Il Cile torna nell’oscurità

Fabrizio Casari www.altrenotizie.org

Stato d’emergenza e coprifuoco. Militari che sventagliano con i mitra e carabinieri che si lanciano con affanno contro ogni essere umano che muove passi. Proibito uscire di casa in tutta Santiago dalle nove di sera alle 7 del mattino. Il pinochettismo torna a respirarsi a pieni polmoni.


Gli studenti però non mollano: le manifestazioni proseguono, a Santiago come a Valparaiso e nelle altre città cilene; altri settori della società cilena si mobilitano e i cacerolazos (lo sbattere di pentole a mo’ di protesta ndr) si amplificano continuamente. La protesta contro il governo del cialtrone Pinera, (che la Procura Generale ha accusato di 30 anni di totale evasione fiscale), era nata contro l’aumento del prezzo dei trasporti pubblici. Protesta sacrosanta dato che è il dodicesimo aumento in dieci anni e visto che porta a più di un Euro il prezzo della singola corsa in un Paese dove i salari minimi, numericamente i maggiori, non arrivano a 400 euro al mese.

Ma sebbene il presidente evasore si sia reso disponibile a cancellare l’ultimo aumento, la protesta ha proseguito. Perché il Cile continua ad essere un Paese insostenibile economicamente per diversi milioni dei suoi abitanti mentre le multinazionali statunitensi e l’oligarchia locale spolpano il Paese in ogni sua risorsa.

Un sistema insostenibile che dimostra di essere indisponibile a riformarsi, preferendo inviare i suoi militari a ristabilire le distanze tra ricchezza e dominio da un lato e miseria e obbedienza dall’altro. E così, con mitra e lacrimogeni contro i suoi figli, il Cile sembra tornare alla sua vecchia narrativa. Quella di un paese dominato da un apparato militare genocida, storicamente imbelle all’estero ma efficiente all’interno, uso ad aprire il fuoco contro la sua stessa popolazione. Proprio il ruolo preponderante dei militari ed il loro atavico asservimento alle classi dominanti condiziona, in forme diverse a seconda delle fasi storiche ma ugualmente incidenti, il mancato approdo definitivo del Paese alla democrazia.

Quello cileno è infatti un apparato militare protetto dalla destra e sopportato dalla sinistra che, da Lagos alla Bachelet, anche quando ha raggiunto il governo ha scelto di girare lo sguardo dall’altra parte, accettando l’immondo scambio tra impunità e memoria. D’altra parte, le politiche repressive contro studenti, lavoratori e indios Mapuche non hanno visto significative differenze nei rispettivi governi di destra o di centrosinistra, entrambi dediti allo stroncare con la forza qualunque forma di dissenso. I militari continuano quindi a decidere il livello del conflitto possibile e la fretta precipitosa di Pinera, che ha delegato volentieri ai militari la repressione e al FMI la politica economica, racconta bene lo spessore del presidente.

Un binomio, quello della repressione permanente e del rigore monetarista imperante, nato proprio con la dittatura pinochettista, che vedeva imprigionare i dissidenti per far volare liberi il denaro e la speculazione finanziaria. Due furono i record che i Chicago Boys di Milton Friedman assegnarono al Cile: la privatizzazione più selvaggia delle pensioni ed il contemporaneo maggior numero di suicidi in tutta l’America, al terzo posto nel mondo.

Di fronte alla barbarie repressiva dei militari e carabinieri cileni, risultano assenti ingiustificati i diversi organismi ipocriti deputati alla salvaguardia dei diritti umani, così solerti nella condanna dei governi progressisti e così sonnolenti quando i regimi di destra mostrano il loro vero volto. Tace vergognosamente l’Organizzazione degli Stati Americani, l’OSA, così come non ai avvertono le litanie stonate del Gruppo di Lima, l’aggregato dell’estrema destra del quale infatti il Cile fa parte. Silenzio di tomba dal Parlamento Europeo, che tace allo stesso modo sui massacri della polizia spagnola in Catalunya. Tace ovviamente l’indecente Michelle Bachelet che, da Segretaria della Commissione Onu per i Diritti Umani è stata lesta a condannare Venezuela e Nicaragua sulla base di rapporti preconfezionati a Washington, ma si nasconde quando i militari del suo Paese schiacciano nel sangue le proteste (contro le quali, del resto, anch’ella aveva autorizzato l’uso della forza quando era Presidente). Per non parlare delle arcifamose e arcifinanziate ONG che nella circostanza sembrano in terapia con la cura del sonno.

Un silenzio generale che mai avremmo potuto immaginare in circostanze diverse. Immaginiamo infatti cosa sarebbe successo se Daniel Ortega in Nicaragua avesse inviato i militari e i tank per la strada contro il tentato colpo di Stato, cosa che, visto il numero dei morti, ovunque nel mondo sarebbe successo. O cosa avremmo dovuto ascoltare se Nicolas Maduro avesse ordinato ai soldati di intervenire a sciogliere le manifestazioni della destra o se i cubani avessero arrestato i giornalisti stranieri che filmavano scene di straordinaria repressione nell’isola. Invece, nel caso del Cile, come in quello dell’Ecuador e come in Catalunya, tutto tace. Il fatto poi che Cile, Ecuador e Spagna siano tra i maggiori protagonisti delle sceneggiate sui diritti umani quando i governi sono progressisti, racconta bene come l’ ipocrisia sia l’autentica unità di misura vigente.


Cile: sale a 11 il bilancio provvisorio dei morti

www.lantidiplomatico.it

Sono almeno 11 le persone che hanno perso la vota a causa della brutale repressione scatenata dal regime di Piñera in Cile nel confronti della protesta popolare contro il neoliberismo selvaggio.

Le mobilitazioni sono iniziate lunedì 14 ottobre a causa dell’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana di Santiago e, sebbene questo 19 ottobre, il presidente Sebastián Piñera abbia annunciato che l’aumento non sarà applicato, le proteste sono continuate.

Il 19 ottobre, le manifestazioni si sono diffuse in tutto il paese e sono diventate molto più intense, tra cui barricate, saccheggi e incendi; quella stessa notte 716 persone furono arrestate in tutta la nazione; il governo decretò uno stato di emergenza in gran parte dell’area centrale del paese e stabilì anche un coprifuoco per sabato e domenica sera.

Lo stato di emergenza è stata la misura che ha autorizzato l’esercito e le forze armate a dispiegarsi in gran parte del paese.

Le manifestazioni di protesta non accennano a placarsi. Le lezioni sono già state sospese nella maggior parte delle scuole di Santiago e le organizzazioni sociali hanno richiesto un grande sciopero generale.

«Non sono in guerra con nessuno»: il generale responsabile dello stato di emergenza in Cile contraddice Piñera

Javier Iturriaga, capo della Difesa nazionale del Cile e responsabile dello stato di emergenza nella regione metropolitana, ha contraddetto le parole del presidente Sebastián Piñera il quale ha dichiarato che la nazione è “in guerra”.

“Guardate, sono un uomo felice e la verità è che non sono in guerra con nessuno”, ha affermato Iturriaga mentre consegnava alla stampa un saldo del secondo giorno dopo il coprifuoco decretato in diverse province.

Alle 06:00 di lunedì (ora locale), Iturriaga ha descritto la città di Santiago come “calma, pacifica” e gli ufficiali delle forze armate come “silenziosi”.

“Siamo molto soddisfatti di ciò che abbiamo visto […] ma allo stesso tempo molto attenti a risolvere qualsiasi inconveniente”, ha affermato il generale.

Piñera, nel frattempo, ha invitato domenica a “iniziare a vincere questa battaglia” contro il vandalismo e il crimine.

“Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile, che non rispetta nulla o nessuno”, ha detto il presidente, informando che Iturriaga ha organizzato 9.500 militari per proteggere la pace e controllare gli eccessi.

Le dichiarazioni del capo dello Stato sono state fortemente criticate da varie personalità politiche e sono state persino confrontate nei social network con le precedenti dichiarazioni dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet.

Fonte: Alba Ciudad – RT
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