La designazione del nuovo CNE provoca un terremoto nel G4

https://medium.com/@misionverdad2012

Eventi importanti, nella politica venezuelana, si sono verificati nell’ultima settimana.

A seguito di un accordo tra il governo venezuelano ed i partiti anti-chavisti che partecipano al Tavolo di Dialogo Nazionale, si è formalmente richiesto al Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) la designazione di un nuovo Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), vista l’omissione legislativa del Parlamento venezuelano e la sua disattenzione del comitato per le nomine elettorali.

Il corpo di rettori dell’ente elettorale è stato designato alcuni giorni dopo, facendo un passo fondamentale per la celebrazione delle elezioni parlamentari, quest’anno, al fine di rinnovare la composizione del potere legislativo, come obbliga la vigente Costituzione venezuelana.

Come previsto, i partiti tradizionali del cosiddetto G4 hanno respinto la designazione ed hanno indicato che non parteciperanno alle prossime elezioni.

Il deputato Juan Guaidó, in un nuovo colpo all’ordine legale del paese, ha affermato che estenderà la validità della sua falsa “presidenza provvisoria”, basata sul sostegno USA e di altri paesi occidentali a capo del Parlamento venezuelano, ignorando che all’inizio di quest’anno, il deputato dell’opposizione, Luis Parra, ha sostituito Guaidó come nuovo presidente del legislativo nazionale.

La conformazione del nuovo ente elettorale ha acuito le tensioni nell’antichavismo, radicalizzando le sue dispute interne. Coloro che fanno parte del Tavolo di Dialogo Nazionale analizzano le parlamentarie come un’opportunità per spiazzare i partiti tradizionali dello scacchiere politico ed elettorale, a cui il G4 ha risposto con un rafforzamento della sua linea astensionista.

Il ricatto è bidirezionale: mentre il G4 accusa i partiti periferici di favorire la stabilità del “regime di Maduro”, gli attori tradizionalmente esclusi dalla conduzione politica dell’anti-chavismo sostengono che l’astensione non favorisce il cambio politico.

Con l’aumentare delle frizioni, i blocchi di potere dell’anti-chavismo sembrano ulteriormente frammentarsi: ci sono figure rivali di Guaidó, come María Corina Machado, che non sono d’accordo con i partecipanti al Tavolo di Dialogo Nazionale e nemmeno con il G4, e altri, come Henrique Capriles, che puntano sulle elezioni parlamentari in modo controcorrente alle attuali tendenza dominanti del suo proprio partito, Primero Justicia.

La massima secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico” non si realizza quando si parla dell’anti-chavismo.

Il G4 ha cercato di mostrarsi come un blocco solido e unitario e con capacità di trascinare il sentimento maggiotario degli anti-chavisti di fronte alle imminenti elezioni. Ma le cose non vanno bene in casa.

In questo mese, il partito di Juan Guaidó, Voluntad Popular, ha sofferto tre dimissioni dai suoi quadri dirigenti. Questi sono i casi di Rosmit Mantilla (deputato), Ana Karina García (“attivista per i diritti umani”) e Gaby Arellano.

In tutti e tre i casi, gli ex dirigenti affermano che ci sono state differenze politiche intorno ai processi di dialogo e problemi di organizzazione e leadership, riferendosi, tra le linee, alla gestione di Juan Guaidó a capo dell’organizzazione creata da Leopoldo López.

Questi eventi rappresentano una metafora dell’attuale situazione del falso presidente dell’Assemblea Nazionale: Guaidó si cerca di proiettare come il dirigente indiscusso del Venezuela ma, in realtà, non ha alcun controllo sulla propria organizzazione partitica.

Nella formazione simbolica della socialdemocrazia venezuelana, nel partito di Azione Democratica c’è stata anche una rivolta interna a causa della designazione del nuovo CNE.

Il segretario generale dell’organizzazione, Bernabé Gutiérrez, ha chiesto pubblicamente un referendum interno per decidere se il partito debba o meno partecipare alle elezioni parlamentari, in una chiara sfida al caudillo del partito bianco, il deputato Henry Ramos Allup. La ribellione è stata parzialmente soffocata. I quadri dirigenti del partito hanno dato il loro sostegno a Ramos Allup, che ha preso la decisione di non partecipare all’evento elettorale, ma un gruppo di deputati, governatori e sindaci esige l’apertura del dibattito all’interno della militanza per decidere la rotta del partito. Il cacicchismo (baronia ndt) di Ramos Allup è stato messo in discussione.

Il fratello di Bernabé Gutiérrez, José Luis Gutiérrez, è stato uno dei nuovi rettori nominati dal TSJ, un fatto che ha attivato la crisi in Azione Democratica dopo essersi presunto che Ramos Allup lo abbia candidato alle spalle del G4. Sebbene abbia negato il suo vincolo con la nomina, i dubbi non sono completamente dissipati.

La metastasi delle organizzazioni anti-chaviste raggiunge Primero Justicia, una formazione che ha diverse tendenze interne inconciliabili: quella dei deputati Luis Parra e José Brito, entrambi in guerra contro Guaidó, e quella di Julio Borges ed Henrique Capriles, ora in conflitto con la posizione astensionista di fronte alle parlamentarie da parte del falso cancelliere Guaidó.

La subordinazione politica alle direttive di Washington è stata chiave nello smantellamento della coalizione anti-chavista. E l’uso di meccanismi di repressione istituzionale (sanzioni) contro coloro che escano dai binari e decidano di andare alle elezioni, ha generato un comportamento autoritario nell’élite politica del G4, collegata ai flussi di denaro e al sostegno pubblicitario che proviene da Washington.

In questo senso, le divisioni dell’anti-chavismo sono una conseguenza logica della campagna di “massima pressione” USA, volta a distruggere qualsiasi iniziativa di dialogo politico che rilassi il clima di scontro.

La distribuzione di denaro e protagonismo è sempre stata un fattore di divisione nell’anti-chavismo. Ma non è l’unico elemento che deriva nelle intense ondate di guerra politica interna.

Esiste anche un problema di fondo ed ha a che fare con la natura stessa della coalizione. La colla che tiene insieme il G4 è la cieca fiducia nella strategia USA di rovesciare il chavismo, che a suo avviso si tradurrà in posizioni governative in riconoscimento alla sua fedeltà.

Ma poiché ciò non è avvenuto, le differenze di fondo vengono a galla: ogni settore ha un’idea diversa sulla rotta per la presa del potere.

E in questo senso, le elezioni parlamentari rappresentano una sfida: la disputa elettorale richiede organizzazioni di partito ben oliate con una presenza politica in decine di circoscrizioni elettorali in tutto il territorio nazionale.

Senza organizzazione, referenti politici e quadri dirigenti con capacità di trascinare voti nella periferia del paese, la demografia elettorale è un fattore che gioca contro a fronte delle formazioni politiche, come il PSUV, con un dimensionamento meglio disegnato ed una militanza molto più attiva e organizzata.

La denazionalizzazione dell’élite della destra venezuelana ed il suo stesso annullamento come attore politico di fronte alle direttive di Washington, ha contribuito allo smantellamento della sua capacità di disputare la politica sul terreno legale.

A causa di ciò sono fuggiti in avanti: aspettare un colpo di grazia che favorisca il loro ritorno al potere politico per la via rapida del golpe, dell’assassinio o dell’intervento militare. Nel frattempo, i partiti esclusi cercano di conquistare lo spazio vuoto che ha generato la paralisi del G4.


Designación del nuevo CNE provoca un terremoto en el G4

En la última semana han ocurrido acontecimientos importantes en la política venezolana.

Tras un acuerdo entre el gobierno venezolano y los partidos antichavistas que participan en la Mesa de Diálogo Nacional, se solicitó formalmente al Tribunal Supremo de Justicia (TSJ) la designación de un nuevo Consejo Nacional Electoral (CNE), dada la omisión legislativa del Parlamento venezolano y su desatención del comité de postulaciones electorales.

El cuerpo de rectores del ente electoral fue designado días después, dando un paso fundamental para la celebración de elecciones parlamentarias este año a los fines de renovar la composición del poder legislativo, según obliga la Constitución venezolana vigente.

Como era de esperarse, los partidos tradicionales del denominado G4 rechazaron la designación y han indicado que no participarán en las elecciones venideras.

El diputado Juan Guaidó, en un nuevo golpe al orden jurídico del país, ha afirmado que extenderá la vigencia de su falsa “presidencia interina”, basada en el respaldo de Estados Unidos y otros países occidentales a su jefatura del Parlamento venezolano, obviando que a principios de este año el diputado opositor Luis Parra desplazó a Guaidó como nuevo presidente del legislativo nacional.

La conformación del nuevo ente electoral ha agudizado las tensiones en el antichavismo, radicalizando sus disputas internas. Quienes forman parte de la Mesa de Diálogo Nacional analizan las parlamentarias como una oportunidad para desplazar a los partidos tradicionales del tablero político y electoral, a lo que el G4 ha respondido con un reforzamiento de su línea abstencionista.

El chantaje es bidireccional: mientras el G4 acusa a los partidos periféricos de favorecer la estabilidad del “régimen de Maduro”, los actores tradicionalmente excluidos de la conducción política del antichavista afirman que la abstención no favorece el cambio político.

A medida que han venido aumentado las fricciones, los bloques de poder del antichavismo parecen fragmentarse todavía más: hay figuras rivales de Guaidó, como María Corina Machado, que no coinciden con los participantes de la Mesa de Diálogo Nacional y tampoco con el G4, y otros, como Henrique Capriles, que apuestan por las elecciones parlamentarias a contracorriente de las tendencias dominantes de su propio partido, Primero Justicia.

La máxima de que “el enemigo de mi enemigo es mi amigo” no se cumple cuando se habla del antichavismo.

El G4 se ha intentado mostrar como un bloque sólido, unitario y con capacidad de arrastrar el sentimiento mayoritario de los antichavistas frente a las venideras elecciones. Pero las cosas no andan bien en casa.

En lo que va de mes el partido de Juan Guaidó, Voluntad Popular, ha sufrido tres renuncias de sus cuadros dirigentes. Son los casos de Rosmit Mantilla (diputado), Ana Karina García (“activista de derechos humanos”) y Gaby Arellano.

En los tres casos, los ex dirigentes reclaman que ha habido diferencias políticas en torno a los procesos de diálogo y problemas de organización y liderazgo, refiriéndose entre líneas a la gestión de Juan Guaidó al frente de la organización creada por Leopoldo López.

Estos hechos representan una metáfora de la situación actual del presidente fake de la Asamblea Nacional: Guaidó se intenta proyectar como el líder indiscutible de Venezuela, pero, en realidad, no tiene control sobre su propia organización partidista.

En la formación simbólica de la socialdemocracia venezolana, en el partido Acción Democrática también ha habido una revuelta interna a causa de la designación del nuevo CNE.

El secretario general de la organización, Bernabé Gutiérrez, pidió públicamente un referéndum interno para decidir si el partido debía asistir o no a las elecciones parlamentarias, en un claro desafío al caudillo de la tolda blanca, el diputado Henry Ramos Allup.

La rebelión ha sido sofocada parcialmente. Los cuadros dirigentes del partido le han brindado su apoyo a Ramos Allup, quien ha tomado la decisión de no asistir al evento electoral, pero un grupo de diputados, gobernadores y alcaldes exigen que se abra el debate dentro de la militancia para decidir el rumbo del partido. El caciquismo de Ramos Allup ha sido cuestionado.

El hermano de Bernabé Gutiérrez, José Luis Gutiérrez, ha sido uno de los nuevos rectores designados por el TSJ, un hecho que activó la crisis en Acción Democrática tras presumirse que Ramos Allup lo había postulado a espaldas del G4. Aunque ha negado su vinculación con el nombramiento, las dudas no se disipan del todo.

La metástasis de las organizaciones antichavistas alcanza a Primero Justicia, una formación que tiene varias tendencias internas irreconciliables: la de los diputados Luis Parra y José Brito, ambos en guerra contra Guaidó, y la de Julio Borges y Henrique Capriles, ahora enfrentados por la postura abstencionista de cara a las parlamentarias por parte del canciller fake de Guaidó.

La subordinación política a las directrices de Washington ha sido clave en el desmantelamiento de la coalición antichavista. Y el uso de mecanismos de represión institucional (sanciones) contra quienes se salgan del carril y decidan ir a elecciones, ha generado un comportamiento autoritario en la élite política del G4, conectada a los flujos de dinero y respaldo publicitario que viene desde Washington.

En este sentido, las divisiones del antichavismo es una consecuencia lógica de la campaña de “máxima presión” de Estados Unidos, orientada a destruir cualquier iniciativa de diálogo político que relaje el clima de confrontación.

La repartición de dinero y protagonismo siempre ha sido un factor divisivo en el antichavismo. Pero no es único elemento que deriva en las intensas oleadas de guerra política interna.

Existe también un problema de fondo y tiene que ver con la propia naturaleza de la coalición. El pegamento que mantiene unido al G4 es la confianza ciega en la estrategia estadounidense para derrocar al chavismo, lo que a su modo de ver se traducirá en la toma de posiciones de gobierno en reconocimiento a su fidelidad.

Pero como esto no ha ocurrido, las diferencias de fondo suben a flote: cada sector tiene una idea distinta sobre la ruta para la toma del poder.

Y en este sentido las elecciones parlamentarias suponen un desafío: la disputa electoral requiere de organizaciones partidistas bien aceitadas con presencia política en decenas de circunscripciones en todo el territorio nacional.

Sin organización, referentes políticos y cuadros dirigentes con capacidad de arrastrar votos en la periferia del país, la demografía electoral es un factor que juega en contra frente a formaciones políticas, como el PSUV, con un apresto mucho mejor diseñado y una militancia mucho más activa y organizada.

La desnacionalización de la élite de la derecha venezolana y su propia anulación como actor político frente a las directrices de Washington, ha contribuido al desmantelamiento de su capacidad para disputar la política en el terreno legal.

Debido a esto han huido hacia adelante: esperar un golpe de gracia que favorezca su regreso al poder político por la vía rápida del golpe, del magnicidio o de la intervención militar. Mientras tanto, los partidos excluidos buscan conquistar el espacio vacío que ha generado la parálisis del G4.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.