Di fronte agli oltraggi a Martí, una risposta dignitosa

A proposito dei vandalismi realizzati alcuni giorni fa contro i busti di José Martí, non è stata la prima volta che il nostro Apostolo è stato vilipeso.

È stato reiterato molte volte -e non smetteremo mai di farlo– quello che accadde l’11 marzo 1940, quando un marine yankee nel Parco Centrale si arrampicò sulla statua dell’Apostolo, si sedette a cavalcioni sulle sue spalle e le orinò sopra. La risposta del popolo fu immediata.  Gli studenti ai quali si unì una massa di popolo infuriato, arrivarono al monumento e lì, in una manifestazione improvvisata, condannarono quel gesto disprezzabile.

Anni dopo, nel 1960, Martí fu  profanato nuovamente. Nel gennaio del 1960 si lavorava a Cuba al montaggio di  un’esposizione delle conquiste economiche, scientifiche e tecniche dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il luogo selezionato per l’esposizione era il Palazzo delle Belle Arti. Per l’inaugurazione dell’esposizione, il Governo Rivoluzionario aveva invitato il  vice primo ministro sovietico, Anastas Mikoyan. Nel pomeriggio del 4 febbraio il vice premier della URSS giunse a Cuba. Il giorno dopo, il 5 febbraio, la delegazione sovietica  pose una corona di fiori davanti al monumento di José Martí nel Parco  Centrale.  Pochi minuti dopo s’inaugurò l’esposizione. Dopo la semplice cerimonia davanti al monumento di Martí, Mikoyan fu accompagnato da distinti rappresentanti del Governo Rivoluzionario sino al Palazzo delle Belle Arti. Dall’inizio dell’inaugurazione, nel Parco Centrale numerose persone, più altre che si univano, guardavano la bella corona offerta, posata davanti alla statua dell’Apostolo. Circa tre quarti d’ora dopo, un piccolo gruppo d’individui irruppe nel Parco  Centrale portando cartelli contro rivoluzionari e un cuscino di fiori simile a quello che avevano preteso di  collocare a Nuova York gli sbirri dell’organizzazione nemica della Rivoluzione “Rosa Bianca”, pochi giorni prima. Quando il gruppo cercò d’avvicinarsi alla statua di Martì per distruggere la corona offerta da Anastas Mikoyan, il popolo si lanciò contro i provocatori, frustrando i loro propositi. L’azione della polizia e del popolo permise di far arrestare tutti i partecipanti alla provocazione. Nel momento in cui arrivava il gruppo della Rosa Bianca al Parco Centrale  alterando l’ordine pubblico nei portali della detta “Manzana de Gómez”, l’agente dell’ambasciata   statunitense, George St. Jones, scattava fotografie di quei fatti. Un cittadino che lo conosceva avvisò e decine di persone gli corsero dietro cercando di fermarlo. Giunsero i poliziotti che per proteggerlo lo portarono al Terzo Commissariato. La provocazione, terminata senza problemi per il pubblico fece sì che la folla che circondava la tribuna nel Palazzo delle Belle Arti  gridasse varie volte “Viva Cuba libera!” e cominciasse a cantare l’Inno Nazionale,  che la banda dell’Esercito Ribelle  suonò per tre volte di seguito. La musica e il coro terminarono con un applauso scrosciante: era arrivato il primo ministro e leader della Rivoluzione, Fidel Castro. Il pubblico applaudiva e gridò Viva” a Fidel e alla Rivoluzione per molto tempo.

Questi due oltraggi, come i più recenti, hanno avuto una risposta immediata da un infiammato popolo cubano.

Non c’è alta forma d’agire contro coloro che tentano d’imbrattare i nostri simboli di lotta, i nostri ideali e i nostri principi.

 

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