Bolivia, il Paese che non c’è

Fabrizio Casari www.altrenotizie.org

Un Paese dove il legittimo presidente è costretto all’esilio e un’illegittima figura svolge il ruolo di presidente è vittima di un colpo di Stato. Quando l’esilio del Presidente è deciso dai militari c’è un colpo di Stato. Quando una qualunque parlamentare, senza il voto di nessuna delle due Camere, si autonomina Presidente ad interim con i militari che le pongono la fascia, il Paese è in preda ad un colpo di Stato. Un Paese nel quale si impedisce a Camera e Senato di riunirsi per rifiutare il voto all’impostore autonominata subisce un colpo di Stato. Un Paese dove gli elettori protestano per le strade contro il tradimento delle forze armate e della polizia e vengono uccisi a grappoli, è dove é in corso un colpo di Stato. Quando un Paese straccia di fatto la sua Costituzione è in corso un colpo di Stato. Questo paese è la Bolivia. Il suo autonominato governo è una giunta golpista.

Il quadro è chiaro a chiunque voglia vedere. In Bolivia nessun Senato e nessuna Camera dei Deputati ha mai deposto Evo Morales. La sua rinuncia e quella del vicepresidente Alvaro Garcia Linera è stata forzata e comunque apre una successione in termini di sussidiarietà dei ruoli, che vedono nell’ordine la presidente del Senato e quello della Camera, che di fronte alle rispettive assemblee devono porre a votazione le loro dimissioni. Tutto questo non è mai successo. Ovviamente, risultando impossibile governare il paese dall’esilio, vanno delegati alle figure di Presidente del Senato prima e della Camera poi le funzioni di Capo dello Stato pro-tempore. Sono loro che hanno l’esclusivo mandato costituzionale per indire elezioni e, in attesa del nuovo Esecutivo che dovrà uscire dal voto, garantire il disbrigo degli affari correnti per il governo.

Alcuni esponenti del golpismo internazionale (cioè quella corrente ultraliberista che ritiene le elezioni valide solo se le si vince), affermano che la presidente del Senato avrebbe dichiarato di volersi dimettere. Mettiamo per un attimo da parte la sua lurida storia personale, le sue parentele con il narcotraffico e le sue affermazioni razziste che, sole, ne impedirebbero persino il godimento dei diritti politici, figuriamoci le funzioni presidenziali. Ma l’istituzionalità di un Paese si misura con l’adesione alle procedure stabilite ed al rispetto delle norme previste per il funzionamento dei suoi organi costituzionali e dei suoi codici. Dunque non sono possibili libere interpretazioni di dichiarazioni, estratti di interviste o parole in libertà a poter determinare ruoli, funzioni ed autorità delle cariche dello Stato, dalla prima all’ultima, ovvero dal Presidente della Repubblica fino all’ultimo civil servant.

Dunque, affinché le dimissioni dei presidenti dei due rami del Parlamento possano essere confermate, la procedura impone presentarle al voto dell’Assemblea che può accettarle o respingerle rendendole nulle o, eventualmente, decidere la figura cui assegnare la funzione. Ciò non è avvenuto, le procedure non sono state rispettate, anzi  addirittura impedite: quindi la signora autoproclamatasi presidente non dispone di nessuna autorità giuridico-politica per assumere il ruolo di presidente ad interim. Nemmeno lo stesso Guaidò era arrivato a tanto, nel senso che almeno lui era stato votato come Presidente di una Camera, pure in seguito insubordinatasi contro il dettato costituzionale.

Averla sostenuta è dimostrazione franca di golpismo da parte della destra boliviana e dei militari, ed averle consentito di presentarsi pubblicamente rappresenta anche una ennesima vergogna per le istituzioni internazionali come l’OSA ed alcuni paesi latinoamericani come Cile, Ecuador, Perù e Brasile. Costoro confermano come i rispettivi governi al servizio di militari golpisti e oligarchie razziste disegnino una realtà di dipendenza assoluta dal volere degli Stati Uniti. Dimostrano, altresì, una disponibilità alla cessione di sovranità che ne qualifica la servitù di fronte al padrone del Nord. Proprio questa servitù è lo specchio fedele della repressione e dell’odio di classe che esprimono contro il 99%, a maggior ragione contro la parte più debole ed indifesa. Incapaci di immaginare relazioni di parità tra eguali, concepiscono solo il ruolo di padroni e servi: padroni con il loro paese, servi con gli Stati Uniti.

Ridicole, prive di decenza, carenti di ogni fondamento, sono le acrobazie verbali con le quali gli alleati internazionali del golpismo boliviano cercano di disegnare con inchiostro simpatico gli avvenimenti che hanno portato al colpo di stato, progettato da un anno ed eseguito con la complicità dei paesi di destra vicini. Peraltro, che le elezioni le avesse vinte Evo Morales nemmeno i golpisti lo negano. Si può discutere sulla distanza con Meza, ma non sul fatto che le abbia stravinte. Dunque?

Straordinario il silenzio dell’Unione Europea, che nella vicenda venezuelana si era alzata a difesa della centralità del Parlamento (illegittimo) e che in quella boliviana sceglie di ignorare il Parlamento (legittimo) bloccato. I due pesi e le due misure certifichino come a Strasburgo e a Bruxelles non vi sia nessuna attenzione agli aspetti formali e sostanziali dei processi costituzionali nei rispettivi paesi, ma solo lo schieramento politico che identifica nella guerra totale ai paesi di orientamento socialista lo scopo unico delle sue deliberazioni.

Da parte degli USA non c’è solo l’intenzione di riprendersi gli idrocarburi e il litio boliviano, anche se disporre del coltan venezuelano e del litio boliviano consentirebbe a Washington di ridurre le distanze con la Cina sul mercato della telefonia mobile, dunque di tentare di porre un ostacolo migliore e maggiore all’avanzamento cinese sul G5. C’è anche l’aspetto ideologico di un sistema liberista ormai incapace di riformarsi, di tentare un’ulteriore sviluppo in funzione degli interessi generali. Anzi, la crescente riduzione della platea destinataria di ogni ricchezza riduce inevitabilmente il consenso di massa con conseguenti ripercussioni sugli scenari elettorali continentali. Non a caso lo stesso strumento democratico delle elezioni risulta ormai incompatibile con il mantenimento del sistema.

Questo è quello che succede in Bolivia come pure in Ecuador e in Cile. L’impossibilità di riformare un sistema fallito trova immediata applicazione per le strade. Gli indigeni boliviani sono falciati dalla polizia, una delle entità più corrotte dell’intera America Latina che, con l’autonominata presidente è tornata alla sua specialità storica: abbracci ai governi di destra e fuoco sulle opposizioni di sinistra in piazza. Sull’impossibilità di riconoscere come legittimo questo governo golpista si è in attesa di un pronunciamento del governo italiano. Sulla diffusione della verità circa il governo scandaloso di Quito attendiamo invece le righe dei media di riferimento governativi e dei giornalisti fedeli alla causa dei loro editori. Sarà meglio armarsi di pazienza. Tradurre dall’inglese comporta tempo.

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