Coronavirus, un’altra azione di terrorismo biologico?

Un articolo pubblicato nel suo blog personale dal giornalista spagnolo Patricio Montesinos espone la teoria che il coronavirus possa essere un germe creato in laboratori degli Stati Uniti come arma batteriologica della guerra commerciale scatenata da Washington contro la Cina.


Il testo, riprodotto in Rebelión, spiega che diverse dichiarazioni recenti di alti dirigenti della Casa Bianca e una sempre più forte campagna mediatica internazionale contro la Cina, alimentano l’ipotesi che l’amministrazione del presidente Donald Trump potrebbe essere la responsabile dell’epidemia apparsa alla fine di dicembre del 2019 nella città di Wuhan.

Montesinos allude a quanto dichiarato il 31 gennaio dal Segretario al Commercio Wilbur Ross, che ha affermato: «Il focolaio di coronavirus che ha contagiato migliaia di persone potrebbe fomentare l’economia statunitense».

L’alto funzionario è andato anche più in là, sostenendo che «aiuterà ad  accelerare il ritorno di posti di lavoro in Nordamerica».

Queste affermazioni di Ross seguivano altre del segretario di Stato Mike Pompeo, che nel mezzo dell’emergenza che vive il mondo per la riferita malattia ha  identificato la Cina come una minaccia dei principi democratici internazionali.

A tutto questo si somma il silenzio complice dei grandi media d’informazione che non citano gli ingenti sforzi spiegati dalle autorità cinesi per controllare l’espansione dell’epidemia, tra i quali la costruzione in tempo record di due grandi ospedali destinati ad offrire assistenza medica di massima qualità ai malati e la ricerca di effettivi farmaci per curarla.

Il giornalista sostiene nel suo scritto che si è cercato di nasconderlo, il mondo conosce bene come le successive amministrazioni degli Stati Uniti hanno utilizzato la guerra biologica per far cadere governi considerati avversi, per scatenare conflitti tra nazioni e sterminare popolazioni.

Fidel, uno dei primi obiettivi  

Uno sguardo a quanto successo nel mondo negli ultimi 60 anni, permette d’affermare che poche nazioni hanno sofferto tante forme di attacchi biologici come Cuba.

Forse, una delle prime pretese vittime di questa tenebrosa maniera d’aggressione è stato il Comandante in  Capo, Fidel Castro dagli inizi della Rivoluzione, quando l’Agenzia Centrale d’Intelligenza (CIA la sigla in inglese) disegnò un piano per  inquinare una muta da subacqueo che doveva utilizzare – sui presumeva- il leader cubano.

La CIA volle utilizzare l’ospitalità di Fidel, che ricevette James Donovan, un avvocato che negoziava con il Governo cubano la liberazione dei mercenari catturati nell’invasione di Playa Girón, per fargli arrivare attraverso di lui la muta accuratamente infettata con bacilli della tubercolosi.

Il macabro regalo non fu consegnato al suo anfitrione e le versioni  giunte ai nostri giorni suggeriscono che questi si rifiutò o cercò un pretesto per evitare d’essere coinvolto nell’infame azione.

Non mancarono tentativi d’inoculare microorganismi nei sigarai che avrebbe fumato Fidel, per provocare la caduta  della sua emblematica barba.

Dopo il fallimento dell’invasione di Playa Girón, nel 1962 la CIA, con il beneplacito del Governo statunitense, pose in esecuzione la detta Operazione Mangosta, che includeva tra le sue azioni l’uso di agenti biologici e chimici capaci di distruggere i raccolti cubani e debilitare i lavoratori agricoli.

Non fu casuale allora che poco tempo dopo apparve nei campi dell’Isola delle  Antille il virus patogeno /New castle/ che provocava severe stragi  tra il pollame nazionale e obbligò a sacrificare decine di migliaia di  animali.

In accordo con quanto sostenuto da William Turner, ex agente del FBI, e dal giornalista Warren Hinckle, nel libro /Segreti letali: la guerra della CIA e della mafia statunitense contro Fidel Castro e l’assassinio  di John Fitzgerald Kennedy/, gli Stati Uniti utilizzarono la guerra batteriologica in Cuba durante l’amministrazione di Richard Nixon(1969-1974) e la CIA  impegnò il governo de nord  in una guerra segreta non dichiarata e illegale contro Cuba.

La dimostrazione fu la presenza e la rapida propagazione nel 1971 della prima epidemia di febbre porcina africana, il cui controllo e sradicamento obbligò al sacrificio di più di mezzo milione di maiali.

Il 7 gennaio del 1977 un messaggio dell’agenzia nordamericana UPI, proveniente da  Washington, informava  che una fonte non identificata della CIA  aveva ricevuto al principio del 1971 un recipiente che conteneva virus, a Forte Guglick, base dell’esercito statunitense nella zona del Canale di Panama. Lo stesso fu poi trasportato a una nave da pesca da agenti incaricati d’operare clandestinamente in Cuba.

Grazie alle investigazioni realizzate da un gruppo di professionisti del Centro Nazionale di Sanità Agricola e dell’Allevamento (Censa), diretto dalla dottoressa Rosa Elena Simeón Negrín, si era giunti alla conclusione che questo germe specifico dei maiali era stato adattato artificialmente per farlo trasportare per mezzo degli uccelli. Gli specialisti avvisarono che questo si poteva ottenere solo in forma intenzionale e con tecniche depurate d’ingegneria genetica e biotecnologia.

Era la prima volta che l’aggressiva malattia si propagava nell’emisfero occidentale.

La febbre porcina africana riapparve nuovamente in Cuba nel 1979.
In questa occasione si seppe che la nuova infezione era iniziata nei dintorni del paese di Caimanera, vicino alla Base Navale USA che occupa illegalmente il territorio di Guantánamo.

Altre azioni di guerra batteriologica sofferte dal popolo cubano

Nel decennio dei ’70 e negli anni ’90 del secolo scorso furono l’introduzione  deliberata del Fungo Azzurro del tabacco  nel 1971, che colpì severamente la produzione di questo importante prodotto esportabile, poi la Rossa della Canna da zucchero nel 1978,  il cui devastante effetto obbligò a smantellare la quasi Ttotalità dei campi seminati con la varietà di canna Barbados 4326, con elevate res agricole e industriali.

Poi la dolorosa epidemia del Dengue Emorragico del 1981, che provocò 158 morti dei quali 101 bambini e la plaga dell’insetto Thrips palmer che distrusse molte coltivazioni.

Durante il processo realizzato a Nuova York nel 1984 all’agente della CIA d’origine cubana Eduardo Arocena, questi dichiarò chiaramente che la missione del gruppo che lui comandava aveva l’impegno d’ ottenere certi germi patogeni e introdurli a Cuba.

La confessione consta nella relazione di pagina 2189, espediente 2-FBI-NY 185-1009, ma il pubblico ministero del processo non ha mai ordinato di fare investigazioni.

Non esistono prove in questo momento che il coronavirus faccia parte di un’azione terroristica biologica degli Stati Uniti, ma la pratica di questo paese e le dichiarazioni di alcuni dei suoi più alti funzionari portano il giornalista Patricio Montesinos nel suo analitico articolo a chiedersi: «Non suscita sospetti che il coronavirus sa apparso in Cina, e che Washington lo abbia introdotto per debilitare quella che molti già considerano la prima potenza economica mondiale, al disopra dell’impero mal guidato da Trump?»

Nel contesto

• Sono più di 31400 i casi di persone infettate con il coronavirus nel mondo, in accordo con le informazioni dell’Organizzazione Mondiale della   Salute (OMS), e di queste  31 200 in Cina.

• Il contagio si trova già in 25 paesi e sono morte 638 persone, solo una al di   fuori del paese asiatico.

•  Nessun paese dell’America Latina figura nella mappa di distribuzione   del coronavirus elaborato dalla OMS, anche se è sicuro il contagio di un    cittadino argentino che viaggiava in una nave da crociera, bloccata Giappone.

• Sino ad ora i medici cinesi hanno salvato 1 540 persone, in accordo con un     articolo del Diario del Pueblo.

•  Il Diario del Popolo ha informato che il presidente della Cina, Xi Jinping, ha parlato telefonicamente, venerdì 7,  con il suo omologo degli Stati Uniti,  Donald Trump, chiedendo di ragionare nell’atmosfera internazionale mediatica, dove deliberatamente si espongono cifre e dati da contrastare che  trasmettono l’immagine che la nazione asiatica non fa il sufficiente per combattere l’epidemia.

• Durante la 146ª sessione del Consiglio Esecutivo della OMS, realizzata  il    4 febbraio, il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus,     ha elogiato la Cina  per le forti misure e la rapidità nell’affrontare la   situazione.

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