Il cammino è difficile, bisogna stare sempre all’erta

61 anni fa il leader della Rivoluzione Cubana, Fidel Castro, assumeva l’incarico di primo ministro della Repubblica di Cuba. Erano trascorse solo sei settimane dal Trionfo della Rivoluzione Cubana e si apprezzavano situazioni critiche nel Governo Rivoluzionario. Nel suo discorso di presa di possesso dell’incarico, il Comandante in Capo ha detto: “Abbiamo tanti compiti davanti, abbiamo tanto lavoro e tanta lotta davanti che sono sufficienti per esaurire non una sola, bensì due generazioni di rivoluzionari!”

“Gli incarichi, come incarichi, non mi importano; gli onori, come onori, non mi importano. Qui, da questa posizione, continuo ad essere lo stesso cittadino che sono sempre stato. Come cittadino, non mi differenzio in nulla da qualunque altro cittadino. Sono come qualunque altro modesto ed umile cubano, solo un cubano con le stesse facoltà che un altro cubano chiunque, a chi però è stato assegnato un grande e difficile compito.”

“Il popolo deve essere molto cosciente che il cammino è difficile, che la strada è lunga, che la strada è faticosa, che dobbiamo sudare molto la camicia, lottando. E che non solamente bisogna avere quell’idea presente, ma bisogna stare sempre all’erta e non lasciare che l’entusiasmo muoia. Perché questa opera grande che si è imposta il popolo di Cuba non è un’opera di popoli meschini, ma di popoli grandi, come il nostro.”

Se vuole sapere quello che è accaduto il 16 febbraio 1959, Cubadebate ed il sito Fidel Soldato delle Idee condividono oggi frammenti del libro della Casa Editoriale Verde Olivo “Fidel: Nell’anno della Liberazione” (Tomo I) degli autori Eugenio Suarez Perez ed Acela A. Caner Roman.

La crisi interna nel Governo Rivoluzionario si intensifica senza che si scorga una soluzione. C’è bisogno una direzione di vero prestigio e che goda dell’appoggio popolare. L’ala più rivoluzionaria del consiglio dei Ministri giunge alla conclusione che Fidel Castro è la figura indicata per farsi carico del governo, come primo ministro.

La mezzanotte del 12 febbraio, Enrique Oltuski, ministro di Comunicazione, guarda il suo orologio.

[…] Eravamo riuniti dalle due del pomeriggio. Come il giorno anteriore. Come i giorni anteriori. Discussioni interminabili. Risultati: scarsi.

Sono tornato a guardare l’orologio: l’una dell’alba. Fortunatamente il Consiglio stava terminando. Mentre raccoglievamo i nostri fogli, ci siamo guardati in volto, i nostri occhi hanno riflesso l’intendimento.

Erano quasi le due dell’alba quando localizziamo Fidel in uno dei corridoi dell’hotel.

(…) Sebbene il governo che era al potere era nominalmente quello di Urrutia, e Fidel era il capo delle forze armate, non si poteva fare una chiara distinzione tra il governo ed il Movimento 26 Luglio. Nel Consiglio si mettevano a sedere ministri che provenivano dalle nostre file. Tutto il mondo sapeva che il potere era dove stava Fidel e continuamente a lui si dirigevano alla ricerca di orientazione, a volte di decisioni, collocandolo in una situazione complessa, nella quale da una parte si trattava di un governo che non era il suo, e da un’altra, qualunque decisione colpiva la Rivoluzione, che sì era sua. Il cuore ed il cervello della Rivoluzione erano qui e non nel Palazzo Presidenziale. Fidel non conosceva il riposo.

–Ma che cosa fate voi qui? –ci ha chiesto vedendoci.

–Vogliamo parlare con te –ha detto Faustino.

–Che cosa succede? –ha insistito Fidel.

–Non ne possiamo più –è ritornato a parlare Faustino–. Il consiglio dei Ministri non funziona. L’unica cosa che facciamo è parlare per ore interminabili. Giocano molti interessi e non c’è autorità. Devi assumere la direzione del governo!

–Così che voi volete che mi faccia carico del governo, però, vediamo in primo luogo di che governo stiamo parlando –ha detto, introducendo la mano nella tasca sinistra della camicia da dove ha tirato fuori un piccolo quaderno azzurro. Ha fissato gli occhi su tutti i presenti.

–Per primo parliamo della riforma agraria.

Fece una lunga, dettagliata e profonda esposizione della sua concezione della riforma agraria, tutti ascoltavamo con gran attenzione. Non c’è stato bisogno di discutere molto, tutti abbiamo condiviso i criteri espressi da Fidel.

Si è messo ha ripassare i fogli del piccolo quaderno: gli alti affitti, la mancanza di abitazioni che soffriva la popolazione, le tariffe elettriche, l’educazione e la salute, le fonti di lavoro. La lotta contro la povertà, la corruzione, la prostituzione. Lo sviluppo economico. L’Esercito Ribelle. La politica estera.

Era già l’alba, la luce entrava dalle finestre. Nessuno aveva sonno, malgrado fossero già passate 24 ore senza chiudere occhio. Alcuni erano seduti nelle poltrone della sala, altri nei gradini della scala, c’era gente sdraiata nel pavimento. Fidel aveva poco spazio per muoversi. Quando si è zittito, tutti volevamo che continuasse a parlare.

–È questo il governo che vogliamo? – ha chiesto.

–Sì, Fidel, sì –abbiamo detto tutti.

–Allora… accetto!

della squadra editoriale Fidel Soldato delle Idee

traduzione di Ida Garberi

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