Il processo golpista in Bolivia

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La rinascita delle violenze criminali contro i seguaci del MAS e la richiesta di dimissioni dell’alto comando delle forze armate, furono i punti di rottura (e coercizione aperta) che cristallizzavano le dimissioni forzate del Presidente Evo Morales il 10 novembre.

Il fattore ammutinamento della polizia
Il ruolo svolto da tale manovra nelle forze dell’ordine sulla fattibilità del colpo di Stato fu fondamentale. Il suo effetto a catena includeva le unità di polizia di Tarija, Santa Cruz, Cochabamba, Oruro e La Paz, aggravando il clima conflittuale, unendosi apertamente al colpo di Stato e amplificando col loro sabotaggio, violenze criminali e persecuzione dei gruppi d’assalto legati all’opposizione boliviana. Di fatto, tale azione costituiva la soppressione della difesa e dell’ordine pubblico del governo Evo Morales. La capacità di invertire i meccanismi di forza di fronte alle crescenti violenze, che al momento delle rivolte presentava evidenti caratteristiche armate, fu disarticolata. E la richiesta di dimissioni del capo della polizia, Yuri Calderón, che ore prima aveva cercato di contenere le rivolte, fu senza dubbio determinante. Sviluppandosi senza alcun ostacolo, ora l’obiettivo strategico del colpo di Stato (sequestrare La Paz, quindi il palazzo presidenziale e infine Evo Morales) poteva essere realizzato senza che militanti, funzionari e sostenitori del MAS, messi all’angolo a La Paz, avessero un’adeguata protezione della polizia. Con la strada aperta, la teppaglia Camacho avevano l’impunità (dalla polizia) e supporto (dai media) di cui avevano tanto bisogno per passare all’offensiva armata definitiva. L’accumularsi delle rivolte nei dipartimenti si scaricava a La Paz, riuscendo a far ripiegare le unità di polizia vicino al Palazzo Bruciato e costringendo il Presidente Evo Morales ad abbandonare la residenza per salvare la vita. Tale effetto fu simbolico ma anche materiale: il principale simbolo di potere del governo boliviano era in balia dell’acquisizione “epica” dei complottardi golpisti, mentre la popolazione di La Paz e i leader erano assediati, così come le loro case e famigliari, coll’obiettivo di consolidare stato di assedio e terrore.

Un’ondata di dimissioni forzate dalle violenze; minare le basi di Evo
Mentre il linciaggio politico contro il MAS progrediva, si fu anche l’ondata di dimissioni ai vertici del governo boliviano. L’assalto alle case dei dipendenti pubblici e il rapimento dei parenti portarono alle dimissioni forzate di oltre 20 alti rappresentanti del governo di Evo Morales. Tale sabotaggio nella sovrastruttura era anche presente nella base di massa: il segretario generale della Central Obrera Boliviana (COB), Juan Carlos Huarachi, chiese in una conferenza stampa le dimissioni di Evo Morales. Sebbene la città di El Alto sia subito passata in difesa di Evo Morales, l’impatto politico non bastava ad invertire il completamento del colpo di Stato a La Paz. In tal senso, la defezione della leadership della COB svolse un ruolo importante nell’indebolire la controffensiva che non solo era armato da El Alto, ma avrebbe avuto il culmine nell’arrivo delle carovane dei movimenti sociali a sostegno di Evo in La Paz. Entrambe le situazioni scatenarono l’escalation delle violenze nelle ultime ore a La Paz, Oruro, Potosí e altri luoghi in cui risiedevano alti funzionari che, finora, mantenevano la stabilità del governo Evo sul fronte istituzionale. Il cambio di regime fu formalizzato così rapidamente da impedire alla resistenza al colpo di Stato di rafforzarsi ad El Alto e ad impegnarsi, nei giorni seguenti, con la carovana dei movimenti sociali. Pertanto, la manovra delle Forze Armate autorizzava la repressione per frenare qualsiasi risposta al golpe.

Le forze armate erano le protagoniste
Già con una rapporto di forze (sia istituzionali che di piazza) ben definito, il capo delle forze armate, Willians Kaliman, compì l’ultimo passo: chiese le dimissioni di Evo Morales per conto dell’istituzione militare, in una nota a supporto dei golpisti che tentavano di mascherarsi come ligi alle istituzioni. L’ordine degli eventi e loro modello di sviluppo delinearono un’escalation fin troppo evidente a causa dell’ampia pianificazione: mobilitazioni e scioperi “cittadini” aprirono la strada all’accumulazione armata dei gruppi violenti, quindi all’assedio politico e istituzionale a La Paz con un’orgia di linciaggi sostenuti dalla polizia che, in poche ore, cristallizzò la frattura nella catena di comando del governo di Evo Morales. E qui è opportuno non dimenticare che il carburante che mancava al colpo di Stato fu fornito dal rapporto OSA, così utile all’agenda di Camacho che sembrava scritto a casa sua, a Santa Cruz. Ma l’opportunismo delle Forze armate era chiaro. Aspettare che l’assalto si sviluppasse sufficientemente per dare il colpo di grazia al momento giusto, essere “costretti” a prendere quella posizione, chiarì la loro sincronia con la macchina del cambio di regime. Ed è al di là di tale coercizione, che portava al compimento del colpo di Stato, la variante della polizia e dei militari conferiva un carattere distintivo al cambio di regime nella versione boliviana. Mentre la polizia agiva da braccio armato illegale e retroguardia dei combattenti urbani di Camacho, le forze armate consolidarono la manovra rimanendo da parte mentre l’escalation sfuggiva al controllo. Quindi intervennero pubblicamente quando già sapevano che le basi di Evo e il suo controllo sullo Stato erano sufficientemente indeboliti da rendere irreversibile la pretesa delle dimissioni.

Le implicazioni oltre il quadro visibile
Il colpo di Stato in Bolivia è la versione concentrata di altre operazioni di cambio di regime regionali e globali La partecipazione di Luis Almagro e delle ONG finanziate dagli Stati Uniti, come Human Rights Watch, rivela che il colpo di Stato non era interno, ma mobilitato consapevolmente dalle potenze occidentali. Il rovesciamento del governo di Evo Morales integrava nuovi metodi di persecuzione e odio contro il Chavismo in Venezuela nel 2014, ma molto più sofisticati che nel 2017, non prima di incorporare le aperte violenze armate dei mercenari dispiegata contro il Nicaragua nel 2018. A modo suo, adattava il pregiudizio giudiziario e politico e il riciclaggio legale per deposizione del governo con un rumore di sciabole, come visto nei cambi di regime in Honduras e Brasile. La creazione di uno spazio politico all’estrema destra e la fabbricazione di figuri fascisti, in ciascuno di tali processi, si può dire sia risultato automatico dei cicli di violenza e persecuzione che spezzano l’anima delle nostre nazioni, annientano la coesistenza e provocando una guerra civile dove il colpo di Stato coopera con forze armate quali mercenari. Il colpo di Stato contro Evo divenuta rivoluzione colorata istigata dalle facciate artificiali delle ONG e dei compradores che sfruttavano scioperi e proteste come strumenti principali. Poi mutarono in una guerra non convenzionale (attraverso attori armati addestrati in guerriglia, logoramento e sabotaggio), per portare, negli ultimi giorni, la massa critica in una processo da guerra civile che eseguiva una pulizia etnica e politica contro gli strati sociali che supportano Evo Morales. La peculiarità politica e culturale della Bolivia rende il colpo di Stato contro Evo ancora più catastrofico. Legalmente costituito come uno dei pochi Stati plurinazionali al mondo (quando la regola consente solo uno Stato-nazione), il colpo di Stato indica la sovversione di questo statuto di convivenza con cui i poveri e gli indigeni boliviani, per la prima volta nella loro storia, avevano un titolo di cui essere orgogliosi. Il colpo di Stato boliviano è un altro modo di dire riconquista e ritorno alla schiavitù.

La rapida comparsa della figura di Camacho, in questo senso, non è spontanea. I capi affarista e bianchi del colpo di stato, figli del fascismo di Santiago, non solo cercano di smantellare conquiste e diritti sociali della popolazione indigena nello Stato, ma di minare lo Stato stesso consacrato nella Costituzione incarnata da Evo, il primo presidente indigeno del Paese. Puntando a tale obiettivo, la folle persecuzione politica portava la successione presidenziale nel caos, nel quadro da guerra civile istituzionale per costruire un governo di transizione dittatoriale che compie il lavoro sporco: spazzare via ogni traccia di sostegno ad Evo. Il gioco della rottura e della frammentazione dello Stato boliviano, visto in questo modo, non culmina col rovesciamento di Evo, ma va oltre, creando lo scenario di scontri e resistenza che i complottardi golpisti cercano di usare come scusa per militarizzare indefinitamente il conflitto. Ma restano da valutare altri impatti, come la ripresa di Luis Almagro come figura del cambio di regime regionale e il modo in cui questi eventi nella nazione andina cercano di essere reindirizzati per provocare un nuovo colpo di Stato continuo in Venezuela. Ma per la Bolivia, frammentazione istituzionale, secessionismo dei bianchi e degli affaristi e guerra civile avviata da polizia e militari sono le linee guida del colpo di Stato compiuto.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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