Vzla: creare l’atmosfera per un nuovo ciclo di destabilizzazione

Traduzione di Marco Pondrelli  www.marx21.it

Approfittando dello slancio del violento cambio di regime in Bolivia, gli operatori che continuamente tentano il colpo di stato in Venezuela hanno messo a punto una strategia, durante questa settimana, per lanciare un nuovo ciclo di violenza di fronte alle proteste indette per questo 16 novembre.

REINDIRIZZARE L’ATTENZIONE SUL VENEZUELA: AMMORBIDIMENTO

 

Dopo il colpo di stato contro Evo Morales che è stato consumato il 10 novembre con le sue dimissioni forzate dalla presidenza, l’evento successivo che ha avuto la maggiore esposizione mediatica e politica è stato l’assalto all’ambasciata venezuelana nel paese andino.

La persecuzione e l’assedio sono stati tali da costringere i funzionari ha lasciare l’edificio dell’ambasciata per proteggere le loro vite, dato che, secondo il rappresentante diplomatico Cris Gonzalez attraverso diversi audio via WhatsApp, gli oppositori armati di dinamite stavano per compiere un massacro.

Ore dopo, nel quadro del vertice BRICS in Brasile, si è verificato un evento di violenza molto simile, mettendo a rischio l’integrità della sede diplomatica e del personale venezuelano che esercita funzioni nel paese sudamericano.

In questo caso il gruppo di violenti protagonisti dell’assedio è stato respinto dalle organizzazioni popolari brasiliane, ma non prima di aver generato uno shock mediatico che serve a rallegrare gli spiriti dei golpisti in Venezuela, bisognosi di eventi con queste caratteristiche per incoraggiare i loro seguaci.

Entrambi gli assedi hanno posto il Venezuela al centro dell’agenda informativa, trasferendo tutto il peso politico e narrativo del colpo di stato in Bolivia come capitolo precedente e “ispiratore” di ciò che sarebbe accaduto in Venezuela con l’appello alle proteste violente il 16 novembre.

Questi eventi hanno costituito una fase di ammorbidimento mediatico e internazionale con l’aspirazione di creare un effetto catalizzatore sull’appello dell’opposizione venezuelana. Così la soprannominata “primavera boliviana” è stata rapidamente utilizzata per cercare di innescare un nuovo ciclo di violenza, rianimando la narrazione dei golpisti.

Il colpo di Stato in Bolivia ha delimitato la convocazione e definito gli obiettivi del 16 novembre, mentre allo stesso tempo è stata dispiegata una persecuzione contro i venezuelani per il presunto coinvolgimento nella resistenza al colpo di Stato.

Ma questo processo di ammorbidimento ha un costo.

Una dichiarazione dell’amministrazione Trump descriveva il colpo di Stato in Bolivia come un evento di importanza emisferica, poiché indicava che il colpo di Stato era un segno minaccioso per i governi del Venezuela e del Nicaragua.

Questo riorientamento forzato del colpo di stato conferma il coinvolgimento di Washington in nuovi atti di violenza che molto probabilmente si stanno preparando per un nuovo ciclo di destabilizzazione in Venezuela. Di conseguenza, il “riconoscimento” da parte di Guaidó del ruolo illegale di Jeanine Áñez è responsabilità dei consigli diretti della Casa Bianca.

SINDACALIZZAZIONE DEGLI ATTORI E COSTRUZIONE ARTIFICIALE DI UN’AGENDA “RIVENDICATIVA” PER IL COLPO DI STATO

 

Dal 22 ottobre la Federazione Venezuelana degli Insegnanti (FEV), uno dei più antichi sindacati del paese, attualmente spostato sull’anti-Chávezismo, ha confermato una prima richiesta di sciopero nazionale di 48 ore per chiedere un aumento degli stipendi ed altre richieste.

Questa prima chiamata non ha, a differenza di quanto previsto, interrotto la normalità del sistema educativo, ciò ha portato la leadership della FEV a raddoppiare le scommesse giorni dopo.

L’11 novembre, facendo appello a un tono da ultimatum, il FEV ha indetto uno sciopero generale degli insegnanti di 72 ore, diventando vetrina ed epicentro della chiamata del 16 novembre.

L’affermazione del sindacato è stata rapidamente incorporata come parte della narrazione del cambio di regime da parte dell’autoproclamato Juan Guaidó, che nei suoi social network e nelle sue uscite pubbliche è diventato un portavoce degli insegnanti, informando sull’andamento dello sciopero convocato.

In modo sincronizzato si aprono anche altri fronti, in un effetto domino pianificato. Il 14 novembre, quando lo sciopero della scuola non raggiungeva i suoi obiettivi (ma quelli di Guaidó sì, rafforzando il suo appello), il sindacato infermieristico ha indetto uno sciopero nazionale di 48 ore, ampliando il perimetro degli attori coinvolti nel 16 novembre.

Il sindacato dei giornalisti anti-Chavez ha anche annunciato che avrebbe partecipato alla mobilitazione, confermando l’unione e la logica delle proteste in base alle quali si articola lo scenario delle proteste e del confronto.

Senza dubbio questo ripete un modello ben noto dopo due fallite rivoluzioni colorate (2014 e 2017): la creazione di un clima di convergenza di affermazioni generali che si sovrappongono alla domanda di cambio di regime.

Quella sindacale è stata l’ultima carta che è rimasta da giocare, dato che le rivendicazioni istituzionali e insurrezionali del colpo di stato continuato (appello ai militari, convocazione di elezioni presidenziali, ecc.) Sono state rimaste con un supporto sempre più piccolo e fastidioso per Guaidó.

Pertanto hanno messo insieme un dispositivo di protesta che va oltre i loro ranghi, usando le sanzioni statunitensi economiche e sociali come trampolino. Scommettono sullo spirito di corpo di strutture preesistenti, in assenza di una massa critica in grado di rispondere alla loro chiamata.

Guaidó ha già indicato che la strada di questo 16 novembre sarà “senza ritorno”, confermando che gli atti violenti avranno un posto centrale come in altre occasioni.

Il 14 novembre Juan Guaidó ha partecipato a un’Assemblea studentesca dell’Università Centrale del Venezuela (UCV), accompagnato dalla direzione studentesca anti-Chavez. Ciò è accaduto ore prima che un piccolo gruppo di studenti affrontasse la polizia nel tentativo di superare una recinzione della polizia che cercava di mantenere il normale traffico sull’autostrada vicino all’istituzione universitaria.

I portavoce degli studenti hanno dichiarato di aver “richiesto l’autonomia universitaria”, mettendo in evidenza il tono unionista della loro partecipazione alle proteste del 16 novembre. Ma che ciò è accaduto e che gli atti che sono seguiti alla partecipazione di Guaidó all’evento all’UCV sono probabilmente legato alla consegna di attrezzature e finanziamenti per le proteste del 16 novembre.

UN “BAGNO DI POPOLO” RIUSCITO MALE E ORDINE CONTRO PRODUTTIVO

 

Come parte del piano marketing per il 16 novembre, Juan Guaidó ha fatto un’apparizione nella metropolitana di Caracas per fare un “bagno di popolo” per mostrarsi come un uomo del popolo amato dalla popolazione di Caracas di fronte all’opinione pubblica.

Ma l’idea è andata storta. Guaidó è stato interrogato dagli utenti della Metro, costretto a fuggire senza farsi vedere dato il clima di ostilità che ha iniziato a sentire contro la sua figura.

Un fatto che, meglio di ogni altro, contrasta con il suo posizionamento pubblico come figura che gode del sostegno maggioritario della popolazione venezuelana.

Juan Guiadó ha articolato questo scenario di proteste con uno slogan: “Se non avremo il Natale, non lo avranno neanche loro”, riferendosi al Chavismo.

L’idea di danneggiare il Natale della popolazione, in un anno segnato dalle sanzioni, è controproducente. Trasformare in un arma propria il danno ad una tradizione comune del Venezuela, non solo espone il deficit di idee che sono presenti nell’avanguardia del colpo di stato ma è un comportamento anti patriottico della classe dominante.

L’INFLUSSO BOLIVIANO E IL FATTORE POLIZIESCO/MILITARE

 

Come sappiamo, il fattore dei disordini della polizia e il successivo sostegno delle forze armate ai golpisti hanno rappresentato la svolta in Bolivia.

Questa influenza cerca di essere replicata e ci sono dimostrazioni tentativi dell’antichavismo per chiamare, insieme al governo degli Stati Uniti, alla sedizione militare per abbattere il governo di Nicolás Maduro. Il fallito colpo di stato del 30 aprile lo ha confermato.

Il 12 novembre è stato trasmesso un video in cui due funzionari di polizia venezuelani (dalla Colombia) hanno chiesto la “cessazione dell’usurpazione” (il rovesciamento di Maduro).

Si scopre che non solo il video è precedente a questa data, ma anche che i funzionari hanno disertato lo scorso febbraio.

Visto in questo modo è chiaro che lo scopo principale è quello di cercare di vendere l’idea che si tratti di un movimento di protesta “organici”, ma in realtà si tratta di due disertori che indossano la loro ex divisa per un video, per poi vestirsi da civile per sembrare un migrante.

Ma questa manovra di propaganda è abbastanza chiara da delineare idealmente una delle linee d’azione sulla scena del 16 novembre: forzare la sedizione di unità di polizia e militari, in stile boliviano, per integrare anche componenti armate in un ideale scenario di proteste insurrezionali.

Replicare il modello della Bolivia, che così tanto e in così poco tempo ha “influenzato” i golpisti, cercando di sopprimere le capacità di difesa dell’ordine pubblico, di favorire l’impunità dei gruppi che andranno allo scontro, di aprire la strada all’assedio di istituzioni e personalità del Chavismo e di dare forma ad un braccio armato illegale che conduca al cambio di regime, come fecero, nella fortunata occasione, l’11 aprile 2002.

Un calcolo che deve ancora essere testato, ma che è alla luce del processo di rivolta militare a Cotiza all’inizio dell’anno, l’emergere di una figura paramilitare come Óscar Pérez nel 2018 o la catena di eventi che hanno portato al fallimento del 30 aprile, rimangono un elemento di allerta.

Ma la conferma che il fattore militare (e di polizia) sarà al centro di uno scenario molto probabile di violenza di strada arriva dagli Stati Uniti. Non potrebbe essere diversamente.

Il comando meridionale degli Stati Uniti ha affermato alcune ore prima del 16 novembre: “Chiediamo all’esercito venezuelano di rispettare le disposizioni della sua costituzione e di proteggere i diritti fondamentali dei suoi cittadini. Esortiamo l’esercito venezuelano a rispettare la legge ed ha permettere ai suoi cittadini di protestare pacificamente questo fine settimana. Il comando meridionale sta monitorando attentamente la situazione in Venezuela”.

Seguendo questo stesso schema, James Story, responsabile della Venezuela Affairs Unit, (VAU), situata presso l’ambasciata americana a Bogotá, ha dichiarato: “Non solo gli Stati Uniti sostengono mobilitazioni legittime in Venezuela, tutti i paesi devono sostenerli perché è un diritto, ancor di più date le attuali circostanze nel paese”.

Le dichiarazioni aprono la strada non solo a un nuovo ciclo di pressioni contro il corpo militare venezuelano, ma a possibili operazioni di false flag che potrebbero essere tentate per una rivolta artificiale dell’esercito e della polizia venezuelani.

Questi segnali potrebbero servire da pretesto per qualche evento che apra una nuova serie di sanzioni economiche ed a minacce di intervento militare e, proseguendo con la speculazione, a seconda della loro grandezza, rendere possibile l’arrivo di componenti mercenari stranieri, sfruttando, ad esempio, un gruppo paramilitare colombiano, come Los Rastrojos.

Il presidente Maduro ha ordinato il dispiegamento della milizia nazionale bolivariana per rafforzare il lavoro di pattugliamento e protezione dell’ordine pubblico. Il presidente ha chiesto di riformare la legge FANB per concedere il rango costituzionale alla milizia, avendo annunciato il rafforzamento della sua disponibilità operativa e logistica.

Di fronte all’intensa manifestazione di segni e messaggi pubblici che vedono una continuità automatica tra la tragedia boliviana e il destino di Venezuela e Nicaragua, questo è il messaggio inviato dal governo bolivariano. All’esterno il contenuto del messaggio è inerente al tipo di minaccia, all’interno accentua, in modo dissuasivo, la consapevolezza che ha del momento. Sognare è gratuito, ma finanziare un golpe no.

Di fronte al tentativo di replicare il colpo di stato in Bolivia, il Chavismo articola nuovamente le sue capacità difensive per proteggere la pace e prevenire un nuovo ciclo di destabilizzazione

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