Venezuela, il pantano di Trump

quali opzioni ha il paese per sbloccare il conflitto?

Franco Vielma https://medium.com/@misionverdad2012

Il crocevia venezuelano, delineato mediante una strategia di smantellamento del potere politico nazionale orchestrata da Washington e replicata dai suoi vassalli locali nel paese, è stato, in forma pericolosa, il quadro politico.

L’avvento della pandemia mondiale di Covid-19 ha radicato i fattori della politica interna. Ha confinato l’opposizione venezuelana (la sua ala dura) nelle reti sociali ed all’arringa destabilizzatrice, mediante sponsorizzazione USA, mentre il chavismo si è concentrato sull’azione di governo per affrontare la crisi sanitaria.

D’altra parte, la fallita Operazione Gedeon ha riscaldato lo scenario interno, sbilanciando l’impulso politico e degradando la politica a livelli mai conosciuti nella storia del paese.

Il contesto interno appare quindi politicamente stagnante.

Una parte della politica nazionale, il chavismo, rimane all’interno dei canali politici mentre l’ala dirigente dell’opposizione, che funziona come una filiale USA nel paese, si è separata da molto tempo dalla politica e contratta società mercenarie per precipitare un conflitto armato.

La domanda che sta diventando vitale in questo momento è: devono darsi per perse le vie del dialogo o dobbiamo supporre che ci siano ancora le condizioni per esso?

Il preambolo dell’attuale paralisi

 

All’inizio di quest’anno, l’ascesa dell’anti-chavista Luis Parra alla presidenza del parlamento ha aperto la strada alla re-istituzionalizzazione della politica. Ma la sua elezione è stata stroncata da Washington, non riconoscendolo ed incoraggiando che i suoi paesi vassalli mantenessero l’assedio politico.

L’impegno per Guaidó si è nuovamente ripubblicato per quest’anno, lasciandolo come un fattore scomodo che per difetto inabilita i canali di dialogo politico tra i venezuelani.

Per dirla in parole povere, la situazione è simile a quella del cognato fannullone e passivo aggressivo che deve essere sopportato la notte del 24 dicembre nella casa famigliare del tuo partner.

Sebbene Luis Parra si sia unito al Tavolo di Dialogo politico insieme ad altri piccoli fattori dell’opposizione, o meglio, della “dissidenza oppositrice” che la compongono.

Anche dopo che, in febbraio, sono stati fatti progressi tra tutte le fazioni del parlamento per creare un Comitato di Postulazione per eleggere un nuovo Consiglio Nazionale Elettorale, i progressi sono stati congelati, avvolti dalla congiuntura e dalla persistenza di Guaidó, che non è governato da fattori dell’opposizione venezuelani, ma bensì obbedisce solo a Washington proprio affinché ostacoli tutto.

Prima che la pandemia sopravvenisse, il chavismo ed una parte importante dell’opposizione erano avanzati in pre-accordi abbastanza significativi al fine di ripristinare la normalità politica ed istituzionale nel paese.

Al decretasi l’emergenza sanitaria, entrambe le forze politiche si si sono avvicinate, dietro le quinte, ad un consenso politico per sbloccare il conflitto in funzione del bene comune di assistere l’emergenza.

La proposta era ambiziosa. Proporre una sospensione del blocco al paese, scongelare i conti all’estero ed utilizzare tali risorse per abilitare canali di aiuto e forniture essenziali per far fronte alla crisi sanitaria. Questo, mediante l’intermediazione di agenzie umanitarie ed organizzazioni non governative dall’estero.

A questo punto, Guaidó si è incaricato di annullare tutto.

Il suo appello ad un “governo di emergenza” significava usare l’emergenza sanitaria per raggiungere ciò che, gli USA e lui, non avevano raggiunto nel 2019, alimentando un disastro nazionale e la rottura dell’ordine sociale per manovrare la politica dalla crisi. Un altro modo per cercare di sfrattare il presidente Nicolás Maduro dal potere.

Tale sfogo che deve essere enfatizzato, non aveva altro scopo se non quello di inabilitare le soluzioni di dialogo, erano anche un segnale che il consenso nell’anti-chavismo sul blocco e l’incastramento della politica erano infranti nell’opposizione.

L’Azione Democratica attraverso il suo caudillo Henry Ramos Allup, ha dichiarato la sua disponibilità ad andare alle elezioni parlamentari quest’anno.

Uno dei pezzi fondamentali del cosiddetto G4 (gruppo dei principali partiti anti-chavisti), era apertamente in separazione dalla inattuabile ma inappellabile premessa USA, sulla realizzazione di elezioni in Venezuela una volta “cessata l’usurpazione”.

L’Operazione Gedeon come un colpo sul tavolo

 

La fallita incursione mercenaria, all’inizio del mese, ha evidenziato che il paese ha oggi, più latente che mai, la minaccia di una guerra. Una guerra che sarebbe inoltre mercenaria, non soggetta a controlli politici, accelerante il caos, generatrice di fuoco indiscriminato e lontana dalla tanto desiderata “azione chirurgica” difesa dall’anti-chavismo come formula “idonea” per la cattura del potere.

Questo fattore, sebbene avvicini lo scenario ad un punto pericoloso, pone anche in allerta i politici venezuelani.

Sono gli USA che governano ai propri voleri almeno una parte dell’opposizione ed a spese di questi hanno deciso che l’agenda è bellica. Ciò inabilita tutti gli altri politici venezuelani de facto e li pone al centro dei teatri di operazione.

In altre parole, in un contesto bellico, la politica sarà l’ultimo spazio che, per irrilevanza, sarebbe sopraffatto, quasi completamente, dal vortice del conflitto.

Forse a quel punto sarebbero tardive dichiarazioni e rimpianti. Forse una parte dell’opposizione lo ha già capito.

Recentemente è emerso, nei media USA come Bloomberg, che gruppi dell’opposizione, tra cui Primero Justicia, hanno contattato l’amministrazione Trump, chiedendole di smantellare l’ “agenda Guaidó”.

L’Operazione Gedeon è stata l’apice di una strategia sbagliata ed ora preferisce giocare le sue carte nella politica, probabilmente andando alle elezioni. Non è un segreto per nessuno che Primero Justicia si sia scagliato contro la mediocre Operazione Gedeon ed il suo fatale esito che pesa sulle spalle di tutta l’opposizione; aumentando il suo saldo politico negativo.

L’opposizione non si è trovata in un ridicolo così grande, da quando Leopoldo López e Guaidó hanno albeggiato nell’ Altamira alta, il 30 aprile 2019.

L’Operazione Libertad è finita per essere il più caricaturale golpe fallito di destra nella storia latinoamericana e quasi ha fatto risorgere di risate Augusto Pinochet.

Liberarsi di Guaidó prima che sia troppo tardi

 

Il patto politico ha consentito la ripartizione del G4 della presidenza del parlamento ogni anno, è risultata una fatalità per l’opposizione quando è giunto il turno di Voluntad Popular.

I favoriti di Washington sono saliti al potere a nome di tutto l’anti-chavismo venezuelano ed hanno iniziato ad agire a loro piacimento, con a capo un mediocre che, inoltre, era diretto dal demente Leopoldo López da casa sua. Entrambi, senza la minima autonomia.

Altri erano i tempi in cui Henry Ramos Allup aveva la capacità di governare se stesso ed il suo partito.

Altri erano i tempi in cui un formidabile Henrique Capriles (nonostante le sue esplosioni di “rabbia”) era riuscito a contendere la presidenza a Chávez, essendo il più solido dirigente anti-chavista in 20 anni, senza discussione.

Altri erano i tempi in cui Manuel Rosales, nonostante il suo basso quoziente intellettivo, aveva un partito ed è stato, persino, un candidato alla presidenza.

A cosa sono state ridotte questi obbrobri della politica? Qual è la dimensione del loro spostamento dalla scena nazionale?

Sono pietrificati nell’erratica strategia iniziata nel 2019 e che Trump ha deciso di perpetuare fino ad oggi. Quello di essere sotto la tutela di un idiota ed un demente, che sono capataz (sorveglianti ndt) locali dell’ex direttore della CIA, Mike Pompeo, e dello stesso presidente Trump, il più mediocre che abbia avuto la storia USA.

Dobbiamo chiederci se questo G3 è disposto a perpetuarsi in un prolungato stato di annullamento o se preferiscano invece attendere un conflitto bellico che li annichilisca.

È curioso che la principale fonte che segnala a Guaidó di aver articolato l’Operazione Gedeon, sia Jordan Goudreau, capo della Silvercorp. È curioso che siano i media USA quelli che segnalano Guaidó e gli addossino il grande fallimento mercenario. Di fronte a tali segni di evidente orchestrazione, è ovvio che i nordamericani espongano e sacrifichino Guaidó come artefice di un catastrofico fallimento politico.

O vogliamo credere che Jordan Goudreau possa armare una guerra contro un paese bersaglio del suo governo senza che Washington abbia a che vedere o ignori la situazione? Cosa stanno facendo gli statunitensi?

Rimangono sempre meno dubbi sul fatto che i falchi abbiano bisogno di Guaidó prigioniero o morto e che puntino alla rottura dell’attuale immobilità politica attraverso il fallimento e l’ascesa della guerra. Forse parte dell’ingenuità di alcuni politici dell’opposizione in Venezuela, è quello di assumersi dal “lato giusto” di una guerra e pretendere che risulteranno illesi o che potranno, successivamente, servirsi dei resti di un paese in rovina.

Tale scomoda pietra, imposta, formulata, deliberatamente, come ostacolo, cioè Juan Guaidó, è alla porta di uscita della politica venezuelana. Ma gli manca una spinta. Il suo inesorabile destino è delineato persino dagli stessi statunitensi. Ma l’ideale, anche per lo stesso Guaidó, sarebbe che ricevesse la spinta dalle altre forze dell’opposizione che stanno, proprio ora, vicini allo svanire.

La tragedia della divisione anti-chavista ha convertito alcune forze politiche, un tempo solide, in un chiosco di Wallmart in Venezuela, servito da un giovane con acne con un cromosoma in più. Vedremo se per comune senso politico e per loro stessa natura, possono recuperare il minimo di autonomia e manovrare.

Il fallimento del fronte esterno

 

Il Venezuela si sta convertendo in un pantano politico per la politica dei paesi dell’emisfero occidentale. È stato così dal 2019 e lo schema della presidenza immaginaria di Guaidó ha avuto un livello di esaurimento che è divento, finalmente, inoccultabile.

L’amministrazione Trump ha aggiunto interi paesi a questo circo, incorporando la un tempo fiammante Unione Europea e le repubbliche delle banane del Gruppo di Lima.

Tuttavia, i consensi sembrano rotti su temi specifici riguardanti il ​​Venezuela, il blocco e l’ascesa di una guerra che comprometta la stabilità regionale, sono nodi critici che molti paesi non sottoscrivono in tutto o in parte, poiché non tutti i paesi raggiungono livelli di bassezza, quasi sotterranea, che ha la Colombia.

Chiediamoci quanto cambierebbe il contesto sul fronte esterno se in Venezuela ci fosse un accordo politico tra chavismo+G3+ dissidenza oppositrice, che permetta ridurre il blocco politico ed economico che sta affrontando la nazione. O se l’inarrestabile percorso verso la formazione di un nuovo CNE sia un segnale di “fumata bianca” e che una soluzione politica sia possibile tra venezuelani.

L’inamovibile statunitense per cui solo la partenza di Maduro sia un trionfo per la politica USA, è un pantano fatto su misura dallo stesso Trump e che lo sta affondando.

Come nel caso della diplomazia europea, sempre più incongrua e perdendo spazi di rilevanza proprio per aggiungersi, senza una propria agenda, agli affari interni del Venezuela.

Uscire da questo vicolo cieco è qualcosa che solo i venezuelani possono offrire. A questo punto tutte le strade portano al Venezuela. Magari si avessero più possibilità, ma la realtà è che il paese sta tra l’accordo politico, il blocco perpetuo e la guerra.


Venezuela, el pantano de Trump: ¿qué opciones tiene el país para destrabar el conflicto?

Por Franco Vielma

La encrucijada venezolana, delineada mediante una estrategia de desmantelamiento del poder político nacional orquestada por Washington y replicada por sus vasallos locales en el país, ha estado de forma peligrosa el cuadro político

El advenimiento de la pandemia mundial del Covid-19 ha atrincherado a los factores de la política interna. A la oposición venezolana (a su ala dura) la confinó a las redes sociales y a la arenga desestabilizadora mediante auspicio estadounidense, mientras que el chavismo se ha concentrado en la acción de gobierno para atender la crisis sanitaria.

Por otro lado la fallida Operación Gedeón ha caldeado el escenario interno colocando en desbalance el pulseo político y degradando la política a niveles nunca conocidos en la historia del país.

El contexto interno luce entonces políticamente estancado.

Una parte de la política nacional, el chavismo, se mantiene dentro de los canales políticos mientras que el ala dirigente de la oposición, que funciona como una subsidiaria estadounidense en el país, se deslindó de la política desde hace mucho y contrata empresas mercenarias para precipitar un conflicto armado.

La pregunta que ahora mismo se hace vital radica en: ¿deben darse por perdidas las vías de diálogo o debemos asumir que todavía hay condiciones para ello?

El preámbulo a la actual parálisis

A inicios de este año el ascenso del antichavista Luis Parra a la presidencia del parlamento abrió paso a la reinstitucionalización de la política. Pero su elección fue truncada por Washington, al no reconocerlo y propiciar que sus países vasallos mantuvieran el cerco político.

La apuesta por Guaidó se reeditó nuevamente para este año, dejándolo como un factor incómodo que por defecto inhabilita los canales del diálogo político entre venezolanos.

Para ponerlo en términos triviales, la situación se asemeja a ese cuñado atorrante y pasivo agresivo al cual hay que soportar la noche del 24 de diciembre en la casa familiar de tu pareja.

Aunque Luis Parra se incorporó a la Mesa de Diálogo político conjuntamente con otros factores pequeños de la oposición, o más bien, de la “disidencia opositora” que la integran.

Incluso, luego de que en febrero se hicieran avances entre todas las fracciones del parlamento para crear un Comité de Postulaciones para elegir un nuevo Consejo Nacional Electoral, los avances quedaron en frío, arropados por la coyuntura y por la persistencia de Guaidó, quien no se rige por factores opositores venezolanos sino que obedece sólo a Washington justamente para que obstaculice todo.

Antes de que sobreviniera la pandemia, el chavismo y una parte importante de la oposición habían avanzado en pre-acuerdos bastante significativos para devolver la normalidad política e institucional al país.

Al decretarse la emergencia sanitaria, ambas fuerzas políticas se aproximaron tras bastidores a un consenso político para destrabar el conflicto en función del bien común de atender la emergencia.

La propuesta era ambiciosa.

Proponer una suspensión del bloqueo al país, descongelar cuentas en el extranjero y usar esos recursos para habilitar canales de ayuda y suministros esenciales para la atención de la crisis sanitaria. Esto, mediante la intermediación de instancias humanitarias y organizaciones no gubernamentales desde el extranjero.

En este punto, Guaidó se encargó de anular todo.

Su llamado a un “gobierno de emergencia” significaba emplear la emergencia sanitaria para lograr lo que EEUU y el no lograron en el 2019, atizando un descalabro nacional y la ruptura del orden social para maniobrar la política desde la crisis. Otra forma de intentar desalojar al presidente Nicolás Maduro del poder.

Tal exabrupto que hay que recalcar, no tenía otro objeto que el de inhabilitar las soluciones dialogadas, fueron también una señal de que los consensos en el antichavismo sobre el bloqueo y el entrabe de la política estaban rotos en la oposición.

Acción Democrática mediante su caudillo Henry Ramos Allup, declaró su disposición de ir a elecciones parlamentarias este año.

Una de las piezas fundamentales del llamado G4 (grupo de los principales partidos antichavistas), estaba abiertamente en deslinde de la inviable pero inapelable premisa de EEUU, sobre la realización de elecciones en Venezuela una vez “cese de la usurpación”.

La Operación Gedeón como golpe en la mesa

La fallida incursión mercenaria de principios de mes dejó en relieve que el país tiene hoy más latente que nunca la amenaza de la guerra. Una guerra que sería además, mercenaria, no sujeta a controles políticos, acelerante del caos, generadora de fuego indiscriminado y lejos de la ansiada “acción quirúrgica” defendida por el antichavismo como fórmula “idónea” para la captura del poder.

Este factor, aunque arrima el escenario a un punto peligroso, también pone en alerta a los políticos venezolanos.

Es EEUU el que rige a sus anchas una parte de la oposición y a expensas de ellos han decidido que la agenda es bélica. Ello inhabilita a todos los demás los políticos venezolanos de facto y los coloca en medio de los teatros de operaciones.

En otras palabras, en un contexto bélico la política será el último espacio que, por irrelevancia, sería avasallado casi a totalidad por la vorágine del conflicto.

Quizá en ese punto, serían tardíos los pronunciamientos y los arrepentimientos. Quizá una parte de la oposición ya lo entendió así.

Recientemente trascendió en medios estadounidenses como Bloomberg que grupos de la oposición, entre ellos Primero Justicia, se comunicaron con el gobierno de Trump, pidiéndole que desmantelaran la “agenda Guaidó”.

La Operación Gedeón fue el pináculo de una estrategia errada y ahora prefiere jugar sus cartas en la política, probablemente, acudiendo a elecciones. No es secreto para nadie que Primero Justicia fustigó la mediocre Operación Gedeón y su fatal resultado que pesa sobre los hombros de toda la oposición, incrementando su saldo político negativo.

La oposición no se veía en un ridículo tan grande, desde que Leopoldo López y Guaidó amanecieron en el elevado Altamira el 30 de abril de 2019.

La Operación Libertad terminó siendo el más caricaturesco golpe fallido de derecha en la historia latinoamericana, y casi hizo resucitar de risa al mismo Augusto Pinochet.

Salir de Guaidó antes que sea demasiado tarde

El pacto político que permitió la repartija del G4 de la presidencia del parlamento cada año, resultó en una fatalidad para la oposición cuando llegó el turno de Voluntad Popular.

Los favoritos de Washington se alzaron con el poder a nombre de todo el antichavismo venezolano y comenzaron a actuar a sus anchas, con un mediocre al frente que además era dirigido por el demente de Leopoldo López desde su casa. Ambos, sin la más mínima autonomía.

Otros fueron los tiempos en que Henry Ramos Allup tenía capacidad de gobernarse a sí mismo y a su partido.

Otros fueron los tiempos en que un formidable Henrique Capriles (pese a sus arranques de “arrechera”) logró disputarle la presidencia a Chávez, siendo el más sólido líder antichavista que hubo en 20 años, sin discusiones.

Otros fueron los tiempos en que Manuel Rosales, pese a su bajo coeficiente intelectual, tuvo un partido y hasta fue candidato presidencial.

¿A qué quedaron reducidos esos esperpentos de la política? ¿Cuál es la dimensión de su desplazamiento de la escena nacional?

Están petrificados en la errática estrategia que inició en 2019 y que Trump decidió perpetuar hasta hoy. El de estar bajo la tutela de un idiota y un demente, que son capataces locales del ex director de la CIA Mike Pompeo y del propio presidente Trump, el más mediocre que ha habido en la historia estadounidense.

Debemos preguntarnos si ese G3 está dispuesto a perpetuarse en un estado prolongado de anulación o si prefieren en cambio esperar un conflicto bélico que los aniquile.

Es curioso que la principal fuente que señala a Guaidó de haber articulado la Operación Gedeón, sea Jordan Goudreau, jefe de Silvercorp. Qué curioso que son los medios estadounidenses los que señalan a Guaidó y le endosan el gran fracaso mercenario. Ante tales signos de evidente orquestación es obvio que los norteamericanos exponen y sacrifican a Guaidó como artífice de un catastrófico fracaso político.

¿O es que vamos a creer que Jordan Goudreau puede armar una guerra contra un país objetivo de su gobierno sin que Washington tenga que ver o desconozca la situación?

¿Qué están haciendo los estadounidenses?

Quedan cada vez menos dudas de que los halcones necesitan a Guaidó preso o muerto, y que apuntan a la ruptura de la inamovilidad política actual mediante el descalabro y el auge de la guerra. Quizá parte de la ingenuidad de algunos políticos opositores en Venezuela, es asumirse del “lado correcto” de una guerra y pretender que resultarán ilesos, o que podrían luego servirse de los restos de un país en ruinas.

Esa piedra incómoda, impuesta, formulada deliberadamente como estorbo, es decir, Juan Guaidó, está en la puerta de salida de la política venezolana. Pero le falta un empujón. Su destino inexorable está delineado hasta por los propios estadounidenses. Pero lo ideal, incluso para el mismo Guaidó, sería que recibiera el empujón de las otras fuerzas de la oposición que están justo ahora cerca de desvanecerse.

La tragedia de la división antichavista convirtió a unas fuerzas políticas antes sólidas en una kiosko de Wallmart en Venezuela atendido por un joven con acné con un cromosoma demás. Veremos si por sentido común político y naturaleza propia de ellas, pueden recuperar el mínimo de autonomía y maniobrar.

El descalabro del frente externo

Venezuela se está convirtiendo en un pantano político para la política de los países en el hemisferio occidental. Lo ha sido así desde 2019 y el esquema de la presidencia imaginaria de Guaidó tuvo un nivel de agotamiento que se hizo finalmente inocultable.

La Administración Trump ha sumado a países enteros en este circo, incorporando a la otrora flamante Unión Europea y a las repúblicas bananeras el Grupo de Lima.

Sin embargo, los consensos parecen rotos en temas puntuales sobre Venezuela, el bloqueo y el auge de una guerra que comprometa la estabilidad regional, son nudos críticos que muchos países no suscriben total o parcialmente, pues no todos los países llegan a los niveles de bajeza casi subterránea que sí tiene Colombia.

Preguntémonos qué tanto cambiaría el contexto en el frente externo si en Venezuela hubiera un acuerdo político del chavismo + G3 + disidencia opositora, que permita desescalar el bloqueo político y económico que lidia la nación. O si la vía indetenible a la conformación de un nuevo CNE sea señal de “humo blanco” y de que una solución política es posible entre venezolanos.

El inamovible estadounidense de que sólo la salida de Maduro es un triunfo para la política estadounidense, es un pantano hecho a medida por el propio Trump y que lo está hundiendo.

Tal cual ocurre con la diplomacia europea, cada vez más incongruente y perdiendo espacios de relevancia precisamente por sumarse, sin agenda propia, en los asuntos internos de Venezuela.

Salir de este estancamiento es algo que sólo pueden ofrecer los venezolanos. En este punto todos los caminos conducen a Venezuela. Ojalá hubiera más posibilidades, pero la realidad es que el país está entre el acuerdo político, el bloqueo perpetuo y la guerra.

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