Il blocco cerca di costruire una crisi alimentare in Venezuela

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Come ampiamente affermato nel 2017 di fronte alla formalizzazione del blocco economico del Venezuela da parte degli USA, la sua portata reale è sempre più a lungo respiro e, nel 2020, la sua notorietà è sempre più indiscussa. Il suo impatto ricade concretamente sulla popolazione in uno spettro sempre più diversificato.

In allusione ad una frase, poiché si tratta della guerra con altri mezzi, un blocco “si sa come inizia, ma non come finisce”.

Neppure si sa cosa inneschi durante quel transito, ma noi venezuelani stiamo iniziando a conoscerlo.

Recentemente hanno avuto rilevanza le pietre miliari del soffocamento economico del paese. In particolare negli schermi televisivi di milioni di famiglie venezuelane, il 45% di queste sfruttano della TV in abbonamento, ha avuto luogo il ritiro del segnale dalla piattaforma DirecTV per azione impressa dalla società transnazionale AT&T, in conformità con le “sanzioni” USA contro il Venezuela. Le reali sanzionate sono state le famiglie venezuelane che, in conformità con la quarantena per il Covid-19, sono rimaste senza segnale televisivo.

E’ palpabile anche il deterioramento delle capacità di raffinazione del greggio, in Venezuela, dal momento che il divieto di accesso a pezzi di ricambio, forniture e tecnologie mediante il blocco di PDVSA ha prodotto una diminuzione della produzione nazionale di benzina, danneggiando in modo significativo l’intera gamma del trasporto via terra ed attività connesse.

Tuttavia, il paese sta affrontando un imminente allarme nella materia più sensibile di tutte, l’alimentare, che è stato altalenante negli ultimi anni a causa della profondità del conflitto e della destabilizzazione economica nazionale, e ora potrebbe esserlo di nuovo a causa delle concrete devastazioni del blocco, che cercano di incamminare il paese verso un punto di rottura.

Il blocco mirato allo stato venezuelano

 

Dal 2017, gli ordini esecutivi dell’amministrazione Trump hanno espressamente previsto l’espulsione dello stato venezuelano dal sistema finanziario internazionale. Il congelamento dei conti, il blocco dei conti, l’impossibilità di effettuare pagamenti e persino la ritenzione di risorse nazionali in banche estere sono stati il ​​punto di partenza di un’escalation che ha vietato al governo Nicolás Maduro l’attività commerciale in vari rami.

Sebbene detti ordini esecutivi, in teoria, esentino i rami alimentari dal blocco, in realtà lo stato venezuelano non ha possibilità di acquistare, per vie regolari, alimenti nella regione ed in molti altri paesi, poiché il veto finanziario si applica alla non permissività di ogni relazione, di qualsiasi entità finanziaria, con lo stato venezuelano.

L’importazione di alimenti, merci, forniture ed attrezzature, che storicamente ha effettuato lo stato venezuelano, va ad una vasta gamma di settori. I Comitati Locali di Approvvigionamento e Produzione (CLAP), che continuano con le importazioni e sostegno di paesi alleati, fanno arrivare alimenti direttamente alle famiglie in modo intermittente; sebbene sia il progetto bandiera del governo chavista, non è l’unico punto alla portata della sua politica alimentare.

Questa si è anche sviluppata mediante l’importazione di semi, prodotti chimici per l’agricoltura, macchinari e simili, che sono state date alle reti di produzione statali, associative e private. È stato così per anni e ora lo stato venezuelano ha perso quel potere, togliendo dall’offerta di questi beni un insieme importante di essi.

Il risultato è la continua degradazione della produzione nazionale di alimenti, essendo principalmente danneggiati piccoli e medi produttori, baluardi della produzione nazionale come alternativa concreta e praticabile per superare le forme di boicottaggio commerciale.

Il soffocamento delle esportazioni di petrolio del paese ha anche indebolito la capacità dello Stato di finanziare l’attività agricola e zootecnica. Con pochi dollari e sommata alla scarsa capacità di dotare, questi settori, di beni ed input, il risultato è l’aumento dei costi di produzione.

L’attività agricola si sostiene mediante prestiti tra privati (che sono in dollari) e mediante i beni ed input importati che arrivano a prezzi in valuta USA.

Detto in altre parole: il blocco ha contribuito enormemente al declino di tutte le forme di sussidio indiretto ai costi, finanziamento e sostegno, come era stato regolarmente.

Anche il settore privato lotta contro il blocco

 

Sulla caduta della rotazione dei beni ed input per la produzione agricola, recentemente il presidente della federazione delle imprese private del settore agricolo, Fedeagro, sign. Aquiles Hopkins, ha segnalato che il Venezuela non ha le risorse per la produzione di alimenti.

Hopkins ha indicato che il ridotto accesso ai fertilizzanti ed ai semi che sono giunti al paese è possibile grazie allo “sforzo del settore privato”. Questo è un riferimento al deterioramento delle capacità dello stato venezuelano nel dare contributi al settore, come ha fatto storicamente.

“Il Venezuela non ha seminato 900.000 ettari di mais. Non ci sono sementi. Non ci sono prodotti chimici per l’agricoltura. Non ci sono aratri né trattori per seminare il raccolto”, ha detto Hopkins.

Il portavoce di queste società private ha assicurato che stanno coprendo solo una percentuale molto bassa della domanda.

“Questa politica ci ha fatto perdere, oggi possiamo rispondere a malapena del 20% dell’approvvigionamento”, ha indicato.

L’altra parte del consumo venezuelano è coperta dal settore privato, che acquista alimenti e forniture in dollari sul mercato internazionale per importarlo in Venezuela.

Il complicato percorso dell’economia importatrice venezuelana consiste in un’alta domanda di valuta estera che oggi lo stato venezuelano non fornisce a causa del suo divieto alle esportazioni di greggio, un’altra variante concreta del blocco.

A causa della mancanza di dollari che non stanno più circolando e per la dipendenza dalle importazioni private, s’innesca l’escalation dei prezzi dei prodotti davanti all’aumento del prezzo del dollaro; i prodotti alimentari importati e i costi di produzione nazionali si rincarano, poiché i loro costi sono tabulati in dollari.

Di recente, ed in un altro intervento, il presidente di Fedeagro ha assicurato che gli agricoltori stanno perdendo il raccolto ed è difficile, per loro, seminare per la carenza di benzina nel paese.

Hopkins ha avvertito di un’eventuale carenza di prodotti agricoli per circa sei mesi, data la difficoltà che gli agricoltori stanno avendo per seminare. Ha commentato che la semina potrebbe essere del 15%.

“Oggi stiamo consumando ciò che è stato seminato tre e sei mesi fa. Ma tra sei mesi consumeremo ciò che deve essere seminato ora. Deve iniziare in questo momento il ciclo di semina più importante dell’anno per l’inverno e l’inizio delle piogge e siamo molto in ritardo perché non abbiamo carburante per andare sino alle unità di produzione, né abbastanza diesel per i camion. Ciò si tradurrà in carenza di cibo per i prossimi mesi”, ha detto.

Ha anche avvertito che a causa della carenza di carburante, i produttori stanno segnalando perdite di frutta e verdura: “Stanno perdendo i raccolti e non c’è modo di seminare nuovamente questa terra. I produttori di latte non possono trasportare il prodotto per mancanza di benzina e la macellazione del bestiame ha avuto alti e bassi, a seconda della fornitura di carburante”, ha detto.

È evidente, a questo punto, che il blocco alle raffinerie venezuelane di acquisire pezzi di ricambio (dato che le raffinerie nazionali sono eredità tecnologica USA) va ben oltre PDVSA. L’onda espansiva del blocco copre tutti i servizi collegati al sistema di trasporto terrestre nazionale.

Il Venezuela dipende inoltre, in particolare, da colture meccanizzate come mais e riso, che ovviamente dipendono da macchinari importati e carburante nazionale.

Lo scenario a medio termine

 

Il Venezuela ha la buona notizia che, grazie al sostegno iraniano, la produzione e distribuzione di carburanti tenderanno a regolarizzarsi, tuttavia, il paese sta affrontando un ritardo dei suoi sistemi di produzione di fronte alla stagione delle piogge, che è il periodo dove viene seminato il 70% dei beni consumabili destinati al consumo nazionale, il che impone una corsa contro il tempo.

L’importazione di input ed alimenti da parte del settore privato, in termini di prezzi in dollari, continuerà a perforare le possibilità di stabilità dei prezzi nel paese a scapito dei consumatori.

I segni evidenti del raggio espansivo del blocco rivelano il fatto che, ciò che c’è in Venezuela, è il tentativo di costruire una carestia come meccanismo, ora ripreso, per cercare, di nuovo, di degradare la nazione per inedia e facilitare, con ciò, il soggiogamento del paese sotto meccanismi di coercizione finanziaria, economica e commerciale.

Non è inutile ricalcare che lo stato di assedio dell’economia venezuelana acquisisce sempre più la categoria di crimine contro l’umanità, essendo il governo USA come principale carnefice.


El bloqueo intenta construir una crisis alimentaria en Venezuela

Tal como fue ampliamente afirmado en 2017 ante la formalización del bloqueo económico de Venezuela por parte de Estados unidos, sus alcances reales son cada vez de más largo aliento y al año 2020 su notoriedad es cada vez más indiscutida. Su impacto recae concretamente sobre la población en un espectro cada vez más diversificado.

En alusión a una frase, pues se trata de la guerra por otros medios, un bloqueo “se sabe cómo inicia, pero no cómo termina”.

Tampoco se sabe qué desencadena durante ese tránsito, pero los venezolanos estamos empezando a conocerlo.

Recientemente han tenido relevancia los hitos de la asfixia económica al país. Particularmente en las pantallas televisivas de millones de familias venezolanas, el 45% de quienes gozan de TV por suscripción, tuvo lugar el retiro de la señal de la plataforma DirecTV por acción empresa de la transnacional AT&T en apego a las “sanciones” de Estados Unidos contra Venezuela. Los sancionados concretos han sido las familias venezolanas que en cumplimiento de la cuarentena por el Covid-19 se quedaron sin señal televisiva.

También es palpable el deterioro de las capacidades de refinación de crudo en Venezuela, pues el veto al acceso a repuestos, insumos y tecnologías mediante el bloqueo a PDVSA, ha producido una merma en la producción nacional de gasolina, afectando significativamente toda la amplia gama del transporte terrestre y sus actividades conexas.

Sin embargo, el país está frente a una alerta inminente en la materia más sensible de todas, la alimentaria, la cual ha estado en altibajos en los últimos años por la profundidad del conflicto y desestabilización económica nacional, y ahora podría estarlo nuevamente por los estragos concretos del bloqueo, que pretenden encaminar al país a un punto de quiebre.

El bloqueo focalizado al estado venezolano

Desde 2017 las órdenes ejecutivas de la Administración Trump han previsto de manera expresa la expulsión del estado venezolano del sistema financiero internacional. El congelamiento de cuentas, bloqueo de cuentas, imposibilidad de efectuar pagos e incluso la retención de los haberes nacionales en bancos extranjeros, fueron el punto de inicio de una escalada que vetó al gobierno de Nicolás Maduro de la actividad comercial en diversos ramos.

Aunque dichas órdenes ejecutivas, en teoría, eximen a los ramos alimentarios del bloqueo, en el hecho el estado venezolano no tiene posibilidades de adquirir por vías regulares alimentos en la región y muchos otros países, pues el veto financiero aplica en la no permisividad de toda relación de cualquier ente financiero con el estado venezolano.

La importación de alimentos, bienes, insumos y equipos, que históricamente ha efectuado el estado venezolano, va a una amplia gama de sectores. Los Comités Locales de Abastecimiento y Producción (CLAP), que continúan con importaciones y apoyo de países aliados, hacen llegar alimentos directamente a las familias intermitentemente; si bien es el proyecto bandera del gobierno chavista, no es el único punto de alcance de su política alimentaria.

Esta también se ha desarrollado mediante la importación de semillas, agroquímicos, maquinaria y afines, que han dado a las redes de producción estatal, asociativas y privadas. Ha sido así durante años y ahora el estado venezolano ha perdido esa facultad, sacando de la oferta de estos bienes un conjunto importante de ellos.

El resultado es la degradación continua de la producción nacional de alimentos, siendo perjudicados principalmente pequeños y medianos productores, baluartes de la producción nacional como alternativa concreta y viable para superar las formas de boicot comercial.

La asfixia a las exportaciones petroleras del país también ha debilitado la capacidad del estado para financiar la actividad agrícola y pecuaria. Con pocos dólares y aunado a la poca capacidad de dotar a estos sectores con bienes e insumos, el resultado es el aumento de los costos de producción.

La actividad agrícola se sostiene mediante préstamos entre particulares (que están dolarizados) y mediante los bienes e insumos importados que llegan a precios en moneda estadounidense.

Dicho de otra forma: el bloqueo ha contribuido enormemente a que decaigan todas las modalidades de subsidio indirecto a los costos, financiamiento y apoyo, como había sido regularmente.

El sector privado también lidia con el bloqueo

Sobre la caída en la rotación de bienes e insumos para la producción agrícola, recientemente el presidente de la federación de empresas privadas del ramo agrícola, Fedeagro, el señor Aquiles Hopkins, señaló que Venezuela no tiene los recursos para la producción de alimentos.

Hopkins indicó que el menguado acceso a los fertilizantes y las semillas que han llegado al país es posible por “el esfuerzo del sector privado”. Esta es una referencia al deterioro de las capacidades del estado venezolano en efectuar aportes al sector, como históricamente lo ha hecho.

“Venezuela no ha sembrado 900 mil hectáreas de maíz. No hay semillas. No hay agroquímicos. No hay gandolas ni tractores para sembrar la cosecha”, subrayó Hopkins.

El vocero de estas empresas privadas aseguró que solo están cubriendo un porcentaje muy bajo de la demanda.

“Esta política nos ha hecho perder, hoy en día podemos atender escasamente el 20% del abastecimiento”, indicó.

La otra parte del consumo venezolano es cubierto por el sector privado, el cual adquiere alimentos e insumos en dólares en el mercado internacional para importar a Venezuela.

El complicado tránsito de la economía importadora venezolana reviste en una alta demanda de divisas que hoy no aporta el estado venezolano por su veto a las exportaciones de crudo, otra variante concreta del bloqueo.

Por esa falta de dólares que ya no están circulando y por la dependencia a las importaciones privadas, se desencadena la escalada de precios de los productos ante la subida del precio del dólar; los alimentos importados y costos de producción nacional se encarecen, pues sus costos están tabulados en dólares.

Recientemente, y en otra intervención, el presidente de Fedeagro aseguró que los productores del campo están perdiendo la cosecha y se les dificulta sembrar por la escasez de gasolina en el país.

Hopkins alertó sobre una eventual escasez de productos agrícolas en unos seis meses dada la dificultad que están teniendo los productores del campo para sembrar. Comentó que la siembra podría ubicarse en un 15%.

“Hoy estamos consumiendo lo que se sembró hace tres y seis meses. Pero en seis meses vamos a consumir lo que se debe estar sembrando ahora. Debe estar iniciando en estos momentos el ciclo de siembra más importante del año por el invierno y el inicio de las lluvias y estamos muy retrasados porque no tenemos combustible para ir hasta las unidades de producción, ni suficiente diésel para los camiones. Esto se traducirá en escasez de alimentos para los próximos meses”, manifestó.

Alertó además que por la escasez de combustible los productores están reportando pérdidas de frutas y hortalizas: “Están perdiendo las cosechas y no hay forma de volver a sembrar esta tierra. Los productores de leche no pueden transportar el producto por falta de gasolina y la matanza de ganados ha tenido altas y bajas, dependiendo de la oferta del combustible”, señaló.

Queda en evidencia, en este punto, que el bloqueo a las refinerías venezolanas para adquirir repuestos (dado que las refinerías nacionales son herencia tecnológica estadounidense) se extiende mucho más allá de PDVSA. La onda expansiva del bloqueo abarca todos los servicios vinculados al sistema de transporte terrestre nacional.

Venezuela es, además, particularmente dependiente de los cultivos mecanizados como el maíz y el arroz, que por supuesto dependen de maquinaria importada y combustible nacional.

El escenario al mediano plazo

Venezuela tiene la buena noticia de que, gracias al apoyo iraní, la producción y distribución de combustibles tendrá tendencia a regularizarse, sin embargo, el país lidia con un atraso de sus sistemas de producción de cara al ciclo de lluvias, el cual es el período donde se siembra el 70% de los bienes perecederos de consumo nacional, lo cual impone una carrera contra el tiempo.

La importación de insumos y alimentos por parte del sector privado, en términos de precios dolarizados, seguirá perforando las posibilidades de estabilidad de precios en el país en detrimento de los consumidores.

Los signos evidentes del radio expansivo del bloqueo dejan expuesto el hecho de que, lo que hay en Venezuela, es el intento de construir una hambruna como mecanismo, ahora retomado, para intentar nuevamente degradar a la nación por inanición y facilitar con ello el avasallamiento del país bajo mecanismos de coerción financiera, económica y comercial.

No está demás recalcar que el estado de sitio a la economía venezolana adquiere cada vez más la categoría de crimen de lesa humanidad, siendo el gobierno estadounidense el principal victimario.

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