Grazie Facebook

Rosa Miriam Elizalde www.cubadebate.cu

Facebook si è impegnato, a febbraio, ad inaugurare la sua Biblioteca di Annunci (https://bit.ly/2JTK4iU), pubblicizzata come un gesto di trasparenza di fronte ai suoi oscuri algoritmi e tra accuse di usare tattiche di comunicazione di uso militare contro la popolazione, come afferma senza mezzi termini ‘The Great Hack’, il documentario presentato da Netflix in questi giorni.

Alla fine ha rispettato la promessa e la piattaforma mostra migliaia di annunci, che lei può rintracciare se digita una parola chiave nella barra di ricerca della biblioteca. Con un clic, esce pubblicità su temi sociali, elezioni e politica, e si può rintracciare quella ancora attiva in 33 paesi, sebbene piovono le critiche, nel breve periodo, di messa in linea del servizio. Nonostante gli utenti comuni possono cercare annunci e vedere quanto è stato pagato per questo, l’accesso ai dati della biblioteca è così afflitto da errori, omissioni e limitazioni tecniche che non c’è modo di dare un seguito completo alla pubblicità politica.

Ricerche indipendenti e due studi sull’affidabilità dell’archivio, uno del governo francese e l’altro di Mozilla, produttore del browser web Firefox, sono giunti alla conclusione che è impossibile ottenere un quadro completo di tutti gli annunci pubblicati sulla piattaforma, che è l’esatto opposto della trasparenza che proclama Facebook.

Sebbene la società abbia promesso di mostrare la pubblicità a pagamento degli ultimi sette anni, i limiti del tasso di ricerca e le registrazioni incomplete, significano che i ricercatori potranno impiegare mesi per valutare gli annunci in una determinata regione o su un determinato tema, afferma lo studio di Mozilla

Tuttavia, per un ricercatore cubano interessato a documentare la manipolazione nelle reti, il nuovo servizio della transnazionale USA è un tesoro di informazioni che fornisce dati empirici ed importi finanziari della guerra sporca contro Cuba da parte del governo USA, con la complicità del gigante tecnologico.

Cuba è bloccata, il che significa per Facebook che né il cittadino comune né le istituzioni dell’isola possono accedere al gestore degli annunci di quella società. Si applica la censura a tutto ciò che si può ponderare nell’isola, da una ricetta di cucina sino al vaccino contro il cancro ai polmoni, per non parlare della difesa del suo sistema politico.

Ma oh sorpresa! la piattaforma è inondata di annunci contro un governo, il cubano, che non si può difendere, prova assiomatica della disuguaglianza nell’uso e nel godimento di tale potere clientelare di Facebook, che è stato ultimamente oggetto di tante denunce.

Nonostante i difetti del suo algoritmo e dei suoi pregiudizi politici, chiunque si affacci a questo servizio troverà, ad esempio, migliaia di annunci con etichetta Cuba, che nove volte su dieci sono visceralmente antigovernativi. Non pochi includono contenuti che si riferiscono, espressamente o implicitamente, a caratteristiche personali ed altri con allusioni, diretta o indirettamente, a questioni relative a razza, origine etnica, religione, credenze, età o nome di una persona, tra altre particolarità che compaiono nella linea rossa numero uno della politica ufficiale di Facebook.

Secondo la Legge Torricelli del 1992 -la legislazione USA che permise che Cuba accedesse ai contenuti di Internet sempre che si escludesse il commercio elettronico- è illegale, negli USA, ottenere profitti con pubblicità digitale sull’isola comunista, ma la rudimentale Biblioteca di Facebook riporta, in questo momento, oltre 14 mila annunci collegati all’etichetta Cuba, che hanno generato parte dei 16914 milioni di $ che l’azienda ha fatturato nel 2018.

La media pagata per ogni pubblicità con etichetta Cuba è piuttosto modesta: 500 $. Un semplice conto ci dice che la piattaforma ha ricavato 7 milioni di $ nell’ultimo anno, ma il dettaglio è che vediamo nella biblioteca solo un’infima porzione degli annunci, come ci avvertono i ricercatori di Mozilla; aggiungendo che tra i suoi difetti c’è, anche, che la maggior parte degli inserzionisti privilegiati non si mostrano.

Ad esempio, non appaiono gli annunci di Radio e TV Martì, media del governo USA al servizio di operazioni psicologiche contro Cuba, che ha pubblicamente riconosciuto che la maggior parte del suo budget annuale, di 29 milioni di $, viene utilizzata online. Un’indagine del settimanale Miami New Times, della Florida, ha rivelato, nel 2018, che l’amministrazione Trump, attraverso l’Ufficio delle Trasmissioni per Cuba, utilizza account Facebook che sembrano nativi (di persone reali sull’isola) per diffondere propaganda senza informare gli utenti cubani di tale rete sociale che è pubblicità del governo USA. (Non era di questo che accusavano i russi?)

In questa festino di prove, metto in evidenza altre due perle. Per ogni annuncio pubblicato negli USA con l’etichetta argentina -un paese la cui superficie è 30 volte più grande dell’arcipelago cubano- ce ne sono due di Cuba. Nella pubblicità pagata a Facebook dall’Hoover Institute, della Stanford University, si può vedere, in questo momento, la promozione di un libro che alimenta l’odio contro Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, perché sono seguaci del socialismo (che) ha fallito in Unione Sovietica e fallito a Cuba.

L’Istituto Hoover ha investito oltre 114.000 $ in annunci negli ultimi mesi, ci dice la biblioteca, mentre la ricercatrice Jane Mayer, nel suo libro ‘Dark Money’, ci ricorda che questo centro di Stanford “è uno dei principali responsabili della ‘camera dell’eco’ delle teorie ultraconservatrici dei proprietari delle Koch Industries e di altre grandi fortune dietro Trump e la Rivoluzione Conservatrice negli USA”.

La biblioteca è sorprendente, anche con il vizio, di Facebook, della mancanza di trasparenza. Grazie Facebook.

pubblicato da www.jornada.com.mx


Gracias, Facebook

Rosa Miriam Elizalde

Facebook se comprometió en febrero a inaugurar su Biblioteca de Anuncios (https://bit.ly/2JTK4iU), publicitada como un gesto de transparencia frente a sus opacos algoritmos y entre acusaciones de utilizar tácticas de comunicación de uso militar contra la población, como afirma sin remilgos The Great Hack, el documental que estrena por estos días Netflix.

Finalmente cumplió la promesa y la plataforma muestra miles de anuncios, que usted puede rastrear si escribe una palabra clave en la barra de búsqueda de la biblioteca. Con un clic sale publicidad de temas sociales, elecciones y política, y se puede rastrear aquella aún activa en 33 países, aunque llueven las críticas en el corto tiempo de puesta en línea del servicio. Si bien los usuarios comunes pueden buscar anuncios y ver cuánto se ha pagado por ello, el acceso a los datos de la biblioteca está tan plagado de errores, omisiones y limitaciones técnicas que no hay manera de darle un seguimiento integral a la publicidad política.

Investigaciones independientes y dos estudios sobre la confiabilidad del repositorio, uno del gobierno francés y otra de Mozilla, fabricante del navegador web Firefox, llegaron a la conclusión de que es imposible obtener una imagen completa de todos los anuncios que se ejecutan en la plataforma, que es exactamente lo contrario a la transparencia que pregona Facebook.

Aunque la compañía prometió mostrar la publicidad pagada de los pasados siete años, los límites de la tasa de búsqueda y los registros incompletos, significan que los investigadores podrían tardar meses en evaluar los anuncios en una determinada región o sobre un determinado tema, afirma el estudio de Mozilla.

Sin embargo, para un investigador cubano interesado en documentar la manipulación en las redes, el nuevo servicio de la trasnacional estadunidense es un tesoro de información que aporta datos empíricos y montos financieros de la guerra sucia contra Cuba a cargo del gobierno de Estados Unidos, con la complicidad del gigante tecnológico.

Cuba está bloqueada, lo que significa para Facebook que ni el ciudadano común ni las instituciones de la isla pueden acceder al administrador de anuncios de esa compañía. Se aplica la censura sobre cualquier cosa que se pueda ponderar en la isla, desde una receta de cocina hasta la vacuna contra el cáncer de pulmón, por no hablar de la defensa de su sistema político.

Pero ¡oh sorpresa!, la plataforma está inundada de anuncios contra un gobierno, el cubano, que no se puede defender, evidencia axiomática de la desigualdad en el uso y disfrute de ese poder clientelar de Facebook que ha sido objeto últimamente de tantas denuncias.

A pesar de los defectos de su algoritmo y sus sesgos políticos, quien se asome a este servicio encontrará, por ejemplo, miles de anuncios con la etiqueta Cuba, en los que nueve de cada diez son visceralmente antigubernamentales. No pocos incluyen contenido que hace referencia a características personales de forma expresa o implícita y otros con alusiones, directa o indirectamente, a cuestiones relacionadas con la raza, el origen étnico, la religión, las creencias, la edad o el nombre de una persona, entre otras particularidades que aparecen en la línea roja número uno de la política oficial de Facebook.

Según la Ley Torricelli de 1992 –la legislación estadunidense que permitió que Cuba accediera a contenidos de Internet siempre que se excluyera el comercio electrónico–, es ilegal en EU obtener ganancias con publicidad digital sobre la isla comunista, pero la rudimentaria Biblioteca de Facebook devuelve en este minuto más de 14 mil anuncios enlazados a la etiqueta Cuba, que han generado parte de los 16 mil 914 millones de dólares que facturó la compañía en 2018.

El promedio pagado por cada publicidad con la etiqueta Cuba es más bien modesto: 500 dólares. Una cuenta simple nos dice que la plataforma ha ingresado 7 millones de dólares en el último año, pero el detalle está en que sólo vemos en la biblioteca una ínfima porción de los anuncios, como nos advierten los investigadores de Mozilla, que añaden que entre sus defectos está, también, que la mayoría de los anunciantes privilegiados no se muestran.

Por ejemplo, no aparecen los anuncios de Radio y TV Martí, medio del gobierno de EU al servicio de operaciones sicológicas contra Cuba que ha reconocido públicamente que la mayor partida de su presupuesto anual de 29 millones de dólares se emplea en línea. Una investigación del semanario Miami New Times, de la Florida, reveló en 2018 que la administración Trump, por medio la Oficina de Transmisiones para Cuba, usa cuentas de Facebook que parecen nativas (de personas reales en la isla) para difundir propaganda sin informar a los usuarios cubanos de esa red social que es publicidad gubernamental estadunidense. (¿No era de eso que acusaban a los rusos?).

En este festín de evidencias, destaco otras dos perlas. Por cada anuncio que se muestra en EU bajo la etiqueta Argentina –un país cuya superficie es 30 veces mayor que el archipiélago cubano- hay dos de Cuba. En la publicidad pagada a Facebook por el Instituto Hoover, de la Universidad de Stanford, se puede ver ahora mismo la promoción de un libro que atiza el odio contra Bernie Sanders y Alexandria Ocasio-Cortez, porque son seguidores del socialismo (que) fracasó en la Unión Soviética y fracasó en Cuba.

El Instituto Hoover ha invertido más de 114 mil dólares en anuncios en los meses recientes, nos dice la biblioteca, mientras la investigadora Jane Mayer, en su libro Dark Money, nos recuerda que este centro de Stanford “es uno de los principales responsables de la ‘cámara de eco’ de las teorías ultraconservadoras de los propietarios de Koch Industries y otras grandes fortunas detrás de Trump y la Revolución Conservadora en EU”.

La biblioteca es asombrosa, aun con el vicio feibucero de la falta de transparencia. Gracias, Facebook.

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