Dal Minnesota al Venezuela: la metafora di George Floyd

William Serafino  https://medium.com/@misionverdad2012

Con il passare dei giorni, si va chiarendo la storia dell’assassinio poliziesco dell’afroamericano George Floyd, a Minneapolis, stato del Minnesota, per mano di agenti locali che lo hanno soffocato, sino ad ucciderlo, nel mezzo di un arresto.

George Floyd, 46 anni, era nativo del Texas, si è trasferito a Minneapolis, nel 2014, cercando di ricostruire la sua vita ed ottenere un lavoro, dopo essere stato condannato a cinque anni di prigione per rapina a mano armata, nel 2009. In gioventù era un atleta ed amico intimo del famoso cestista Stephen Jackson e ha anche lavorato con la star della musica texana DJ Screw.

Dopo diversi lavori temporanei, è stato assunto come guardia di sicurezza presso il ristorante Conga Latin Bistro a Minneapolis.

A causa delle misure di confinamento a causa della pandemia di Covid-19, il ristorante ha licenziato Floyd che, da quel momento in poi, sarebbe andato ad ingrossare le astronomiche statistiche sulla disoccupazione.

Il 25 maggio, a tarda sera, Floyd si è recato al negozio di Cup Foods, situato nel sud di Minneapolis, per acquistare un pacchetto di sigarette. Una persona del negozio ha chiamato il 911 sostenendo che Floyd aveva effettuato l’acquisto con banconote false ed ha chiesto al commesso che gli togliesse le sigarette.

Gli agenti di polizia Derek Chauvin, Tou Thao, Thomas Lane e JA Kueng sono arrivati ​​subito sul posto, si sono avvicinati a Floyd ed hanno tentato di portarlo alla porta posteriore dell’auto di pattuglia. Floyd ha dichiarato di essere claustrofobico ed ha fatto resistenza al salire in macchina, sostenendo di non poter respirare.

Gli agenti hanno immobiizzato Floyd gettandolo a terra.

Lì è stato quando l’agente Derek Chauvin ha posto il ginocchio sul collo di Floyd per 8 minuti. Il video è stato registrato da uno spettatore e chiaramente si sente Floyd dire più volte che non riusciva a respirare e le persone intorno che chiedevano a Chauvin che smettesse di far pressione sul collo.

Floyd è morto per soffocamento secondo l’autopsia, il video registrato è diventato virale e nel giro di poche ore sono iniziate le massicce proteste esigendo giustizia contro un nuovo caso di brutalità poliziesca negli USA.

Nei suoi 19 anni di carriera come agente di polizia di Minneapolis, Derek Chauvin ha accumulato 20 denunce per maltrattamenti polizieschi, ricevendo due ammonizioni ed essendo oggetto di indagini per l’uso della sua arma in un caso di molestia ed uno aggiuntivo per una lite domestica che ha risolto sparando.

Il suo collega, Tou Thao, è stato citato in giudizio dinanzi al tribunale federale, nel 2017, per uso eccessivo della forza e non è stato condannato. Dopo aver ricevuto sei denunce di maltrattamento, in quegli anni, Tou Thao ha continuato a lavorare come agente di polizia senza che si aprisse un fascicolo disciplinare.

Entrambi si sono visti beneficiati della cultura dell’impunità che circonda l’attività della polizia negli USA.

A causa dell’omicidio di Floyd, i due ufficiali sono stati sospesi e continuano a ricevere il loro stipendio mentre proseguono le indagini sulle accuse penali.

L’omicidio di George Floyd è il prodotto di condizioni sociali ed economiche concrete. Sebbene si suole dirsi che il Minnesota sia uno stato “progressista” per avere un governatore democratico e poche espressioni di suprematismo bianco, la verità è che la segregazione razziale e l’esclusione economica degli afroamericani sono una realtà.

“Viviamo in un paese più segregato oggi che nell’era di Martin Luther King”, ha dichiarato Myron Orfield, professore di Diritti e Libertà Civili dell’Università del Minnesota, in un reportage della BBC.

Orfield sottolinea che la politica in materia di alloggi ed istruzione ha giovato ai cittadini bianchi, favorendo l’esclusione degli afroamericani ed isolandoli dalla vita sociale collegata ad altri gruppi di popolazione.

Mentre la disoccupazione e la precarietà sono aumentate a causa della pandemia di Covid-19, questo conflitto sotterraneo ha acquisito visibilità.

Floyd era disoccupato e il suo futuro era incerto, come quello di milioni di afroamericani, prodotto di diversi decenni di neoliberalismo, segregazione razziale, stipendi stagnanti e legislazione favorevole ai licenziamenti rapidi e senza garanzie sociali che hanno così tanto avvantaggiato il settore imprenditoriale USA dall’amministrazione Reagan.

Ma la pressione sul collo di Floyd manda un messaggio ed una metafora. È soprattutto un atto politico.

Floyd è stato ucciso per essere povero ed i responsabili si sono visti protetti da una cultura che normalizza la brutalità della polizia contro la popolazione afroamericana.

In senso lato, la violenza fisica e simbolica applicata a lui mantiene attributi e caratteristiche simili alla strategia che cerca di soffocare la società venezuelana.

Allo stesso tempo, mentre nel Minnesota si strangolavano le vie aeree di una nuova vittima del razzismo, in Venezuela la Casa Bianca aumentava le sue pressioni per forzare l’interruzione di un accordo di scambio petrolio-cibo tra Venezuela e società messicane, che rappresentava un sollievo all’acuta situazione economica del paese.

In entrambi i casi, il paradigma che guida ogni azione è quello di tagliare l’ossigeno, dai polmoni al cervello, nel caso di George Floyd, o dalle raffinerie iraniane alle stazioni di servizio venezuelane, nel caso del Venezuela, dopo le recenti minacce di Washington che cercano di impedire, in qualsiasi modo, l’arrivo delle prossime spedizioni di carburante nel paese caraibico.

Si tratta di interrompere il flusso vitale che mantiene in vita un corpo che è stato stigmatizzato e disegnato, precedentemente, come una minaccia o un nemico esistenziale, e questo è indipendente dalla sua natura materiale: può essere il corpo di un nero di classe bassa nel Minnesota o il corpo economico e sociale di un paese caraibico, con una popolazione mista, non allineato alla politica estera di Washington.

La stigmatizzazione degli afroamericani nel corso della storia USA ha giustificato la loro sistematica oppressione, in nome dei valori occidentali che i bianchi rappresentano secolarmente.

E quel discorso di demonizzazione dell’altro, per essere nero o povero, ha il suo peso simbolico nel recente corso della politica estera gringa, sostenuta da figure che si considerano eredi di quella tradizione.

Dalla sua prospettiva, i cinesi, gli iraniani, i russi ed i venezuelani rappresentano una “minaccia” per il loro lignaggio ed origini, ma anche per non abbassare la testa quando gli è ordinato, come è successo con Floyd pochi minuti prima che lo uccidessero per aver resistito ad entra nell’auto della pattuglia.

Umiliazione e sadismo sono un altro attributo comune. Ed è opportuno ricordare, in questo momento, il grave blackout indotto a marzo dell’anno scorso.

Tra l’incertezza e le complicazioni sociali ed economiche generate dall’interruzione forzata del sistema elettrico il falco, Elliott Abrams, ha indicato che avrebbero approfittato di quella situazione per aumentare la pressione contro il paese.

Cioè, annunciavano che ci avrebbero stretto il collo, approfittando del fatto che eravamo in una situazione di svantaggio, visibilmente fragili ed a terra, come Floyd.

Anche Mike Pompeo è salito sul treno ed affermato: “Venezuela, senza cibo, senza luce e presto senza Maduro”, ha sentenziato come se parlasse un torturatore professionista e non chi afferma di essere il rappresentante diplomatico di un paese.

Questo discorso profondamente sadico ha permeato il linguaggio politico che accompagna le misure coercitive di Washington contro il Venezuela, poiché ogni nuova sanzione è promossa come un nuovo passo nella “pressione” per “soffocare” il “regime di Maduro”. Il discorso necrofilo è una costante.

Il collo del paese è il suo obiettivo geopolitico, cercando di tagliare, con misure da guerra economica, il flusso vitale rappresentato dalle CLAP, dalla benzina, dalla forniture mediche e di altri beni di base in modo che il paese possa affrontare la pandemia più devastante in un secolo ed una grave crisi dei servizi pubblici.

E se facciamo una retrospettiva più ampia, troveremo Orlando Figuera, un giovane uomo nero che è stato assassinato per “sembrare chavista” nelle vicinanze di Plaza Altamira, durante il ciclo di violenza armata del 2017. Fu incendiato in un momento di estasi.

Era logico che gli USA, artefici di questa agenda di golpe, non condannassero tale atto: internamente, ogni giorno c’è un Orlando Figuera, con un nome statunitense, che offusca di sangue la stampa ed i media.

D’altra parte, il caos è stato sponsorizzato e diretto dal partito Voluntad Popular di Juan Guaidó, il giocattolo preferito di Mike Pompeo.

Gli atti di estrema violenza in Venezuela, di natura fascista, sono stati anche uno strumento di promozione del regime che gli USA cercavano di installare dopo aver rovesciato Maduro, uno in cui la persecuzione poliziesca per le caratteristiche etniche e le preferenze politiche è massima. Identico agli USA.

Un altro aspetto che unisce entrambi i fenomeni è l’impunità.

Proprio come i poliziotti che hanno causato la morte di Floyd non hanno subito una severa punizione per le loro azioni, coloro che, quotidianamente, orchestrano le manovre di soffocamento contro il Venezuela godono della protezione che offre ostentare le principali cariche del governo USA.

Hanno immunità e sono persino ricompensati quando il soffocamento si traduce un deterioramento dei servizi pubblici, alti prezzi dei generi alimentari ed altre complicazioni quotidiane generate dal blocco economico. Festeggiano quando il soffocamento uccide, proprio come è avvenuto l’ultima vittima del razzismo negli USA.

La logica che ha prodotto l’assassinio di Floyd è trasversale e ha modellato la politica estera USA e l’attuale strategia contro il Venezuela.

Smettere di respirare non è un’opzione.


De Minnesota a Venezuela: la metáfora de George Floyd

Por William Serafino

A medida que avanzan los días se va esclareciendo la historia del asesinato policial del afroamericano George Floyd en Mineápolis, estado de Minnesota, a manos de agentes locales que lo asfixiaron hasta matarlo en medio de un arresto.

George Floyd, de 46 años, era nativo de Texas y se mudó a Mineápolis en 2014 buscando rehacer su vida y conseguir un empleo, tras ser condenado a cinco años de prisión por un robo a mano armada en 2009. En su juventud fue deportista y amigo cercano del famoso basquetero Stephen Jackson y también trabajó con la estrella musical de Texas DJ Screw.

Tras varios trabajos temporales fue contratado como guardia de seguridad en el restaurante Conga Latin Bistro en Mineápolis.

Debido a las medidas de confinamiento a raíz de la pandemia de Covid-19, el restaurante despidió a Floyd, quien a partir de ese momento pasaría a engrosar las astronómicas estadísticas de desempleo.

El 25 de mayo, en horas de la tarde noche, Floyd fue a la tienda Cup Foods, ubicada al sur de Mineápolis, para comprar un paquete de cigarrillos. Una persona de la tienda llamó al 911 asegurando que Floyd había hecho la compra con billetes falsos y le pidió al despachador que le quitara los cigarrillos.

Los agentes policiales Derek Chauvin, Tou Thao, Thomas Lane y JA Kueng llegaron al sitio al momento, abordaron a Floyd e intentaron llevarlo a la puerta trasera de la patrulla. Floyd indicó que era claustrofóbico y se resistió a subirse al auto, alegando que no podía respirar.

Los agentes sometieron a Floyd lanzándolo al suelo.

Ahí fue cuando el agente Derek Chauvin puso su rodilla en el cuello de Floyd, durante 8 minutos. El video fue registrado por un espectador, y claramente se escucha a Floyd decir varias veces que no podía respirar y a las personas alrededor pidiéndole a Chauvin que dejara de presionar su cuello.

Floyd murió por asfixia según la autopsia, el video registrado se hizo viral y a pocas horas iniciaron las protestas masivas exigiendo justicia contra un nuevo caso de brutalidad policial en EEUU.

En sus 19 años de carrera como policía de Mineápolis, Derek Chauvin acumuló 20 quejas por maltrato policial, recibiendo dos amonestaciones y siendo objeto de investigaciones por el uso de su arma en un caso de persecución y uno adicional por un conflicto doméstico que resolvió a tiros.

Su compañero, Tou Thao, fue demandado en un tribunal federal en 2017 por uso excesivo de la fuerza y no fue condenado. Tras recibir seis denuncias de maltrato en esos años, Tou Thao siguió trabajando como policía sin que se abriera un expediente disciplinario.

Ambos se vieron beneficiados por la cultura de la impunidad que rodea la actividad policial en Estados Unidos.

A raíz del asesinato de Floyd, los dos agentes han sido suspendidos y siguen recibiendo su salario mientras avanzan las investigaciones sobre cargos penales.

El asesinato de George Floyd es producto de condiciones sociales y económicas concretas. Aunque suele decirse que Minnesota es un estado “progresista” por tener un gobernador demócrata y pocas expresiones de supremacismo blanco, lo cierto es que la segregación racial y la exclusión económica de los afroamericanos es una realidad.

“Vivimos en un país más segregado en la actualidad que en la época de Martin Luther King”, señaló Myron Orfield, profesor de Derechos y Libertades Civiles de la Universidad de Minnesota, para un reportaje de la BBC.

Orfield destaca que la política de vivienda y de educación ha beneficiado a los ciudadanos blancos, favoreciendo la exclusión de los afroamericanos y aislándolos de la vida social conectada a otros grupos de población.

Mientras el desempleo y la precariedad han aumentado a causa de la pandemia de Covid-19, este conflicto subterráneo ha adquirido visibilidad.

Floyd estaba desempleado y su futuro era incierto, como el de millones de afroamericanos, producto de varias décadas de neoliberalismo, segregación racial, estancamiento de los salarios y una legislación favorable a los despidos rápidos y sin garantías sociales que tanto han beneficiado al sector empresarial estadounidense desde la Administración Reagan.

Pero la presión sobre el cuello de Floyd emite un mensaje y una metáfora. Es sobre todo un acto político.

Mataron a Floyd por ser pobre y los responsables se han visto protegidos por una cultura que normaliza la brutalidad policial contra la población afroamericana.

En un sentido amplio, la violencia física y simbólica aplicada sobre él guarda atributos y rasgos similares a la estrategia que busca asfixiar a la sociedad venezolana.

Al mismo tiempo, mientras en Minnesota estrangulaban las vías respiratorias de una nueva víctima de racismo, en Venezuela la Casa Blanca aumentaba sus presiones para forzar la interrupción de un acuerdo de intercambio de petróleo por alimentos entre Venezuela y empresas mexicanas, que representaba un alivio frente a la aguda situación económica del país.

En ambos casos, el paradigma que orienta cada acción consiste en cortar el oxígeno, sea de los pulmones al cerebro, en el caso de George Floyd, o desde las refinerías de Irán a las estaciones de gasolina de Venezuela, en el caso de Venezuela, tras las amenazas recientes de Washington que buscan impedir por cualquier medio la llegada de próximos cargamentos de combustible hacia el país caribeño.

Se trata de interrumpir el flujo vital que mantiene con vida a un cuerpo que ha sido estigmatizado y dibujado como una amenaza o un enemigo existencial previamente, y esto es independiente de su naturaleza material: puede ser el cuerpo de un negro de clase baja en Minnesota o el cuerpo económico y social de un país caribeño, de población mestiza, no alineado a la política exterior de Washington.

La estigmatización de los afroamericanos a lo largo de la historia estadounidense ha justificado su opresión sistemática, a nombre de los valores occidentales que representan secularmente los blancos.

Y ese discurso de satanización del otro, por ser negro o pobre, tiene su carga simbólica en el curso reciente de la política exterior gringa, apalancada por figuras que se autoperciben herederos de esa tradición.

Desde su perspectiva, los chinos, iraníes, rusos y venezolanos representan una “amenaza” por su gentilicio y origen, pero también por no bajar la cabeza cuando se le ordena, al igual que ocurrió con Floyd minutos antes de que lo mataran por resistirse a entrar en la patrulla.

La humillación y el sadismo es otro atributo común. Y es pertinente recordar en estos momentos el severo apagón inducido en marzo del año pasado.

En medio de la incertidumbre y las complicaciones sociales y económicas que generó la interrupción forzada del sistema eléctrico, el halcón Elliott Abrams indicó que aprovecharían esa situación para aumentar la presión contra el país.

Es decir, anunciaban que apretarían nuestra nuca aprovechando que estábamos en una situación de desventaja, visiblemente frágiles y en el piso, como Floyd.

Mike Pompeo también se subió al tren y afirmó: “Venezuela, sin comida, sin luz y próximamente sin Maduro”, sentenció como si hablara un torturador profesional y no quien dice ser el representante diplomático de un país.

Este discurso profundamente sádico ha impregnado el lenguaje político que acompaña las medidas coercitivas de Washington contra Venezuela, pues cada nueva sanción es promocionada como un nuevo paso en la “presión” para “asfixiar” al “régimen de Maduro”. El discurso necrófilo es una

constante.

El cuello del país es su objetivo geopolítico, intentando cortar con medidas de guerra económica el flujo vital que representan los CLAP, la gasolina, los insumos médicos y otros bienes básicos para que el país pueda enfrentar en condiciones la pandemia más devastadora en un siglo y una crisis severa de servicios públicos.

Y si hacemos una retrospectiva más amplia, nos encontraremos a Orlando Figuera, un joven negro que fue asesinado por “parecer chavista” en las inmediaciones de Plaza Altamira durante el ciclo de violencia armada de 2017. Lo prendieron en fuego en un momento de éxtasis.

Era lógico que Estados Unidos, artífice de esta agenda de golpe, no condenara ese acto: a lo interno, todos los días hay un Orlando Figuera con nombre estadounidense que empaña de sangre la prensa y los medios de comunicación.

Por otro lado, el caos estaba patrocinado y dirigido por el partido Voluntad Popular de Juan Guaidó, el juguete preferido de Mike Pompeo.

Los actos de violencia extrema en Venezuela, de corte fascista, eran también una herramienta de promoción del régimen que buscaba instalar Estados Unidos luego de derrocar a Maduro, uno donde la persecución policial por rasgos étnicos y preferencias políticas es la máxima. Idéntico a EEUU.

Otro aspecto que une ambos fenómenos es la impunidad.

Así como los policías que provocaron la muerte de Floyd no han sufrido un castigo severo por sus acciones, quienes diariamente orquestan las maniobras de asfixia contra Venezuela gozan de la protección que brinda ostentar los principales cargos del gobierno estadounidense.

Tienen inmunidad e incluso son premiados cuando la asfixia se traduce en el deterioro de servicios públicos, precios elevados de los alimentos y otras complicaciones cotidianas generadas por el bloqueo económico. Celebran cuando la asfixia mata, al igual que ocurrió con la última víctima del racismo en Estados Unidos.

La lógica que produjo el asesinato de Floyd es transversal y ha configurado la política exterior estadounidense y la estrategia en curso contra Venezuela.

Dejar de respirar no es una opción.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.