Guerra non convenzionale contro il Venezuela

l’allerta di Maduro ed altri indizi

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Lo scorso 11 settembre si è informato della cattura di Matthew John Heath, una spia USA legata ad una società appaltatrice privata di sicurezza (MVM Inc.) che ha svolto, per 10 anni, una missione in Iraq come operatore delle comunicazioni per una base segreta della CIA.

Matthew John Heath stava realizzando attività di spionaggio presso le strategiche raffinerie di Cardón e Amuay (situate nello stato di Falcón) con l’obiettivo di eseguire un’operazione di sabotaggio che paralizzasse le sue operazioni di produzione di benzina ed altri combustibili.

Al momento della sua cattura, John Heath aveva in suo possesso un lanciagranate AT4 calibro 84 mm, un mitragliatore modello UZI calibro 9 mm, tra le altre risorse logistiche, secondo la documentazione presentata dalle autorità venezuelane.

L’incursione del mercenario USA, lungi dal rappresentare un’azione isolata, configura un nuovo scenario di guerra non convenzionale che sta delineando l’uso di metodi di sabotaggio, violenza a bassa intensità ed azioni mirate ad intralciare le aree critiche del funzionamento dello Stato venezuelano, tra altre risorse classiche della guerra di IV generazione, come la guerra psicologica attraverso le reti sociali e la negazione plausibile di attori internazionali coinvolti.

In questo contesto, nel suo discorso di ieri, il presidente Nicolás Maduro ha avvertito che il governo USA ha dato “luce verde” affinché la CIA si impegnasse in “operazioni segrete” contro il Venezuela.

Da parte sua, il presidente ha affermato che alla DEA è stato delegato un ruolo di operatore per avanzare in nuovi attacchi contro la Repubblica, focalizzati nel colpire aree sensibili come la produzione petrolifera, di benzina, il servizio elettrico ed altre aree di importanza strategica per la stabilità della nazione.

Maduro ha qualificato queste azioni come “guerra sporca” ed ha invitato alla vigilanza. Inoltre ha annunciato l’attivazione del “Piano 76” “in tutti gli stati, comuni e quadranti di pace del paese affinché, in perfetta unione Civico-Militare-Polizia, garantiamo la Pace, la stabilità ed elezioni sovrane in cui il nostro popolo elegga la nuova Assemblea Nazionale”.

L’uso di mercenari per attività di sabotaggio e terrorismo mirato in Venezuela non è una novità. Basta fare riferimento allo scorso 3 maggio di quest’anno quando un’incursione mercenaria, sostenuta da USA, Colombia e gruppi di narcotrafficanti de La Guajira, si è arenata sulle coste dello stato de La Guaria e Aragua.

La cattura di Matthew John Heath mostra che la guerra esternalizzata, per procura, facendo leva sull’uso di mercenari, continua ad essere l’opzione più redditizia e rapida per sostenere il “cambio di regime” violento contro la Repubblica Bolivariana.

Ma forse il dato strategico non è solo lì. Il caso Matthew John Heath si profila come una variabile all’interno di un nuovo quadro di tensione che acquista caratteristiche di sincronizzazione e pianificazione, ma soprattutto di urgenza.

Il recente ed improvvisato tour del Segretario di Stato USA, Mike Pompeo, per Guyana, Suriname, Colombia e Brasile, ha avuto come priorità quella di rilanciare l’accanimento internazionale contro il Venezuela, approfittando del tempismo del rapporto della “missione indipendente” nella determinazione di fatti guidata dal Gruppo di Lima ed utilizzato come nuova arma di criminalizzazione contro lo Stato venezuelano ed i suoi principali rappresentanti.

Il giro di Pompeo ha cercato di capitalizzare l’effetto mediatico del rapporto come parte della politica di “massima pressione” di Washington a livello esterno, base essenziale della campagna elettorale di Donald Trump per accattivarsi i voti chiave della diaspora venezuelana nello stato della Florida.

Ma ha funzionto solo il calcolo elettorale, per quanto Pompeo abbia centrato il suo intervento sulla figura di Maduro per amplificare e rafforzare la principale linea d’attacco del manipolato rapporto.

Il Segretario di Stato sicuramente vede con preoccupazione i fallimenti di Iván Duque nella gestione delle operazioni armate contro il Venezuela. Un sentimento simile passa con il Brasile, ma ad altro estremo: la poca dedizione del governo di Jair Bolsonaro, un socio ideologicamente molto più vicino a Donald Trump rispetto al subpresidente colombiano, dovrebbe cambiare per contribuire molto di più alla campagna di “massima pressione”.

Quindi il segno che ha lasciato il tour è stato quello di stringere le viti ad un tentativo di coalizione di guerra che non si è completamente concretizzato. Riscaldare i confini venezuelani per iniettare maggiore pressione sulla scena è stato il principio rettore del tour del capo della “diplomazia” USA.

La visita di Pompeo ha già avuto alcuni risultati: approfittando del contesto della 75a Assemblea Generale dell’ONU, Duque ha ripreso le sue dichiarazioni impulsive e segnate dall’aggressività contro le elezioni parlamentari, accusando Nicolás Maduro di “proteggere terroristi” e di acuire la tensione tra i due governi pochi giorni dopo uno scontro armato tra militari venezuelani e gruppi armati colombiani in cui sono stati assassinati 4 effettivi della FANB.

Lo scontro rappresenta un’altra variabile della guerra non convenzionale, orientata al logorio attraverso azioni a bassa intensità contro la FANB. In Colombia c’è una brigata speciale dell’esercito USA che presumibilmente consiglia le forze militari colombiane, il che solleva ogni tipo di preoccupazione su questi ultimi movimenti.

In Brasile, invece, il Senato ha confermato Nestor Forster ambasciatore del paese negli USA. Il diplomatico, nel febbraio di quest’anno, ha dichiarato la sua intenzione di aumentare la cooperazione militare con gli USA, precisamente un mese prima che il Comando Sud ed il Brasile sottoscrivessero un accordo di difesa che ha suscitato molteplici critiche nel settore castrense.

Alla Casa Bianca campeggia l’incertezza su cosa potrà accadere dal 3 novembre in poi, quando si terranno le elezioni presidenziali. In queste circostanze, il messaggio trasmesso da Pompeo nel suo tour consisteva nell’accelerare la pressione e sfruttare le favorevoli condizioni offerte da Colombia e Brasile: confini estesi e porosi, dove coesistono gruppi di narcotrafficanti e varie mafie, potrebbero essere strumentalizzate in eventi destabilizzanti, scaramucce e caos al fine di minare il clima elettorale in Venezuela.

La sincronizzazione del tour di Pompeo con la pubblicazione del rapporto e l’arresto della spia USA, e quella di questi con lo scontro tra FANB e gruppi armati colombiani, sta delineando una linea di azione di guerra non convenzionale dispiegata soprattutto nel campo della sicurezza.

Con questo panorama di azioni e manovre che esercitano il loro peso oggettivo sulla situazione politica nazionale, ieri si sono verificati scontri tra le forze di polizia venezuelane (FAES, CICPC, PNB) e le bande El Coqui ed El Vampi a quota 905.

Queste bande pesantemente armate con un importante dispiegamento operativo nel settore della quota 905 si sono trasformate in simboli della criminalità organizzata in Venezuela e, negli ultimi tempi, hanno mostrato segni di paramilitarizzazione.

L’attivazione di gruppi criminali in contesti di aggressione politica ed internazionale non solo esiste nella documentazione dottrinale della guerra non convenzionale. In Venezuela, nel quadro delle rivoluzioni colorate del 2014 e 2017, i gruppi criminali sono stati utilizzati dall’opposizione per degradare la capacità di contenimento delle forze di sicurezza.

Ma in questo caso la sincronizzazione di fattori armati si subordina, parzialmente, ad altri eventi del panorama politico.

Ad esempio, il rapporto di criminalizzazione promosso dal Gruppo di Lima critica, in modo aggressivo, l’agire delle FAES, un corpo di operazioni speciali che ha un ruolo strategico nella neutralizzaziomne di pericolose bande armate.

L’effetto immediato di questa critica è stato lo sbiancamento di tutti i fattori armati che affrontano le FAES, siano mercenari stranieri o bande armate locali.

Il rapporto concede, in questo senso, una sorta di licenza di corsa per l’azione di fattori irregolari che potrebbe essere approfittata, mentre già il corpo di operazioni speciali porta con sé lo stigma della “violazione dei diritti umani” che cerca delegittimare il suo funzionamento.

Il presidente Nicolás Maduro è stato enfatico nel ricalcare che da Washington ha dato “luce verde” al coinvolgimento diretto dell’intelligence USA in una nuova agenda di “cambio di regime”, guerra a bassa intensità e sabotaggio selettivo e violento. E, dalla precedente esperienza, sappiamo che il campo della sicurezza è strategico ed il primo nucleo ad essere attaccato e destabilizzato.


Guerra no convencional contra Venezuela: la alerta de Maduro y otros indicios

 

El pasado 11 de septiembre se informó la captura de Matthew John Heath, un espía estadounidense vinculado a una contratista privada de seguridad (MVM Inc.) que cumplió, durante 10 años, una misión en Irak como operador de comunicaciones de una base secreta de la CIA.

Matthew John Heath se encontraba realizando actividades de espionaje de las estratégicas refinerías de Cardón y Amuay (ubicadas en el estado Falcón) con miras a la ejecución de una operación de sabotaje que paralizara sus operaciones de producción de gasolina y otros combustibles.

Al momento de su captura, John Heath tenía en su poder un lanzagranadas AT4, calibre 84 mm, una subametralladora modelo UZI, calibre 9 mm, entre otros recursos logísticos, según el registro presentado por las autoridades venezolanas.

La incursión del mercenario estadounidense, lejos de significar una acción aislada, configura un nuevo escenario de guerra no convencional que va perfilando el uso de métodos de sabotaje, violencia de baja intensidad y acciones focalizadas para entorpecer las áreas críticas de funcionamiento del Estado venezolano, entre otros recursos clásicos de la guerra de cuarta generación, como la guerra psicológica vía redes sociales y la negación plausible de actores internacionales involucrados.

En este marco, en su alocución del día de ayer, el presidente Nicolás Maduro alertó que el gobierno estadounidense ha dado “luz verde” para que la CIA se involucre en “operaciones encubiertas” contra Venezuela.

Por su parte, el mandatario afirmó que a la DEA se le ha delegado un rol de operador para avanzar en nuevos ataques contra la República, enfocados en afectar ámbitos sensibles como la producción petrolera, de gasolina, el servicio eléctrico y otras áreas de importancia estratégica para la estabilidad de la nación.

Maduro calificó estas acciones como “guerra sucia” y llamó a estar alertas. Además, anunció la activación del “Plan 76” “en todos los estados, municipios y cuadrantes de paz del país para que, en perfecta unión Cívico-Militar-Policial, garanticemos la Paz, la estabilidad y una elección soberana en la que nuestro pueblo elija a la nueva Asamblea Nacional”.

El uso de mercenarios para actividades de sabotaje y terrorismo focalizado en Venezuela no es ninguna novedad. Basta remitirse al pasado 3 de mayo del año en curso cuando una incursión mercenaria, impulsada por Estados Unidos, Colombia y grupos de narcotraficantes de La Guajira, encalló en las costas del estado La Guaria y Aragua.

La captura de Matthew John Heath deja ver que la guerra tercerizada, por delegación, apalancada en el uso de mercenarios, sigue siendo la opción más rentable y expedita para apuntalar el “cambio de régimen” violento contra la República Bolivariana.

Pero quizás el dato estratégico no está solo ahí. El caso Matthew John Heath se perfila como una variable dentro de un nuevo cuadro de tensión que adquiere rasgos de sincronización y planificación, pero sobre todo de urgencia.

La reciente e improvisada gira del secretario de Estado de EEUU, Mike Pompeo, por Guyana, Surinam, Colombia y Brasil, tuvo como prioridad reavivar el acoso internacional contra Venezuela aprovechando el timing del informe de la “misión independiente” de determinación de hechos cabalgada por el Grupo de Lima y utilizado como una nueva arma de criminalización contra el Estado venezolano y sus representantes principales.

El movimiento de Pompeo buscó capitalizar el efecto mediático del informe como parte de la política de “máxima presión” de Washington a nivel externo, base esencial de la campaña electoral de Donald Trump para granjearse los votos clave de la diáspora venezolana en el estado de La Florida.

Pero sólo operó el cálculo electoral, por más que Pompeo haya centrado su discurso en la figura de Maduro a modo de amplificar y robustecer la principal línea de ataque del manipulado informe.

El secretario de Estado seguramente ve con preocupación los fracasos de Iván Duque en la gestión de operaciones armadas contra Venezuela. Un sentimiento similar ocurre con Brasil, pero en otro extremo: la poca dedicación del gobierno de Jair Bolsonaro, un socio mucho más cercano ideológicamente a Donald Trump que el subpresidente colombiano, debería cambiar para contribuir mucho más a la campaña de “máxima presión”.

Así que el gesto que he dejado la gira ha sido el de apretar las tuercas a un intento de coalición de guerra que no ha terminado de cuajar del todo. Calentar las fronteras venezolanas para inyectar mayor presión al escenario ha sido el principio rector de la gira del jefe de la “diplomacia” estadounidense.

La visita de Pompeo ya ha tenido algunos resultados: aprovechando el contexto de la 75° Asamblea General de Naciones Unidas, Duque ha reiniciado sus declaraciones impulsivas y marcadas por la agresividad contra las elecciones parlamentarias, acusando a Nicolás Maduro de “proteger terroristas” y agudizando la tensión entre ambos gobiernos pocos días después de un enfrentamiento armado entre militares venezolanos y grupos armados colombianos donde resultaron asesinados 4 efectivos de la FANB.

El choque representa otra variable de la guerra no convencional, orientada al desgaste mediante acciones de baja intensidad contra la FANB. En Colombia tiene presencia una brigada especial del ejército estadounidense que supuestamente asesora a las fuerzas militares colombianas, lo que levanta todo tipo de preocupaciones sobre estos últimos movimientos.

En Brasil, en cambio, el Senado ha confirmado a Nestor Forster como embajador del país en Estados Unidos. El diplomático, en febrero de este año, declaró su intención de elevar la cooperación militar con Estados Unidos, un mes antes, justamente, de que el Comando Sur y Brasil suscribieran un acuerdo de defensa que provocó múltiples críticas en el sector castrense.

En la Casa Blanca campea la incertidumbre por lo que puede ocurrir del 3 de noviembre en adelante cuando ocurran las elecciones presidenciales. En esas circunstancias, el mensaje transmitido por Pompeo en su gira consistió en acelerar la presión y aprovechar las favorables condiciones que ofrecen Colombia y Brasil: fronteras extensas y porosas, donde coexisten grupos del narcotráfico y diversas mafias, podrían ser instrumentalizados en eventos de desestabilización, escaramuzas y caos con miras a minar el clima electoral en Venezuela.

La sincronización del movimiento de Pompeo con la publicación del informe y la detención del espía estadounidense, y la de estos con el enfrentamiento entre la FANB y grupos armados colombianos, va perfilando una línea de acción de guerra no convencional desplegada sobre todo en el ámbito securitario.

Con este panorama de acciones y maniobras ejerciendo su peso objetivo sobre la situación política nacional, el día de ayer se produjeron enfrentamientos entre cuerpos policiales venezolanos (FAES, CICPC, PNB) y las banda de El Coqui y El Vampi en la cota 905.

Estas bandas fuertemente armadas y con un despliegue operacional importante en el sector de la cota 905 se han transformado en símbolos de la delincuencia organizada en Venezuela, y en el último tiempo han venido mostrando signos de paramilitarización.

La activación de grupos delincuenciales en contextos de agresión política e internacional no sólo existe en el registro doctrinario de la guerra no convencional. En Venezuela, en el marco de las revoluciones de colores del año 2014 y 2017, agrupaciones criminales fueron empleadas por la oposición para degradar la capacidad de contención de los cuerpos de seguridad.

Pero en este caso la sincronización de factores armados se subordina, parcialmente, a otros eventos del panorama político.

Por ejemplo, el informe de criminalización impulsado por el Grupo de Lima cuestiona de manera agresiva la actuación de las FAES, cuerpo de operaciones especiales que tiene un rol estratégico en la neutralización de bandas armadas peligrosas.

El efecto inmediato de ese cuestionamiento ha sido el blanqueamiento de todos los factores armados que enfrenten a las FAES, sean mercenarios extranjeros o bandas armadas locales.

El informe otorga, en tal sentido, una especie de patente de corso para la actuación de factores irregulares que podría estar siendo aprovechada, en tanto ya el cuerpo de operaciones especiales lleva consigo el estigma de la “violación de derechos humanos” que intenta deslegitimar su funcionamiento.

El presidente Nicolás Maduro ha sido enfático al recalcar que desde Washington han dado “luz verde” el involucramiento directo de la inteligencia estadounidense en una nueva agenda de “cambio de régimen”, guerra de baja intensidad y sabotaje selectivo y contundente. Y, por experiencia previa, sabemos que el ámbito securitario es estratégico y el primer núcleo a ser atacado y desestabilizado.

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