I mercanti

di Ernesto Estévez Rams www.granma.cu 

Traduzione a cura di Matthias Moretti

Il terrore essenziale della nostra epoca non è la società totalitaria descritta da George Orwell in 1984. In questo mondo attuale, il vero Grande Fratello si nasconde dietro la facciata del Grande Intrattenitore, e i nemici da sconfiggere sono coloro che stanno facendo mercato di tutto ciò che di buono l’umanità ha coltivato.

(La tesi di Matrix e che la realtà non esista, ma esistano solo le narrazioni che di essa ci vengono fatte: una post-verità globale.)

The Space Merchants, tradotto come I mercanti dello spazio, è un romanzo di science-fiction che è stato pubblicato a Cuba decenni fa. I suoi autori, Frederik Pohl e Cyril M. Kornbluth, nel 1953, riunirono in un libro la storia che avevano pubblicato a fascicoli sulla rivista Galaxy Science Fiction. Il suo predecessore, 1984 di George Orwell, pubblicato quattro anni prima, dipinge un mondo oscuro con un controllo sociale tangibile e alienante, ed è stato elevato a icona, a partire dall’epoca dell’URSS, come punta di diamante letteraria contro il socialismo. A differenza di quest’ultimo, del romanzo di Pohl e Kornbluth si dice poco a livello di uso come messaggio ideologico. La ragione è chiara. I mercanti dello spazio dipinge un mondo distopico, alienante e oppressivo, ma… chiaramente capitalista. È, in un certo senso, il libro opposto a quello di Orwell.

Malgrado fosse un romanzo a fascicoli, non ha supereroi, piuttosto un antieroe con una formazione da agente pubblicitario. In un’epoca futura (rispetto al periodo di scrittura del romanzo), la società è diretta da grandi monopoli transnazionali dominati dalle imprese di pubblicità. Gli Stati sono caricature dalle quali si può quasi prescindere e le corporations possiedono eserciti privati per dirimere le loro controversie imprenditoriali, mentre la polizia ha la precisa funzione di mantenere l’ordine tra i consumatori. Il mondo è un disastro ecologico. La pubblicità ha raggiunto livelli aberranti al punto che si arriva a pensare di proiettare nella pupilla delle persone gli annunci dei prodotti che, competendo tra loro, aspirano a diventare indispensabili per la vittima di una simile aberrazione. L’oppressione totalitaria non arriva con tinte da Grande Fratello, non ce n’è bisogno, è bastato controllare gli esseri umani a partire dal piano dell’istinto e fare della frenesia di emozioni e sensazioni una ragione di vita. Non c’è memoria collettiva, perché è stata sostituita dalla pubblicità come cultura di massa, l’unica cultura che prevale. Suona preoccupantemente familiare?

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Basandosi con molta libertà sul precedente romanzo, Ridley Scott nel 1982 ha prodotto il film Blade Runner, considerato oggi un classico cinematografico della science-fiction. Nel film la Terra è un disastro ecologico da cui l’essere umano è riuscito a conquistare altri pianeti. Da questi pianeti, chiamati curiosamente colonie e che non vengono mai mostrati, ci viene detto che si estraggono risorse per la Terra. Nelle colonie lavorano esseri geneticamente modificati, che lavorano lì come schiavi e ai quali è stata attribuita un’obsolescenza programmata con data esatta di scadenza, ovvero di morte. Questi replicanti, come sono chiamati, sono l’“altro”, estraneo alla Terra colonizzatrice, e succede che, arrabbiati, acquisiscano coscienza di sé, ben oltre la funzionalità per la quale erano stati creati, e si ribellino ritornando sulla Terra. Al diventare immigranti, la loro funzione utilitaristica perde di senso e diventano nemici e, come tali, devono essere catturati come animali. La funzione repressiva la esercitano persone conosciute come Blade Runner, la cui traduzione – difficile – sarebbe qualcosa del tipo “corridori sul rasoio”. Per giustificare l’assassinio, gli immigranti sono dipinti come esseri carenti di empatia, creature che minacciano l’ordine terrestre. Suona preoccupantemente familiare?

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Matrix, produzione cinematografica dei fratelli Wachowski, ha avuto la sua prima distribuzione nel 1999, sono già passati 20 anni. In questi lungometraggi si narra un mondo anche qui postapocalittico, dove gli esseri umani sono creati e mantenuti in incubatrici da macchine create originariamente dalla tecnologia umana e che, in un qualche momento precedente alla narrazione del film, si sono ribellate e hanno raggiunto il dominio del pianeta. L’umanità pertanto si è ridotta a semplici esseri vegetativi, utilizzati come fonti rinnovabili di energia necessarie per le macchine.

La cosa interessante è che ogni essere umano, per essere mantenuto in vita, ha il cervello connesso a una gigantesca rete cibernetica chiamata The Matrix, che lo mette in relazione con il resto dell’umanità connessa nello stesso modo, di modo che si crea una realtà virtuale che sostituisce la realtà oggettiva. In questo modo, la realtà è presentata, in modo inquietante, come una creazione soggettiva, imposta da una macchina che può cambiare la narrazione se lo desidera.

Neo, il protagonista, è presentato come un eletto per guidare la ribellione umana, ma questa condizione gli è stata data da una profezia che proviene, paradossalmente, da un essere del mondo narrativo e virtuale del Matrix chiamato l’Oracolo. Pertanto, la profezia che lo consacra è anch’essa pura narrazione, senza appigli nel mondo reale. La tesi è che la realtà non esiste, esistono solo le narrazioni che di essa ci fanno: una post-verità globale. Suona preoccupantemente familiare?

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Usciamo dalla science-fiction.

Nell’anno 2009, la multinazionale Sony ha ottenuto il brevetto per un dispositivo capace di decifrare le emozioni. La proprietà intellettuale, inizialmente pensata per le sue consolle da gioco, non è limitata a queste ed è utilizzabile su qualunque dispositivo elettronico come un televisore. L’idea è che, identificando lo stato emotivo dell’utilizzatore di un dispositivo, questa informazione possa essere utilizzata per determinare il comportamento dell’apparecchio e modificarlo di conseguenza, ottenendo che il consumatore non perda attenzione sullo stesso. Nel caso dei giochi, rilevando allegria può indicare che la funzione di intrattenimento sia adeguata, mentre la stanchezza provoca il fatto che il ritmo del gioco e la sua emotività siano incrementati per tornare a catturare l’attenzione del ludopatico.

Nel 2014 Facebook ha chiesto il brevetto, concesso nel 2017, per decifrare le emozioni. In questo caso, la licenza us20150242679a1 copre la capacità di decifrare, immagazzinare e trasmettere lo stato emozionale di un consumatore di un contenuto digitale per decidere, a partire da questa conoscenza, il contenuto che conviene mostrare all’individuo. Nel linguaggio tecnico, freddo e impersonale della licenza si può leggere: “L’identificazione del contenuto che deve essere mostrato da una o più applicazioni basate sul tipo di emozione identificata può includere la ricerca, in una pluralità di contenuti, di ogni oggetto associato a un tipo di emozione in particolare. In aggiunta a ciò, una componente di calibrazione può essere configurata per ricevere l’ordine di calibrare il rilevatore di emozioni e presentare un tipo di emozione all’utilizzatore”.

Il brevetto statunitense U.S. Pat. No. 6,175,772 del 2001 protegge l’invenzione di pupazzi robot con pseudoemozioni e il cui comportamento è basato sulle stesse. Secondo il documento del brevetto, i canoni di comportamento del pupazzo cambiano a partire dalla risposta emozionale dell’utilizzatore.

Un altro brevetto, U.S. Pat. No. 6,536,440 protegge in quanto invenzione la capacità, utilizzando ultrasuoni, di influenzare e manipolare impulsi nervosi nel cervello, permettendo che dati sensoriali siano proiettati nella corteccia cerebrale. Il brevetto, richiesto dalla Sony, “è totalmente non invasivo, nell’utilizzare dispositivi che sparano impulsi di ultrasuoni nella testa per modificare disposizioni di neuroni localizzati nel cervello e creare ‘esperienze sensoriali’ da immagini in movimento fino a sapori e suoni”.

Ray Kurzweil, che è stato capo ingegnere di Google, sostiene che entro il 2045 la capacità tecnologica della cibernetica avrà sorpassato la capacità cognitiva umana.

Theodore Berger, un ingegnere dell’Università del Sud della California, a Los Angeles, sta sviluppando una protesi della memoria. L’idea è rimpiazzare parte dell’ippocampo con un dispositivo che raccolga l’attività elettrica che codifica la memoria di breve durata e, una volta convertita in segnale digitale, la trasmette a un computer dove possa essere matematicamente trasformata e poi tornare a essere impiantata nel cervello. Il suo dispositivo è già stato provato con successo su topi e scimmie, e adesso lavora con pazienti umani.

Fermiamoci qui.

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Una lettura superficiale potrebbe cedere il passo all’allarmismo e da lì alla reazione tecnofobica: “Se la scienza ci prepara questo futuro mostruoso, fermiamo la scienza!”… C’è chi vede nel mondo attuale una dittatura tecnoscientifica sugli aspetti culturali, umanistici, letterari e artistici e, di conseguenza, dovremmo ribellarci contro l’aspetto tecnoscientifico. Questo dilemma si presenta in varie forme, per esempio nella battaglia “culturale” tra lo sviluppo degli OGM contro la moratoria sul loro utilizzo; la capacità tecnoscientifica di clonare il codice genetico contro la proibizione dell’uso di tale capacità; lo sviluppo delle tecnologie basate sulle cellule madre contro la loro applicazione pratica; lo sviluppo della nanotecnologia contro le sue implicazioni ecologiche. In tutti questi casi il dilemma si presenta come una battaglia tra la capacità tecnoscientifica raggiunta e l’insufficienza culturale per un suo uso responsabile da parte della società. Però, a livello globale, dobbiamo capire che l’essenza non sta in questa contraddizione, ma in quella che avrebbe descritto il vecchio Marx: non viviamo nella dittatura della scienza, viviamo nella dittatura del capitale. L’ambizione sfrenata per il guadagno condiziona tutto il resto degli impulsi sociali. La soluzione, pertanto, non affonda le radici nel possedere la scienza, cosa oltretutto impossibile, ma consiste nel cambiare l’ordine sociale del pianeta.

Il terrore essenziale della nostra epoca non è la società totalitaria descritta da George Orwell in 1984 (impraticabile in qualsiasi modo), è la società anticipata da Pohl e Kornbluth nel 1953, alla quale ci avviciniamo terribilmente. In questo mondo di oggi, il vero Grande Fratello si nasconde dietro la facciata del Grande Intrattenitore, e i nemici da sconfiggere sono i mercanti di tutto ciò che di buono l’umanità ha coltivato. La possibilità di sconfiggere questo nemico dell’umanità è il destino che, giorno dopo giorno, si gioca questa Isola con la sua resistenza.


Los mercaderes

El terror esencial de nuestra época no es la sociedad totalitaria descrita por George Orwell en 1984. En este mundo de hoy, el verdadero Gran Hermano se esconde detrás de la fachada del Gran Entretenedor, y los enemigos a derrotar son los mercaderes de todo lo bueno que la humanidad ha cultivado

The Space Merchants, traducida como Los mercaderes del espacio, es una novela de ciencia ficción que fue publicada en Cuba hace décadas. Sus autores, Frederik Pohl y Cyril M. Kornbluth, en 1953, reunieron en un libro la historia que habían publicado como entregas a la revista Galaxy Science Fiction. Su antecesor, 1984, de George Orwell, publicada cuatro años antes, retrata un mundo oscuro de un control social abrasivo y alienante, y ha sido elevada a ícono, desde la época de la URSS, como punta de lanza literaria contra el socialismo. A diferencia de esta última, de la novela de Pohl y Kornbluth se dice poco a nivel de uso como mensaje ideológico. La razón está clara. Los mercaderes del espacio dibuja un mundo distópico, enajenante y opresivo, pero… claramente capitalista. Es, en muchos sentidos, el contralibro del de Orwell.

A pesar de ser una novela por entregas, no tiene superhéroes, más bien, un antihéroe con formación de publicista. En un futuro (respecto a la fecha de la novela), la sociedad es dirigida por grandes monopolios transnacionales donde las empresas de publicidad dominan sobre ellas. Los Estados son caricaturas casi prescindibles y las corporaciones tienen ejércitos privados para dirimir sus batallas empresariales, mientras la policía tiene la marcada función de mantener el orden entre los consumidores. El mundo es un desastre ecológico. La publicidad ha alcanzado niveles aberrantes al punto de que ya se piensa en proyectar en la pupila de las personas los anuncios de los productos que, compitiendo entre ellos, aspiran a volverse adictivos para la víctima de semejante aberración. La opresión totalitaria no viene con tintes de Gran Hermano, no hace falta, ha bastado controlar a los seres humanos desde el plano instintivo y hacer del frenesí de emociones y sensaciones razón de vida. No hay memoria colectiva, porque esta ha sido sustituida por la publicidad como cultura de masas, la única cultura que prevalece. ¿Suena alarmantemente familiar?

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Quince años después de la novela de Pohl y Kornbluth, una novela con el enigmático nombre de ¿Sueñan los androides con ovejas eléctricas? fue publicada. Escrita por Philip K. Dick, la novela narra las acciones del cazador de replicantes Rick Deckard en un mundo posapocalíptico, donde tener de mascota un animal vivo es un lujo solo reservado para las personas más ricas. El resto de los mortales debe conformarse con mascotas androides, es decir, sucedáneos de animales afectivos, en realidad robots. En ese mundo fallido, el escape de las personas es un dispositivo conocido por órgano de ánimos Penfield, el cual puedes sintonizar para que provoque los estados emocionales que decidas. De este modo, la alegría, el optimismo, el dolor, la tristeza, la depresión, la excitación o la soledad pueden ser programados con antelación de acuerdo a tu deseo. En un planeta donde una buena parte de la humanidad ha escapado a otros astros, tal mecanismo de enajenación es el único refugio frente a una realidad que no se puede controlar. Las personas pasan el día conectados a su caja de emociones como zombies. Cuando no se está conectado al dichoso aparato, las personas trabajan y deambulan en una sociedad donde la propaganda más procaz te incita constantemente a que escapes más allá de sus límites. ¿Suena alarmantemente familiar?

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Basado con mucha libertad en la novela anterior, Ridley Scott filmó en 1982 la producción Blade Runner, considerada hoy un clásico cinematográfico de la ciencia ficción. En la película la Tierra es un desastre ecológico donde el ser humano ha logrado conquistar otros planetas. De esos planetas, llamados curiosamente colonias y que nunca son mostrados, se nos dice que se extraen recursos para la Tierra. En las colonias trabajan seres genéticamente modificados, que laboran allí como esclavos y a los que se les ha determinado obsolescencia programada con fecha exacta de caducidad, es decir, de muerte. Estos replicantes, como son llamados, son el «otro», extraño a la tierra colonizadora, que en ocasiones, molestos, adquieren conciencia de sí, más allá de la funcionalidad para la que fueron creados y se rebelan regresando a la Tierra. Al volverse inmigrantes, su función utilitaria pierde sentido y se vuelven enemigos y, como tales, deben ser cazados cual animales. La función represora la ejercen personas conocidas como Blade Runner, cuya traducción –difícil– sería algo así como corredores por la navaja. Para justificar el asesinato, los inmigrantes son dibujados como seres carentes de empatía, calibanes amenazantes del orden terrestre. ¿Suena alarmantemente  familiar?

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La Matriz, producción fílmica de los hermanos Wachowski, tuvo su primera entrega en 1999, hace ya 20 años. En los largometrajes se narra un mundo también posapocalíptico, donde los seres humanos son creados y mantenidos en incubadoras por máquinas creadas originalmente por la tecnociencia humana y que, en algún momento anterior al narrado en el filme, se rebelaron y lograron el dominio del planeta. La humanidad por tanto se ha reducido a meros seres vegetativos, utilizados como fuentes renovables de energía necesarias para las máquinas.

Lo interesante es que cada ser humano, para ser mantenido vivo, tiene el cerebro conectado a una gigante red cibernética llamada La Matriz, que lo relaciona con el resto de la humanidad de igual modo conectada, y a la que se le crea una realidad virtual que sustituye a la realidad objetiva. De este modo, la realidad es presentada, perturbadoramente, como una creación subjetiva, impuesta por una máquina que puede cambiar de narración si así lo desea.

Neo, el protagonista, es presentado como un elegido para liderear la rebelión humana, pero esa condición le ha sido dada por una profecía que proviene, paradójicamente, de un ser del mundo narrativo y virtual de La Matriz llamado la Pitonisa. Por tanto, la profesía que lo consagra es también narrativa pura, sin asidero en el mundo objetivo. La tesis es que la realidad no existe, solo existen las narraciones que de ella nos hacen: una posverdad global. ¿Suena alarmantemente  familiar?

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Salgamos de la ciencia ficción.

En el año 2009, la transnacional Sony solició patente para un dispositivo capaz de detectar emociones. La protección intelectual, inicialmente pensada para sus consolas de juego, no está limitada a ellas y es utilizable en cualquier dispositivo electrónico como un televisor. La idea es que, al identificar el estado emocional del usuario de un dispositivo, dicha información pueda ser utilizada para determinar el comportamiento del aparato y modificarlo acordemente, logrando que el consumidor no pierda la atención sobre el mismo. En el caso de los juegos, identificando alegría  puede indicar que la función entretenedora es adecuada, mientras que el hastío provoca que el ritmo del juego y su emotividad sean incrementados para volver a captar la atención del ludópata.

En 2014 Facebook solicitó una patente, concedida en 2017, para detectar emociones. En este caso, la licencia us20150242679a1 cubre la capacidad de detectar, almacenar y transmitir el estado emocional de un consumidor de contenido digital para decidir, a partir de dicho conocimiento, el contenido que conviene mostrarle al individuo. En el lenguage técnico, frío e impersonal de la patente se puede leer: «La identificación del contenido a ser mostrado por una o más aplicaciones basados en el tipo de emoción identificada puede incluir la búsqueda, en una pluralidad de contenido, cada item asociado a un tipo de emoción en particular. En adición a esto, una componente de calibración puede ser configurada para recibir el pedido de calibrar el detector de emociones y presentar un tipo de emoción al usuario».

La patente estadounidense U.S. Pat. No. 6,175,772 de 2001 protege la invención de mascotas robots con seudoemociones y cuyo comportamiento está basado en las mismas. De acuerdo con el documento de invención, los patrones de comportamiento de la mascota cambian a partir de la respuesta emocional del usuario.

Otra patente, la U.S. Pat. No. 6,536,440, protege como invento la capacidad de, utilizando ultrasonido, influir y manipular impulsos nerviosos en el cerebro, permitiendo que data sensorial sea proyectada en la corteza cerebral. La patente, solicitada por Sony, «es totalmente no invasiva, al utilizar dispositivos que disparan impulsos de ultrasonido a la cabeza para modificar patrones de neuronas localizadas en el cerebro y crear “experiencias sensoriales” desde imágenes en movimientos hasta sabores y sonidos».

Ray Kurzweil, quien fuera director de Ingeniería de Google, considera que para 2045 la capacidad tecnológica de la cibernética habrá sobrepasado la capacidad cognitiva humana.

Theodore Berger, un ingeniero en la Universidad del Sur de California, en Los Ángeles, está desarrollando una prótesis de memoria. La idea es remplazar parte del hipocampo con un dispositivo que grabe la actividad eléctrica que codifica una memoria de corta duración y, convertida en señal digital, transmitirla a una computadora donde pueda ser matemáticamente transformada y luego vuelta a implantar en el cerebro. Su dispositivo ya ha sido probado con éxito en ratones y monos, y ahora trabaja con pacientes humanos.

Paremos aquí.

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Una lectura superficial pudiera dar paso al alarmismo y de ahí a la reacción tecnofóbica: «Si la ciencia nos depara este futuro mostruoso, ¡paremos a la ciencia!»… Hay quienes ven en el mundo actual una dictadura de lo tecnocientífico sobre lo cultural, humanístico, literario y artístico y, en consecuencia, debemos rebelarnos contra lo tecnocientífico. Este dilema se presenta de variadas formas, por ejemplo, en la batalla «cultural» entre el desarrollo de los transgénicos versus la moratoria sobre su uso; la capacidad tecnocientífica de clonar el código genético versus la prohibición del uso de tal capacidad; el desarrollo de las tecnologías basadas en células madre versus su aplicación práctica; el desarrollo de la nanotecnología versus sus implicaciones ecológicas. En todos estos casos el dilema se presenta como una batalla entre la capacidad tecnocientífica alcanzada y la insuficiencia cultural para su uso responsable por parte de la sociedad. Pero, a nivel global, debemos entender que la esencia no está en esa contradicción, sino en aquella que describiera el viejo Marx: No vivimos la dictadura de la ciencia, vivimos la dictadura del capital. La ambición desenfrenada por la ganancia condiciona todo el resto de los impulsos sociales. La solución, por tanto, no radica en detener la ciencia, cosa por demás imposible, consiste en cambiar el orden social del planeta.

El terror esencial de nuestra época no es la sociedad totalitaria descrita por George Orwell en 1984 (inviable de cualquier manera), es la sociedad anticipada por Pohl y Kornbluth en 1953 a la que nos acercamos terriblemente. En este mundo de hoy, el verdadero Gran Hermano se esconde detrás de la fachada del Gran Entretenedor, y los enemigos a derrotar son los mercaderes de todo lo bueno que la humanidad ha cultivado. La posibilidad de derrotar a ese enemigo de la humanidad es el destino que, día a día, se juega esta Isla con su resistencia.

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