Maduro: ‘I progetti imperiali sono stati sconfitti’

di Geraldina Colotti

Prima conferenza stampa internazionale del presidente venezuelano Nicolas Maduro dopo il suo rientro dalla Russia. Una visita – ha precisato – tesa a programmare e consolidare la relazione con Mosca avviata durante la presidenza di Hugo Chavez quando Maduro era il suo ministro degli Esteri. Un importante asse della politica bolivariana, inserita nella ridefinizione di un mondo multicentrico e multipolare, che contrasta le mire egemoniche dell’imperialismo USA.


“Il commercio bilaterale con Putin – ha dichiarato Maduro – è raddoppiato, arrivando alla cifra di 8.000 milioni di dollari, consentendoci l’acquisto di grano, una vera benedizione”.

A inquietare il gendarme del mondo è anche la forte relazione di Caracas con Pechino, secondo consumatore di petrolio a livello mondiale, nonché principale detentore del debito statunitense, e con il quale il paese bolivariano ha in vigore diversi accordi bilaterali. Non per caso – ha annunciato domenica il ministro della Cultura Ernesto Villegas – Cina sarà il paese ospite nella prossima Fiera internazionale del Libro.

Il gigante asiatico ha peraltro già intrapreso la competizione con il dollaro, firmando, nel 2018, il primo contratto di petrolio in yuan, con il Venezuela e con altri paesi quali Russia, Iran, Nigeria o Angola. Contro alcuni di questi paesi, gli USA stanno usando l’arma delle sanzioni, contro il Venezuela vige un blocco economico-finanziario come quello imposto a Cuba, con l’obiettivo – ha spiegato Maduro – “di asfissiare l’economia e provocare la caduta del governo”.

Un’economia che però sta cercando di spezzare la morsa ricorrendo a strade alternative, come la criptomoneta Petro, ma con immani difficoltà: “Nella situazione attuale – ha detto il presidente – nessuna banca ci presta denaro a livello internazionale”.

Le relazioni con altri paesi che stanno cercando un proprio modello economico, come il Vietnam o la Corea del Nord, vanno molto bene. Ne è una prova il viaggio compiuto dal presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Diosdado Cabello, sia in Corea del Nord che in Vietnam, dove ha realizzato accordi bilaterali a tutto campo. “Visite di profondità”, ha affermato Maduro.

Ne è stata una prova, l’accoglienza ricevuta dalla vicepresidente Delcy Rodriguez all’ONU, “dove ha parlato con la voce di una donna del popolo, dicendo le cose che il popolo avrebbe voluto dire”. All’Assemblea ONU – ha affermato Maduro – i progetti dell’imperialismo e dei paesi vassalli che lo seguono – sono stati sconfitti”. E, a proposito del TIAR, il Trattato di mutua assistenza, riesumato arbitrariamente dall’opposizione oltranzista venezuelana e dall’OSA di Almagro, ha detto che la Nato latinoamericana e caraibica non sarà mai applicata al Venezuela: “Possono riunirsi per perder tempo – ha assicurato – a vomitare veleno e odio in presunte riunioni per applicare il famoso Tiar, ma non ci riusciranno. Siamo nel secolo 21, non nel secolo scorso, oggi il continente ha innalzato la bandiera della pace, della sovranità, dell’indipendenza e per questo la destra guaidonista è stata sconfitta dalla voce del popolo all’ONU”.

Il Venezuela bolivariano non abbassa le braccia, né si chiude al dialogo. “Sono il presidente del dialogo – ha ribadito Maduro – per il bene del popolo sono disposto a dialogare anche con il diavolo… o con il diavoletto che lo serve”. Si riferiva, ovviamente, all’autoproclamato “presidente interino”, Juan Guaidó, “che nessuno ha eletto, neanche nell’opposizione”, e che ha sempre mentito sapendo di mentire. Ha mentito intascandosi i soldi che Mike Pompeo ha destinato alla destabilizzazione del Venezuela. Ha mentito quando ha dichiarato di non voler scendere a patti con Maduro, mentre “i colloqui segreti organizzati dalla Norvegia si stavano svolgendo fin dal gennaio scorso, continuavano anche nel mese di maggio per interrompersi solo quando, il 5 agosto, Trump ha imposto sanzioni totali alla repubblica bolivariana tra gli applausi dell’autoproclamato e si è scoperto che Guaidó intende svendere il territorio conteso dell’Essequibo”.

La porta è allora rimasta aperta, ma a due condizioni: il ritiro delle sanzioni criminali richieste dalla destra venezuelana agli USA e il riconoscimento degli accordi di Ginevra come base per risolvere la questione delle acque dell’Essequibo, contese con la Guyana.

Gli interessi degli USA nello strangolamento del Venezuela – “uno dei più feroci attacchi che si conoscano”, ha detto Maduro, sono chiari.

Gli Usa importano più della metà dei barili di petrolio che consumano e risparmierebbero molto di più se potessero impadronirsi della riserva più grande al mondo che si trova a 2.500 km e non a 12.500 com’è il caso dell’Arabia Saudita. Vantaggi che aumenterebbero ulteriormente con il controllo delle raffinerie venezuelane che si trovano in territorio USA.

Per questo, serve manovrare forze interne e esterne a fini destabilizzanti. In primo piano, c’è la Colombia di Ivan Duque, che ha recentemente presentato un grossolano “falso positivo” di quasi 200 pagine, che si è immediatamente sgonfiato, portando alle dimissioni del generale colombiano Peña Bermea, capo del Comando Congiunto di Intelligence che ha confezionato il falso rapporto. Maduro ha assicurato che sul suolo venezuelano non si allenano forze guerrigliere colombiane, mentre alla frontiera colombiana agiscono bande paramilitari narcotrafficanti come quella dei Rastrepos, evidentemente attive nel sostegno a Guaidó.

Maduro ha anche invitato l’Unione Europea a svincolarsi dalla tutela degli USA e dal seguirne le decisioni in merito alle sanzioni: “Una politica che copre di fango la UE”, ha detto, invitando la vicepresidente Delcy Rodriguez a organizzare quanto prima una riunione con le rappresentanze diplomatiche europee. Ha altresì fornito un’articolata spiegazione sul ritorno dei parlamentari socialisti all’Assemblea Nazionele in “ribellione”, governata dall’opposizione. Una conseguenza degli accordi di dialogo firmati con una parte importante dell’opposizione che riconosce le istituzioni bolivariane e che rappresenta una fetta consistente dell’elettorato della destra. Secondo la costituzione venezuelana, l’anno prossimo dovrebbero svolgersi le elezioni legislative. “Ma intanto – ha detto Maduro – cerchiamo di riattivare questa istituzione, attualmente inadempiente, per il bene del paese”. La prima proposta che ha presentato il blocco chavista è stata quella di “aprire un’inchiesta sui rapporti di Guaidó con il paramilitarismo colombiano”.

Importanti anche le dichiarazioni pronunciate da Maduro in merito agli attacchi xenofobi sofferti dai venezuelani in Perù e alle responsabilità del governo peruviano, “un paese che deve la propria libertà a Simon Bolivar”, ma che ha dimenticato le proprie origini. “Se i soldi che gli USA inviano all’autoproclamato fossero erogati al governo bolivariano, io comprerei biglietti alle compagnie internazionali per riportarmi in patria quei concittadini”, ha affermato. Poi, il presidente ha puntato il dito su Julio Borges, vero ispiratore delle reazioni xenofobe contro i migranti venezuelani, che si sono verificate in Cile, in Brasile, in Perù: “Persecuzioni simili ai progrom contro il popolo ebraico”, ha detto il presidente. In un video trasmesso nella conferenza stampa, si è potuto infatti udire l’emissario internazionale dell’autoproclamato definire “una piaga infettiva” i venezuelani che attraversano le frontiere: spinti dalla guerra economica e dalla campagna  di terrore provocata dai suoi.

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