Il calore dell’estate e dei dottori che ci sono

Sebbene l’estate renda le persone più estroverse, l’opinione su Cuba ha iniziato a formarsi una mattina di primavera, in cui un gruppo di medici ed infermieri dell’isola è entrato, per la prima volta, nella zona rossa

Enrique Ubieta Gómez  www.granma.cu

Non deve essere facile seguire una conversazione al tavolo in casa del dott. Jaime Zayas Monteaugut, specialista in medicina interna, con un diploma in terapia intensiva.

Anche suo suocero e sua moglie sono medici e uno dei suoi figli è al quinto anno della facoltà di medicina. Non è un caso che la ragazzina di 13 anni affermi di voler fare la neurologa e spiega perché: in una serie giapponese ha visto un caso “molto interessante” di un paziente con “sclerosi laterale amiotrofica” e lei, ovviamente, ne scoprirà le cause.

Nella casa c’è una mensola che ospita solo libri di medicina. Ma “non vogliamo forzare la minore, la madre ed io ne abbiamo parlato”, dice. Jaime ha compiuto 48 anni alcuni giorni fa. Originario di La Maya e residente a Santiago de Cuba, lavora all’ospedale Juan Bruno Zayas. Ha conosciuto sua moglie durante il corso universitario e si sono fidanzati al 5 anno, all’età che ora ha il futuro nuovo medico di casa.

Lei è specialista in medicina generale integrale (MGI), con numerosi diplomi, professoressa e metodologa presso la facoltà di medicina dell’Università. Per tutta la vita si è dedicata all’insegnamento ed ai due figli che hanno in comune.

Jaime è stata per due periodi quasi continui in Venezuela, dal 2009 al 2013, nello stato di Miranda, e poi per 15 mesi nell’ospedale Mariara, dal 2014 al 2015. Ha dovuto lottare sola con il ragazzo in piena adolescenza.

La figura femminile ha anche significato molto nella sua vita: «Mio padre era un camionista e mia madre era casalinga. In pieno periodo speciale, negli anni ’90, sono diventato medico, grazie a mia madre, perché mio padre era già morto, e lei era tutto: mamma, papà, fonte di reddito, ispirazione … Devo molto a mia madre. Sono il suo riflesso e ne sono molto orgoglioso».

Ma questo uomo premuroso, pacato, nobile ha un figlio maggiore, 31 anni, ed una nipote, dal suo primo matrimonio, “Allora avevo 17 anni, immagina”. Anche di loro sono orgoglioso. Quel figlio è informatico e vive nella sua città natale, La Maya, molto vicino alla casa di sua madre (sua nonna).

Sulla sua esperienza a Torino mi dice: «La tecnologia è molto buona, rende le cose più facili, ma ti allontana un pò dal paziente. Un computer da un ufficio, anche quando ha tutte le informazioni, non sostituisce ciò che è possibile percepire insieme al paziente, toccandolo, esaminandolo, controllando ciò che la macchina sta dicendo. Siamo abituati a prenderci cura di malati e non di malattie”.

Ha assistito nel parco Dora (la vecchia Fonderia dell’Acciaio), all’inaugurazione di un murale dedicato alla solidarietà cubana, le cui prime pennellate le abbiamo visto dare, casualmente, in una precedente visita.

Sono ragazzi molto giovani, alcuni persino della scuola media. Tutti indossano maglie nere. Sono in fila in silenzio, immobili per alcuni minuti davanti al murale, e sostengono le bandiere delle tre organizzazioni a cui appartengono, la bandiera cubana ed i manifesti che si alternano a due messaggi: “Rompere il blocco” e “Nobel per la Pace alla Brigata Henry Reeve ».

Il murale è bellissimo: oltre alla bandiera cubana e quella del 26 Luglio, ci sono volti di dottori con le loro mascherine. Al centro: Fidel. in alto, da una parte all’altra la frase “Medici e non bombe”. Sotto, più piccolo: “Patria é Umanità” e “Grazie Cuba”.

LE OPINIONI DEI MEDICI ITALIANI

Almeno dieci giovanissimi dottori lavorano in ospedale. Hanno firmato un contratto di due mesi, che scade questa settimana, e non vi è alcuna indicazione che verrà rinnovato. “In effetti, non abbiamo distribuito i turni della prossima settimana”, afferma Humberto, 25 anni, che parla spagnolo, perché ha svolto la pratica docente in Spagna.

“Se non rinnovano il contratto, la maggior parte di noi cercherà di superare l’esame che ci consente di iniziare gli studi in una specialità e dovremo rimanere a casa per studiare” – quella che sta parlando ora è Paula, della stessa età, che viene da Lecce, nel sud dell’Italia.

“Quell’esame” -continua- “che di solito è a luglio (non sappiamo cosa accadrà quest’anno) è superato da uno su due studenti, ci sono pochissimi posti. E se non hai una specialità, qui di solito trovi solo lavori temporanei, sostituiscono qualcuno nella struttura privata o nei laboratori del sangue, e non è quello che vogliamo”.

Voglio sapere come va la relazione con i medici cubani. “Apprezzo quello che fanno” -dice rapidamente Paula- “perché ne abbiamo davvero bisogno. Avere specialisti come loro, con esperienza, ci dà molta fiducia».

«All’inizio la difficoltà maggiore era la lingua -considera Humberto-, ma in seguito mi sono reso conto che senza parlare (ora parlano di più), solo con le mani, parlando con il corpo, trasmettono umanità al paziente. Non sai quanto lo apprezzino nei messaggi che lasciano quando escono».

Federico, 33 anni, due anni e mezzo di esperienza, giocatore di baseball, sottolinea: “Lavorare qui è molto stressante …, ma lavorare con persone di tale esperienza e umiltà ci ispira coraggio”.

“Lavorate con gioia, e questo è importante”, aggiunge Paula, che viene dal sud, e ride: “Voglio evidenziare il lavoro degli epidemiologi, perché hanno un’enorme pazienza, specialmente con me”.

“Ognuno rispetta il suo lavoro”, spiega Humberto. Dal dermatologo all’epidemiologo, ognuno sa cosa fare e gli altri lo rispettano. L’Albero all’esterno, con i suoi nastri bianchi, è la prova che funziona, giusto?

Ma Paula riassume tutto così: “Ho imparato di più in questa esperienza che in qualsiasi altra durante gli anni della mia carriera”.

E’ ARRIVATA L’ESTATE?

La domanda sorge inudibile, perché non la ascolti il Dio del tempo e non si penta. A Crema siamo stati cotti a fuoco lento in Piazza del Duomo, durante la cerimonia d’addio della brigata medica lombarda (la nostra è quella piemontese), avvenuta tra le 11 e le 13. Il sole, perpendicolare, ci ha fatto sentire a Cuba. Ma il clima a Torino, a 400 metri sul livello del mare, è meno caldo. Tuttavia, dicono che il mese di agosto sia soffocante.

La città, circondata dalle Alpi, arde. Per la buona salute del popolo italiano, speriamo di essere a casa, insieme alle nostre famiglie. La verità è che il cappotto non è più essenziale. Le albe e le notti sono leggermente fredde, ma il giorno si apre e nel pomeriggio le maniche lunghe sono superflue.

La gente indossa i propri abiti estivi con la stessa ansia che noi gli abiti invernali. Un solo raggio di sole è sufficiente affinché appaiano sui balconi e si spalmino creme protettive. Sono apparse anche le lenzuola bianche e abiti colorati, appesi sui balconi. Suppongo che ci siano essiccatori automatici, ma sebbene Torino non sia Napoli, nulla uguaglia il millenario effetto solare su vestiti e sullo spirito. Questa domenica, tuttavia, la televisione italiana ha trasmesso immagini preoccupanti: centinaia di persone, senza mascherina, si sono ammassate nei parchi. È istintivo, un atto di liberazione, che collega l’arrivo dell’estate con l’abolizione della quarantena in casa.

L’ospedale covid-ogr è stato un clamoroso successo, il suo stile multidisciplinare non è comune in Italia. Ogni pomeriggio, verso le due, ci sono vere sessioni scientifiche.

I principali specialisti italiani e cubani si riuniscono per analizzare i casi più complessi. I cubani si sono guadagnati rispetto in quei dibattiti e le loro opinioni danno il segno. Il Dr. Julio Guerra -che il 26 maggio, diciamolo, ha compiuto 43 anni- è entusiasta di parlare dei casi discussi, “molto positivi”, a volte dice, e dimentica che non sono un dottore. La verità è che oggi,di fronte all’evidente miglioramento di una donna di 94 anni, in base ai criteri clinici di Julio, il Dr. Alessandro Martini, che è il direttore clinico e conduce le sessioni, ha espresso con emozione (le emozioni non sono considerate scientifiche): «voi diagnosticate con poche risorse, sono molto esatte, molto precise. La medicina cubana è più precisa della nostra e quella che insegnano è migliore di quella che insegniamo nelle nostre università. Risolvono problemi con poche risorse, pensano, usano gli elementi clinici per diagnosticare e lo fanno in modo accurato, senza necessità di ulteriori analisi. Nel mio ospedale di origine, avremmo consumato un arsenale di risorse ed il risultato non sarebbe stato migliore.

Sebbene l’estate renda le persone più estroverse, penso che tle opinione abbia iniziato a formarsi una mattina di primavera quando un gruppo di medici ed infermieri cubani (e Julio con loro) sono entrati, per la prima volta, nella zona rossa.


La calidez del verano y de los médicos que están

Aunque el verano hace que las personas sean más extrovertidas, la opinión sobre Cuba empezó a formarse una mañana de primavera, en la que un grupo de médicos y enfermeros de la Isla entró, por primera vez, a la zona roja

Autor: Enrique Ubieta Gómez

No debe resultar fácil seguir una conversación de sobremesa en el hogar del doctor Jaime Zayas Monteaugut, especialista en Medicina Interna, con un diplomado en Cuidados Intensivos.

Su suegro y su esposa también son médicos y uno de sus hijos cursa el 5to. año de la carrera de Medicina. No es casual que la niña, con 13 años, diga que quiere ser neuróloga y explique por qué: en una serie japonesa vio un «interesantísimo» caso de un paciente con «esclerosis lateral amiotrófica» y ella, claro, descubrirá sus causas.

En la casa hay un anaquel que solo alberga libros de Medicina. Pero «no queremos forzar a la menor, la mamá y yo hemos hablado del tema», dice. Jaime cumplió hace algunos días 48 años. Natural de La Maya y residente en Santiago de Cuba, trabaja en el hospital Juan Bruno Zayas. Conoció a su esposa durante la carrera, y se hicieron novios en 5to. año, a la edad que ahora tiene el futuro nuevo médico de la casa.

Ella es especialista en Medicina General Integral (MGI), con varios diplomados, profesora y metodóloga de la Facultad de Medicina de la Universidad. Toda su vida la ha dedicado a la docencia, y a los dos hijos que tienen en común.

Jaime estuvo por dos periodos casi seguidos en Venezuela, de 2009 a 2013, en el estado de Miranda, y luego durante 15 meses en el hospital de Mariara, de 2014 a 2015. Ella tuvo que lidiar sola con el muchacho en plena adolescencia.

La figura femenina también significó mucho en su propia vida: «Mi padre era chofer de rastras, y mi mamá ama de casa. En pleno periodo especial, en los 90, me hice médico, gracias a mi mamá, porque ya mi papá había fallecido, y ella lo fue todo: mamá, papá, fuente de ingresos, inspiración… Le debo mucho a mi mamá. Yo soy su reflejo, y de eso me siento muy orgulloso».

Pero este hombre reflexivo, pausado, noble, tiene un hijo mayor, de 31 años y una nieta, de su primer matrimonio, «yo tenía entonces 17 años, imagínate». También de ellos está orgulloso. Ese hijo es informático y vive en su pueblo natal, La Maya, muy cerca de la casa de su mamá (de su abuela).

Sobre su experiencia en Turín me comenta: «La tecnología es muy buena, facilita las cosas, pero te aleja un poco del paciente. Una computadora desde una oficina, aun cuando tenga toda la información, no sustituye lo que puedas percibir junto al paciente, tocándolo, examinándolo, comprobando en él lo que la máquina está diciendo. Estamos adaptados a atender a enfermos y no enfermedades».

Asisto en el Parque Dora (la antigua Fundición de Acero) a la inauguración de un mural dedicado a la solidaridad médica cubana, cuyos primeros brochazos vimos dar, de forma casual, en una visita anterior.

Son muchachos muy jóvenes, algunos incluso de la enseñanza media. Todos llevan pulóveres negros. Están formados en silencio, inmóviles por unos minutos frente al mural, y sostienen las banderolas de las tres organizaciones a las que pertenecen, la bandera cubana y carteles que se alternan con dos mensajes: «Rompere il bloqueo» y «Nobel per la Pace alla Brigata Henry Reeve».

El mural es hermoso: además de la bandera cubana y la del 26 de Julio, hay rostros de médicos con sus nasobucos. En el centro: Fidel. Arriba, de un lado al otro la frase «Médicos y no bombas». Abajo, más pequeño: «Patria é Umanitá» y «Grazie Cuba».

LAS OPINIONES DE LOS MÉDICOS ITALIANOS

En el hospital trabajan al menos diez médicos muy jóvenes. Firmaron un contrato por dos meses, que vence esta semana, y no hay indicios de que será renovado. «De hecho no tenemos distribuidos los turnos de la semana que viene», me dice Humberto, de 25 años, que habla español, porque la práctica docente la realizó en España.

«Si no renuevan el contrato, la mayoría de nosotros intentará pasar el examen que nos permita iniciar los estudios de una especialidad y tendremos que quedarnos en casa para estudiar» –la que habla ahora es Paula, de la misma edad, que viene de Lecce, en el sur de Italia.

«Ese examen –continúa–, que usualmente es en julio (no sabemos qué pasará este año) lo aprueba uno de cada dos estudiantes, hay muy pocas plazas. Y si no tienes una especialidad, usualmente aquí encuentras solo trabajos provisionales, sustituyendo a alguien en la estructura privada o en laboratorios de sangre, y no es lo que queremos».

Quiero saber cómo transcurre la relación con los médicos cubanos. «Agradezco lo que hacen –dice rápidamente Paula–, porque lo necesitamos de verdad. Tener a especialistas como ellos, con experiencia, nos da mucha confianza».

«Al inicio la dificultad mayor era con el idioma –considera Humberto–, pero después me percaté, de que sin hablar (ahora hablan más), solo con las manos, hablando con el cuerpo, transmiten humanidad al paciente. No sabes cuánto lo agradecen ellos en los mensajes que dejan al salir».

Federico, de 33 años, y dos y medio de experiencia, jugador de béisbol, apunta: «El trabajo aquí es muy estresante…, pero trabajar con gente de tanta experiencia y humildad nos inspira coraje».

«Ustedes trabajan con alegría, y eso es importante», añade Paula, la que viene del sur, y ríe: «Quiero destacar la labor de los epidemiólogos, porque tienen una paciencia tremenda, sobre todo conmigo».

«Cada uno respeta su trabajo –explica Humberto–. Desde el dermatólogo hasta el epidemiólogo, cada uno sabe lo que tiene que hacer y los demás lo respetan por eso. El Árbol afuera, con sus cintas blancas es la demostración de que funciona, ¿no?».

Pero Paula lo resume todo así: «Yo he aprendido más en esta experiencia que en cualquier otra anterior durante mis años de carrera».

¿Ha llegado el verano?

La pregunta brota inaudible, para que no la escuche el Dios de la estación y se arrepienta. En Crema, fuimos cocinados a fuego lento en la Plaza del Duomo, durante el acto de despedida de la brigada médica de Lombardía (la nuestra es la de Piamonte), que transcurrió entre las 11 de la mañana y la una de la tarde. El sol, perpendicular, nos hizo sentir en Cuba. Pero el clima de Turín, a 400 metros sobre el nivel del mar, es menos cálido. Aun así, dicen que el mes de agosto es sofocante.

La ciudad, rodeada por los Alpes, arde. Por la buena salud del pueblo italiano, esperamos estar en casa, junto a nuestras familias. Lo cierto es que ya no es imprescindible el abrigo. Los amaneceres y las noches son ligeramente fríos, pero el día se abre, y por la tarde, sobran las mangas largas.

La gente estrena su ropa de verano con la misma ansiedad que nosotros la ropa de invierno. Un solo rayo de sol basta para que se exhiban en los balcones, y se embadurnen de cremas protectoras. Han aparecido también las sábanas blancas y la ropa de colores, colgadas en los balcones. Supongo que existen las secadoras automáticas, pero aunque Turín no es Nápoles, nada iguala el milenario efecto solar sobre la ropa y el espíritu. Este domingo; sin embargo, la televisión italiana trasmitió imágenes preocupantes: cientos de personas, sin nasobuco, aglomeradas en los parques. Es instintivo, un acto de liberación, que enlaza la llegada del verano con la abolición del encierro hogareño.

El hospital covid-ogr ha sido un éxito rotundo, su estilo multidisciplinario no es común en Italia. Todas las tardes, alrededor de las dos, se producen verdaderas sesiones científicas.

Los principales especialistas de Italia y de Cuba se reúnen para analizar los casos más complejos. Los cubanos se han ganado el respeto en esos debates y sus opiniones marcan pautas. El doctor Julio Guerra –que el 26 de mayo, sea dicho ya, cumplió 43 años– se entusiasma al hablar de los casos discutidos, «muy bonitos», dice a veces, y se olvida de que no soy médico. Lo cierto es que hoy, ante la evidente mejoría de una anciana de 94 años, a partir de un criterio clínico de Julio, el doctor Alessandro Martini, quien es el director clínico y conduce las sesiones, expresó emocionado (las emociones no son consideradas científicas): «ustedes diagnostican con pocos recursos, son muy exactos, muy precisos. La medicina de los cubanos es más limpia que la nuestra, y la que enseñan ustedes es mejor que la que enseñamos en nuestras universidades. Resuelven problemas con pocos recursos, piensan, utilizan los elementos clínicos para diagnosticar y lo hacen con precisión, sin necesidad de análisis complementarios. En mi hospital de procedencia, hubiésemos gastado un arsenal de recursos, y el resultado no hubiese sido mejor».

Aunque el verano hace que las personas sean más extrovertidas, creo que esa opinión empezó a formarse una mañana de primavera en la que un grupo de médicos y enfermeros cubanos (y Julio con ellos) entró, por primera vez, a la zona roja.

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