Accettiamo in solidarietà con il grande popolo libico, per ricercare la pace attraverso la giustizia e i metodi pacifici”. E denuncia il massacro in corso con i bombardamenti aerei capitanati da Francia, Usa e Regno unito: “Una violazione del diritto internazionale che non si può far passare”.

Nel corso dei bombardamenti Nato, è Rolando Segura, giornalista cubano della venezuelana Telesur, uno fra i pochi che a Tripoli si discosta dall’esaltazione mediatica della guerra e della «rivoluzione. E mentre cadono le bombe Fidel definisce le operazioni Nato «un crimine mostruoso», e l’operato aggressivo della Nato nel mondo un «genocidio» (). Il presidente boliviano Evo Morales chiede che Obama restituisca il premio Nobel. E invece, sarà un altro partecipante alla guerra in Libia, l’Unione europea, a essere insignita. Nel 2012.

Per tutto il periodo della guerra Nato, a Tripoli le ambasciate di Cuba e del Venezuela rimangono aperte, con gli ambasciatori presenti. Settembre 2011, mentre gli alleati locali della Nato stanno vincendo in Libia, il presidente Hugo Chávez commenta duramente i fatti chiedendo una commissione internazionale di indagine sui crimini di guerra.

Siria 2011-2013. All’ ingerenza anche armata nella crisi siriana, trasformata così in una guerra devastante, Cuba, Venezuela, Bolivia e Nicaragua hanno detto no in sede Onu in molte circostanze, quasi in solitudine, sia all’Assemblea dell’Onu sia al Consiglio dei diritti umani. Come faceva notare Chávez: «La tattica è la stessa usata per la Libia: infiltrare terroristi e mercenari con l’obiettivo di destabilizzare il paese, generare violenza, sangue e morti e far cadere il governo inviso agli Stati Uniti»; e mentre Europa e Usa imponevano sanzioni al paese, il Venezuela mandava carburante (come agli statunitensi poveri e a molti paesi…). Se a New York i paesi contrari a risoluzioni bellicose e interventiste in più occasioni sono stati solo una dozzina (insieme all’Alba, pochi Stati del Sud e poi Russia Cina e Iran), al Consiglio di Ginevra quando Cuba prima e Venezuela poi sono stati membri di turno (dal 2014 lo sono entrambi), hanno votato in perfetta solitudine salvo qualche astenuto contro risoluzioni e rapporti sulla Siria, come quelli della Commissione Coi pieni di notizie non verificate, o provenienti da fonti non neutrali rispetto alle responsabilità. Senza timore di essere additati a nemici del demonio (come ha fatto ad esempio Human Rights Watch nel suo rapporto di dicembre 20’13 sul Venezuela).

Non viene accettata la proposta dell’Iran di inserire il paese bolivariano nel quartetto di potenze regionali che malamente si consultano sulla Siria (Egitto, Iran, Arabia Saudita, Iraq).

All’apice della propaganda internazionale, nel giugno 2012, l’ambasciatore di Cuba a Ginevra dopo il massacro di Houla dichiara: « (…) Il più elementare senso di giustizia deve impedire che si attribuiscano responsabilità a partire da semplici insinuazioni di parti interessate a promuovere la destabilizzazione e l’intervento militare straniero in Siria, per i quali i paesi della Nato dedicano notevoli risorse, finanziando e armando un’opposizione che soddisfi le loro ansie di cambio di regime in questo paese (…). La condotta di alcuni membri della Nato nella regione dell’Africa del Nord e del Medio Oriente, i loro ingiustificabili bombardamenti, i crimini contro i civili indifesi e il silenzio complice di fronte alle azioni d’Israele contro il popolo palestinese, sostengono le tesi che non è precisamente la promozione e la protezione dei diritti umani la legittima motivazione del dibattito che oggi ci occupa».

Evo Morales, presidente della Bolivia, durante il suo discorso all’assemblea dell’Onu propone la creazione di un tribunale dei popoli «per giudicare il presidente Obama per delitti contro l’umanità» e il cambio della sede dell’Onu «il cambio della sede dell’Onu visto che gli Stati uniti sono rifugio di corrotti, terroristi e delinquenti.» Aggiungendo che «le democrazie non fanno guerra» e che «il terrorismo si combatte con le politiche sociali, non con le basi militari».

A proposito: nel settembre 2009 l’Ecuador aveva sfrattato quella statunitense di Manta.

Il Venezuela e Cuba sono una spina nel fianco dei belligeranti. Sarà per questo che quando muore il presidente venezuelano, il 5 marzo 2013, il suo omologo statunitense mostra di non avere nessun rispetto per i morti e si limita a dire che per il Venezuela si apre una nuova pagina?

Nell’estate 2013, come riporta Le Monde diplomatique del mese di agosto (il pdf qui), Evo Morales sequestrato per alcune ore in Europa con il suo aereo lancia una filippica contro le nazioni oligarchiche, monarchiche e gerarchiche: «Il marchio indelebile dell’imperialismo – militare o economico – ha sfigurato l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia, la Siria. Alcuni di questi paesi sono stati invasi perché li si sospettava di detenere armi di distruzione di massa o di ospitare organizzazioni terroriste. Paesi nei quali migliaia di esseri umani sono stati uccisi, senza che la Corte penale internazionale abbia intentato il minimo processo.»
Alla fine di agosto in seguito all’attacco con le armi chimiche a Ghouta (è sempre più chiaro che la responsabilità grava su gruppi armati antigovernativi), davanti all’imminente guerra in Siria, Fidel Castro avverte del «genocidio contro i popoli arabi» che Usa e alleati si stanno preparando a compiere, con «menzogne, manipolazioni mediatiche e una prolungata impunità già viste nelle operazioni in Kosovo, Iraq, Afghanistan e Libia».

Cuba propone una riunione straordinaria dell’Assemblea generale dell’Onu per fermare la guerra di Obama & C. In un comunicato ufficiale, il ministro degli esteri Bruno Rodriguez Parrilla chiede al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di «tener fede al mandato di tutela della pace, frenando un intervento militare che minaccia la pace e la sicurezza internazionale in questa regione del mondo». Ma dall’altro, «anche l’Assemblea generale dell’Onu ha la responsabilità di fermare le aggressioni, soprattutto quando si prevede che il Consiglio di Sicurezza, dominato dagli Usa, non possa decidere in tal senso. L’Assemblea deve riunirsi con urgenza. Il Segretario generale dell’Onu deve rispondere all’immensa responsabilità che gli compete rispetto alla pace e deve attivarsi immediatamente». Nel 1956 l’Assemblea generale costrinse Francia, Regno unito e Israele a ritirarsi da canale di Suez. E anche durante la crisi coreana l’Assemblea si riunì d’urgenza.

Il governo di Cuba chiede ai governi e ai popoli la massima mobilitazione contro gli intenti bellicosi di Barack Obama il quale «non dà spazio ad alcuna soluzione politica, non presenta prove, viola il diritto internazionale e si prepara a provocare più morte e distruzione». Sarà l’accordo sullo smantellamento dell’armamento nucleare a creare una scappatoia per Obama.

29 gennaio 2014. «Non vi è sviluppo senza pace. Bandiamo per sempre l’uso della forza e la minaccia dell’uso della forza nella regione» dichiara il presidente cubano Raul Castro, a conclusione del Secondo vertice dei 33 paesi della Celac (Comunità degli Stati dell’America latina e dei Caraibi) che, con la Dichiarazione dell’Avana, facendola finita con una politica di divisioni fomentata dagli Usa, pone la solidarietà come base per l’integrazione e si impegna a fare della regione una «zona di pace, che usa il dialogo e il diritto internazionale, non i conflitti armati, per risolvere i contenziosi».

Giugno 2013, Pace, diritto umano! Nel giugno 2013 il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, con sede a Ginevra, approva un documento favorevole alla codificazione internazionale del diritto alla pace, finora non riconosciuto. La pace come diritto umano. La proposta, boicottata dall’Unione europea e dagli Usa, è stata presentata da Cuba a nome della Comunità degli stati latinoamericani e caraibici (Celac), come primo atto presso l’Onu da parte del nuovo blocco. Il Venezuela, dal 2013 membro di turno del Consiglio per i diritti umani, lavora da tempo insieme a Cuba per questo progetto.

Venezuela, 26 febbraio 2014. In piena crisi generata dalle violente proteste degli “studenti” nei quartieri ricchi, il presidente Nicolás Maduro inaugura una inedita Conferencia de Paz, che diventa permanente e si propone allo stesso tempo di realizzare Conferencias de Paz regionali. Fra le proposte viene approvata una “Commissione per la Verità”, per ricercare i responsabili degli assassini a partire dal 12 febbraio del 2014. Del resto il governo bolivariano ha mandato a scuola di pacifismo e diritti umani forze dell’ordine e corpi militari. Nota: il ministero degli interni in Venezuela si chiama ministero del potere popolare degli interni, della pace e della giustizia.

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