Perché il Venezuela è così importante nella campagna presidenziale USA?

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La campagna presidenziale USA ha il Venezuela come un nodo critico e punto ineludibile, sia per il candidato repubblicano in cerca di rielezione, il magnate presidente Donald Trump, sia per il suo principale rivale, il democratico Joe Biden.

Durante il periplo elettorale, entrambi hanno assunto posizioni non molto dissimili sul Venezuela, dandogli così un posto privilegiato come asse tematico.

Coincidono sul fatto che il paese sia governato da una presunta “dittatura” e che, dopo aver vinto le elezioni presidenziali, “lotteranno” per il “ripristino della democrazia” nel paese sudamericano.

Le “coincidenze” tra i due candidati, che possono considerarsi all’interno della logica strategica e dell’impalcatura egemonica USA, hanno inoltre particolari condimenti. Dall’avvento della Rivoluzione Bolivariana, più di 20 anni fa, gli USA non hanno mai assunto una posizione così apertamente consistente a favore dello smantellamento del chavismo nella politica venezuelana come finora. Questo, insieme ad altri fattori intrinseci al potere USA, modella il posto del Venezuela in questa corsa presidenziale.

La lotta contro “la troika del male”

 

Trump si è riferito al Venezuela in due occasioni, in due anni consecutivi, nel Discorso sullo Stato della Nazione, che riunisce l’Esecutivo e le due camere del Legislativo USA. È l’evento più rilevante della politica istituzionale del suo paese ed all’inizio di quest’anno ha proclamato Juan Guaidó, presente sul posto, come “presidente” del Venezuela.

Il magnate presidente si è riferito, concretamente, ad una crociata contro il socialismo sul suolo USA (in un chiaro riferimento all’emergente ala di sinistra nel Partito Democratico) e nel continente. Allo stesso modo, si è riferito a Cuba, Nicaragua e Venezuela come una “troika” che pretende rovesciare.

Attraverso le misure coercitive ed unilaterali che ha applicato contro questi tre paesi, il Venezuela è dove si trova la “massima pressione” della Casa Bianca.

Distruggere il chavismo si converte, quindi, in un obiettivo strategico di Washington chiaramente in sintonia con l’ideologia politica e la stessa narrativa del presidente. I temi ideologici sono stati spesso fuori dall’agenda della campagna americana dal 1989, ma Trump li ha rianimati creando un nuovo nemico, una nuova “minaccia”.

Joe Biden non è rimasto indietro ed ha sottoscritto la stessa coerenza narrativa.

Il peso politico della Florida e delle sue lobby

 

La collocazione dell’agenda contro il Venezuela come modello vetrina delle relazioni internazionali e l’esercizio del potere fattuale USA per l’America Latina, ha particolare rilevanza elettorale per i repubblicani e democratici per le caratteristiche elettorali della Florida meridionale, regione in grado di definire le elezioni in questo stato ed, in alcuni casi, essere determinante nelle elezioni presidenziali.

L’influenza delle lobby di Miami originate dalla diaspora cubana, e ora con la diaspora venezuelana, è rappresentativa del “voto ispanico” negli “stati assolati”.

Al di là dell’elettorale, il peso economico di questi ed il loro crescente protagonismo nelle cupole di questi partiti si è tradotto in una lobby storicamente delineata per formulare la politica USA con proiezione sul “cortile di casa”.

Queste gravitazioni politiche sono nuovamente presenti. I senatori Marco Rubio, Bob Menendez, e nel recente passato Ileana Ross-Lethinen, articolatori dell’assedio contro Cuba e Venezuela, sono espressione di quello “stato profondo” che, in modo strutturato, modula l’agenda a monte e finiscono per essere determinanti per l’impostazione della politica emisferica di Washington.

Il Venezuela al centro delle narrazioni

 

Gli USA hanno intrapreso, come non mai, una campagna centralizzata sul Venezuela, lavorando l’opinione pubblica, in quel paese, per legittimare il suo blocco economico e per aumentare le possibilità di un intervento armato.

La consistente presenza del Venezuela nei grandi media è prova dello spostamento ai Caraibi dell’epicentro della politica estera USA e delle sue forme di aggressività.

Quindi, per entrambi i candidati, riferirsi in maniera dura contro il Venezuela e contro il presidente Nicolás Maduro è, oltre un tema della campagna elettorale, una questione di “sicurezza nazionale”, di preservazione della “democrazia” e della ratifica dei “valori” USA di fronte al suo ruolo “costruttivo” nell’emisfero occidentale e nel mondo. Input immancabili in una campagna USA.

Ciò conferisce al Venezuela un ruolo particolarmente rilevante come quello che per gli statunitense (oltre alla comunità ispanica) ebbero, in passato, le aggressioni contro Iraq, Afghanistan, Libia e Siria.

Sia i democratici che i repubblicani, ma soprattutto quest’ultimi, hanno imposto la fallace affermazione che il Venezuela sia un “narco-stato”, sebbene le proprie agenzie di sicurezza lo escludano. Hanno collocato la nazione petrolifera come paese “terrorista”, essendo una “minaccia” per la sicurezza USA. Pertanto, questi elementi narrativi, le evocazioni del nazionalismo ed il ruolo degli USA come “garante della sicurezza globale” sono perfettamente congruenti con un’agenda di campagna politica.

Negli USA, semplicemente, non possono smettere di parlare del Venezuela.

Le lobby petrolifere e militari in prima linea

 

L’interesse strategico USA in Venezuela ha il suo più grande aspetto economico sulle sue riserve energetiche, la più grande al mondo con 340 miliardi di barili. L’evidente interesse USA risiede nelle relazioni di subordinazione che il Venezuela intratteneva con le sue transnazionali, da oltre 100 anni, un ciclo che si è gradualmente concluso prima con l’ascesa del chavismo ed ora con il blocco USA.

Il Venezuela è oggi, per le transnazionali petrolifere USA, uno spazio perduto che desiderano recuperare. Il cambio nella mappa delle relazioni energetiche del Venezuela, oggi orientate verso Cina, India, Russia e paesi del Petrocaribe, sintetizza una rottura della relazione, quasi esclusiva, che il Venezuela ha avuto con gli USA, fino al 1999.

Com’è noto, le transnazionali petrolifere hanno lobby e meccanismi di finanziamento che lavorano simultaneamente per entrambi i partiti USA, e questo spiega perché le dichiarazioni di Trump e Biden, sul Venezuela, siano generalmente identiche.

Entrambi i candidati dimostrano alle società transnazionali il loro livello di impegno nel recupero dello spazio perduto.

L’impalcatura petrolifera è così importante quanto quella industriali-militare per la costruzione di un’architettura di dominio USA sul mondo. La riconquista delle principali riserve energetiche mondiali, a favore degli USA, è un fattore chiave nel ridisegnare la strategia USA di fronte ai paesi emergenti che oggi contestano agli USA la leadership mondiale.

Il Venezuela è la chiave sia per le transnazionali USA sia per la stessa struttura di potere USA nei confronti del mondo.

La necessaria “vittoria” nell’agenda della campagna

 

La caduta del Venezuela è un obiettivo condiviso da entrambi i candidati ed entrambi lo riflettono, in modo simile, nei loro discorsi ed interventi, nonostante il fatto che democratici e repubblicani abbiano avuto ruoli diversi nella generazione della crisi politica ed economica che oggi vive la nazione caraibica.

Evidentemente il ruolo di Trump nella sua veste di presidente, e per via dell’agenda di smantellamento del Venezuela, è quello che più spera di raccogliere i frutti della “massima pressione”.

Blocco politico e diplomatico. Blocco finanziario, commerciale e petrolifero. Successivamente, minacce dell’uso della forza, promozione della sedizione interna e delle fallite incursioni mercenarie sono state all’ordine del giorno. Ma il chavismo è ancora in piedi e le aspettative del magnate presidente sono state frustrate, per cui non è strano aver dichiarato che non fosse un atto dissennato incontrare il presidente Nicolás Maduro.

I democratici, sebbene affiliati alla strategia “morbida” nei Caraibi, hanno convalidato attivamente, dal Congresso, la falsa “presidenza” di Juan Guaidó, dal 2019; hanno raramente messo in discussione Trump per i suoi falliti attacchi. Sebbene la “strategia di Guaidó” abbia una manifattura di Trump-Pompeo-Bolton, anche i democratici hanno bisogno che funzioni per averla sostenuta e non aver fatto opposizione politica a Trump su un piano così fatale.

Sebbene si collochino in ruoli d’azione diversi di fronte al nodo critico venezuelano, sia i repubblicani che i democratici sperano di capitalizzare qualsiasi scenario, qualsiasi risultato e qualsiasi forma di assalto che abbia luogo e che comporti l’indebolimento o la sedimentazione del potere nella nazione sudamericana.

Da qui l’alto livello di pericolosità dell’attuale campagna politica USA per il Venezuela.

Entrambi i candidati hanno bisogno che la situazione in Venezuela peggiori ed è per questo che ci incorporano nella loro campagna, insieme al discorso degli USA che potrebbero “salvare” la nazione petrolifera dal caos che hanno sponsorizzato.

Una volta convertito il Venezuela in una “promessa della campagna”, il ciclo di attacchi contro di esso non si conclude a novembre, al contrario, una nuova fase potrebbe aprirsi con possibilità ancora insondabili.


¿Por qué Venezuela es tan importante en la campaña presidencial estadounidense?

La campaña presidencial estadounidense tiene a Venezuela como un nudo crítico y punto ineludible, tanto para el candidato republicano en busca de la reelección, el magnate presidente Donald Trump, como para su principal rival, el demócrata Joe Biden.

Durante el periplo electoral ambos han fijado posiciones no tan disímiles sobre Venezuela, dándole así un lugar privilegiado como eje temático.

Coinciden en que el país está regido por una supuesta “dictadura” y que, luego de triunfar en las presidenciales, “lucharán” por la “restauración de la democracia” en el país sudamericano.

Las “coincidencias” entre ambos candidatos, que pueden considerarse dentro de la lógica estratégica y andamiaje hegemónico estadounidense, tienen además particulares condimentos. Desde el advenimiento de la Revolución Bolivariana hace más de 20 años, EEUU nunca había asumido una posición tan abiertamente consistente en favor de desmantelar al chavismo en la política venezolana como hasta ahora. Ello, conjuntamente con otros factores intrínsecos al poder norteamericano, dan forma al sitial de Venezuela en esta carrera presidencial.

La lucha contra “la troika del mal”

Trump se ha referido a Venezuela en dos ocasiones durante dos años consecutivos en el Discurso del Estado de la Nación, que reúne al Ejecutivo y a las dos cámaras del Legislativo estadounidense. Es el evento más relevante de la política institucional de su país, y a inicios de este año proclamó a Juan Guaidó, presente en el lugar, como “presidente” de Venezuela.

El magnate presidente se ha referido concretamente a una cruzada contra el socialismo en suelo estadounidense (en una clara referencia al ala izquierdista emergente en el Partido Demócrata) y en el continente. De igual manera se ha referido a Cuba, Nicaragua y Venezuela como una “troika” que pretende derribar.

Mediante las medidas coercitivas y unilaterales que ha aplicado contra estos tres países, Venezuela es donde yace la “máxima presión” de la Casa Blanca.

Destruir al chavismo se convierte, entonces, en un objetivo estratégico de Washington claramente acompasado con el ideario político y la propia narrativa del mandatario. Los temas ideológicos suelen estar fuera del temario de campaña estadounidense desde 1989, pero Trump los ha revivido creando una nuevo enemigo, una nueva “amenaza”.

Joe Biden no se ha quedado atrás y ha suscrito la misma coherencia narrativa.

El peso político de Florida y sus lobbys

La colocación de la agenda contra Venezuela como modelo vitrina de las relaciones internacionales y el ejercicio de poder fáctico estadounidense para América Latina, tiene especial relevancia electoral para los republicanos y demócratas por las características electorales del sur de Florida, región capaz de definir las elecciones en dicho estado y, en algunos casos, ser determinante en las elecciones presidenciales.

La influencia de los lobbys mayameros originados desde la diáspora cubana, y ahora con la diáspora venezolana, es representativa del “voto hispano” en los “estados soleados”.

Más allá de lo electoral, el peso económico de estos y su creciente protagonismo en las cúpulas de dichos partidos se ha traducido en un cabildeo históricamente delineado para formular la política estadounidense con proyección a su “patio trasero”.

Estas gravitaciones políticas nuevamente se hacen presentes. Los senadores Marco Rubio, Bob Menendez y en el pasado reciente Ileana Ross-Lethinen, articuladores del asedio contra Cuba y Venezuela, son expresión de ese “estado profundo” que, de manera estructurada, modula la agenda aguas arriba y terminan siendo determinantes para el planteamiento de la política hemisférica de Washington.

Venezuela en el centro de las narrativas

EEUU ha emprendido como nunca una campaña centralizada en Venezuela, manufacturando la opinión pública en dicho país para legitimar su bloqueo económico y para azuzar las posibilidades de una intervención armada.

La consistente presencia de Venezuela en los grandes medios es evidencia del desplazamiento al Caribe del epicentro de la política exterior estadounidense y sus formas de agresividad.

De ahí que, para ambos candidatos, referirse de manera dura contra Venezuela y contra el presidente Nicolás Maduro es, además de tema de campaña, un asunto “de seguridad nacional”, de preservación de “la democracia” y de ratificación de los “valores” estadounidenses de cara a su papel “constructivo” en el hemisferio occidental y en el mundo. Insumos infaltables en una campaña estadounidense.

Ello le da a Venezuela un rol particularmente relevante como el que para los estadounidenses (más allá de la comunidad hispana) tuvieron las agresiones contra Irak, Afganistán, Libia y Siria en el pasado.

Tanto demócratas como republicanos, pero más especialmente estos últimos, han impuesto el falaz señalamiento de que Venezuela es un “narco-estado”, aunque sus propias agencias de seguridad lo descarten. Han colocado a la nación petrolera como país “terrorista”, siendo una “amenaza” para la seguridad estadounidense. Por lo tanto, estos elementos narrativos, las evocaciones al nacionalismo y al rol de EEUU como país “garante de la seguridad global” son perfectamente congruentes con un temario de campaña política.

En EEUU simplemente no pueden parar de hablar de Venezuela.

Los lobbys petroleros y militares al frente

El interés estratégico de EEUU sobre Venezuela tiene su mayor talante económico sobre sus reservas energéticas, las más grandes del mundo con 340 mil millones de barriles. El evidente interés estadounidense yace en la relación de subordinación que Venezuela tuvo con sus transnacionales durante más de 100 años, un ciclo que finalizó paulatinamente primero con el auge del chavismo y ahora con el bloqueo estadounidense.

Venezuela es hoy para las transnacionales petroleras estadounidenses un espacio perdido que desean recuperar. El cambio en el mapa de relaciones energéticas de Venezuela, hoy orientadas hacia China, India, Rusia y países de Petrocaribe, resumen una ruptura de la relación casi exclusiva que Venezuela tuvo con EEUU hasta 1999.

Como es sabido, las transnacionales petroleras tienen lobbys y mecanismos de financiamiento trabajando simultáneamente para ambos partidos estadounidenses, y ello explica por qué las declaraciones de Trump y Biden sobre Venezuela suelen ser idénticas.

Ambos candidatos demuestran a las transnacionales su nivel de compromiso con la recuperación del espacio perdido.

El andamiaje petrolero es tan importante como el andamiaje industrial-militar para la construcción de una arquitectura de la dominación estadounidense en el mundo. La recaptura de las principales reservas energéticas del mundo a favor de EEUU es un factor clave para rediseñar la estrategia norteamericana frente a los países emergentes que hoy disputan a EEUU el liderazgo mundial.

Venezuela es clave tanto para las transnacionales estadounidenses como para la propia estructura de poder de EEUU frente al mundo.

La necesaria “victoria” en la hoja de ruta de la campaña

La caída de Venezuela es un objetivo compartido para ambos candidatos y ambos lo reflejan de similar manera en sus discursos e intervenciones, esto pese a que los demócratas y los republicanos han estado en roles distintos en la generación de la crisis política y económica que hoy vive la nación caribeña.

Evidentemente el rol de Trump en su condición de mandatario, y por su hoja de ruta de desmantelamiento de Venezuela, es quien más espera cosechar los frutos de la “máxima presión”.

Bloqueo político y diplomático. Bloqueo financiero, comercial y petrolero. Seguidamente, amenazas de uso de la fuerza, promoción de la sedición interna e incursiones mercenarias fallidas, han estado a la orden del día. Pero el chavismo sigue en pie y las expectativas del magnate presidente se han visto frustradas, por lo que no es raro haber declarado que no era un acto descabellado reunirse con el presidente Nicolás Maduro.

Los demócratas, aunque afiliados a la estrategia “suave” en el Caribe han validado activamente desde el Congreso la “presidencia” espuria de Juan Guaidó desde 2019, en contadas ocasiones han cuestionado a Trump por sus arremetidas fallidas. Aunque la “estrategia Guaidó” tiene manufactura Trump-Pompeo-Bolton, los demócratas también necesitan que funcione por haberla apoyado y no haber hecho oposición política a Trump en tan fatídico plan.

Aunque se colocan en roles de acción distintos frente al nudo crítico venezolano, tanto republicanos como demócratas esperan capitalizar cualquier escenario, cualquier resultado y cualquier forma de arremetida que tenga lugar y que implique el debilitamiento o sedimentación del poder en la nación sudamericana.

De ahí el alto nivel de peligrosidad de la actual campaña política estadounidense para Venezuela.

Ambos candidatos necesitan que la situación en Venezuela empeore y por eso nos incorporan en su campaña, junto al discurso de EEUU que podría “salvar” a la nación petrolera de un caos que han patrocinado.

Una vez convertida Venezuela en una “promesa de campaña”, el ciclo de arremetidas en su contra no se cierra en noviembre, por el contrario, podría abrirse una nueva etapa con posibilidades aún insondables.

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