Crimini di lesa umanità

Ana Cristina Bracho  https://misionverdad.com

Negli ultimi anni abbiamo sentito parlare, incessantemente, di crimini di lesa umanità. Un concetto nato nel diritto internazionale e basato sullo Statuto di Roma, il documento su cui si basa la Corte Penale Internazionale (CPI).

Questo concetto è l’ultima figura ad essere incorporata nel diritto penale internazionale ed ha avuto un’evoluzione più complessa che i crimini di guerra o il genocidio, mentre alcuni la consideravano una nozione troppo ampia.

Il concetto è una denominazione composta prima dal termine “lesa”, che significa danneggiato o offeso. Poi da “umanità”, perché si intende che questi atti, a causa della loro crudeltà, comportino un danno non solo alle vittime specifiche ma all’Umanità nel suo insieme.

Ora, nel presente osserveremo questa idea, nata dal pensiero di un russo e similare a concetti precedenti che erano stati utilizzati nel diritto nostroamericana, essere manipolata per servire come giustificazione a dottrine come la Responsibilità di Proteggere (R2P).

Su di essa c’è stata una svolta interessante, dal momento che dal Governo bolivariano si denuncia che gli atti coercitivi e gli attacchi che hanno colpito le principali infrastrutture, come il sistema elettrico nazionale, sono crimini di lesa umanità contro il popolo venezuelano, chiedendo al CPI che in tal modo siano giudicati.

LA STORIA DI UN CONCETTO

Secondo Servín Rodríguez, “il termine crimini contro l’umanità è stato usato, per la prima volta, nella dichiarazione rilasciata congiuntamente da Francia, Inghilterra e Russia il 28 maggio 1915, in occasione del massacro di oltre un milione di armeni in Turchia durante I Guerra Mondiale”, sebbene egli identifichi che “le radici più profonde della definizione” riposano nella Clausola Martens della Convenzione dell’Aia del 1907.

Questa norma, riconosciuta come contributo al Diritto Internazionale del giurista russo Friedrich Fromhold Martens, affermava che, anche nel corso di una guerra, le popolazioni rimangono sotto le garanzie ed il regime dei principi del Diritto delle genti e delle leggi del umanità.

Secondo la Croce Rossa, nonostante il fatto che i giuristi abbiano ampiamente discusso questa disposizione, un’interpretazione ampia ritiene che, dato che sono pochi i trattati internazionali relativi al diritto dei conflitti armati che sono completi, secondo questa clausola deve intendersi che quanto non sia esplicitamente proibito da un trattato, non possa intendersi che sia permesso.

Nel corso del XX secolo, il tema del crimine di lesa umanità è stato discusso e relegato in vari documenti. In parte a causa della posizione sfavorevole delle delegazioni USA che criticavano il concetto che, a differenza delle “leggi e degli usi della guerra [che] sono standard certi, che si possono trovarsi in libri autorizzati e nella pratica degli Stati. Le leggi ed i principi dell’umanità variano da individuo ad individuo”.

Dopo la II Guerra Mondiale, al momento della stesura dello Statuto del Tribunale di Norimberga, la posizione USA era cambiata e questo tipo di crimine si incluse come il terzo tipo di fatti che questa istanza poteva conoscere.

In questo documento, il crimine di lesa umanità è, in linea di principio, un crimine conosciuto dal Diritto Penale (omicidio, sterminio, sottomissione a schiavitù ed altri) ma che si commette nel contesto della guerra o con un’intenzione che eccede quella del crimine comune, nella misura in cui la sua commissione ha impatto non solo sulla vittima ma su tutta l’umanità.

Così, con le sue variazioni e requisiti che ha avuto nei diversi documenti (relazionarsi alla guerra, voler fare un grande danno, ecc.), il crimine di lesa umanità appare a Norimberga come una violazione penale del diritto internazionale, che riporta la responsabilità individuale.

L’ ATTUALITA’ DEL CONCETTO

Il primo dato da segnalare, da una prospettiva positivista, è che il crimine di lesa umanità è il crimine previsto dall’articolo 7 dello Statuto di Roma, che elenca una serie di azioni che acquisiscono tale status quando “venga commessa nell’ambito di un attacco generalizzato o sistematico contro una popolazione civile e con consapevolezza di detto attacco”.

Osservando che nella sua dimensione attuale lo Statuto di Roma ha ripreso alcuni elementi dei documenti che hanno utilizzato la categoria negli anni ’90 (statuti del TPIY e del TPIR) ma differisce da entrambi. Poiché ciò che caratterizza il crimine, come abbiamo visto, è che le condotte proibite vengano commesse come parte di un attacco generalizzato o sistematico.

Riguardo a quando siamo di fronte ad un crimine di lesa umanità, la risposta va cercata nella lettura dell’articolo 7 dello Statuto di Roma ma tenendo anche conto di un lungo (e non lineare) patrimonio giurisprudenziale, da cui estraiamo:

Chi lo commette deve aver avuto l’intenzione di commettere il crimine sottostante per il quale lo si accusa, e deve essere stato cosciente “che c’è un attacco contro una popolazione civile, e che i suoi atti formavano parte di quell’attacco, o almeno [che ha assunto] il rischio che le sue azioni formassero parte dell’attacco”.

Chi lo commette deve avere la conoscenza, da parte dell’accusato, che è in corso un attacco contro la popolazione civile e che il suo atto è parte dell’attacco.

Affinché gli atti inumani possano essere qualificati come crimini di lesa umanità, è sufficiente che una delle condizioni [vale a dire, generalizzato o sistematico] sia soddisfatta. Tuttavia, resta vero che, in pratica, questi due criteri sono difficili da separare poiché un attacco generalizzato contro un gran numero di vittime si basa solitamente su un qualche tipo di pianificazione od organizzazione.

È sufficiente dimostrare che un certo numero di individui siano stati attaccati durante l’attacco, o che gli individui siano stati attaccati in modo tale che da esso si possa dedurre che l’attacco era, nei fatti, diretto contro una “popolazione” civile, più che contro un piccolo numero di individui scelti a caso.

Nell’affermazione venezuelana secondo la quale il CPI determini giudizialmente che le misure coercitive unilaterali sono un crimine, sono raccolti questi elementi che sono stati sintetizzati per essere presentati al pubblico, affermando:

“Nel documento presentato davanti al CPI, il Venezuela elenca un gruppo di casi ed eventi che hanno avuto un impatto sulla popolazione venezuelana, come l’aumento della mortalità infantile e degli adulti, l’aumento delle malattie, la riduzione dell’apporto calorico, contrazione delle importazioni di cibo, impatto sui servizi pubblici come istruzione, servizio di acqua potabile, servizio elettrico e trasporti, attribuibile alle misure coercitive unilaterali ed altre minacce imposte al Venezuela.

“Il Venezuela denuncia i casi di morte di pazienti in Venezuela ed all’estero, sottoposti a trattamenti ad alto costo che non hanno potuto essere pagati dal Governo del Venezuela a causa del blocco dei conti bancari e delle risorse nel sistema finanziario internazionale, come trattamenti di pazienti renali, trapianto del midollo osseo e trapianto di fegato.

“Sono esposti i forti impatti sulle finanze pubbliche ed in particolare la riduzione degli ingressi del paese a causa delle restrizioni applicate dal sistema finanziario internazionale, fenomeno che ha ridotto notevolmente la capacità dello Stato di destinare risorse per affrontare i problemi sociali.

“Infine, il deferimento elenca gli impatti del blocco e l’espropriazione di beni petroliferi sul commercio internazionale del petrolio venezuelano”.

Con questi elementi in mano, possiamo osservare che l’affermazione venezuelana che le azioni coercitive unilaterali siano classificate come crimini di lesa ‘umanità è plausibile nella misura in cui, queste azioni, soddisfano le caratteristiche prima segnalate.


CRÍMENES DE LESA HUMANIDAD

Ana Cristina Bracho

Durante los últimos años, hemos escuchado hablar incesantemente de crímenes de lesa humanidad. Un concepto nacido en el derecho internacional y que reposa en el Estatuto de Roma, documento en el que se basa la Corte Penal Internacional (CPI).

Este concepto es la última figura que se incorporó a las leyes penales internacionales y tuvo una evolución más compleja que los crímenes de guerra o el genocidio, en tanto, algunos consideraban que era una noción demasiado amplia.

El concepto es una denominación compuesta primero por el término “leso”, que significa agraviado u ofendido. Luego por “humanidad”, porque se entiende que estos actos, por su crueldad, suponen un agravio no sólo a las víctimas concretas sino a la Humanidad en su conjunto.

Ahora, en el presente nosotros vamos a observar esta idea, nacida del pensamiento de un ruso y similar a conceptos previos que se habían usado en el Derecho nuestroamericano, ser manipulada para servir como justificación de doctrinas como la Responsabilidad de Proteger (R2P).

Sobre ello se ha dado un giro interesante, puesto que desde el Gobierno Bolivariano se denuncia que los actos coercitivos y los ataques que han afectado las principales infraestructuras, como el sistema eléctrico nacional, son crímenes de lesa humanidad contra el pueblo venezolano, exigiéndole a la Corte Penal Internacional que de este modo sean juzgados.

LA HISTORIA DE UN CONCEPTO

Según Servín Rodríguez, “el término crímenes contra la humanidad fue empleado por primera vez en la declaración que emitieran en conjunto Francia, Inglaterra y Rusia el 28 de mayo de 1915, con motivo de la masacre de más de un millón de armenios en Turquía durante la Primera Guerra Mundial”, aunque identifica que “las raíces más profundas de la definición” reposan en la Cláusula Martens de la Convención de La Haya de 1907.

Esta norma, reconocida como un aporte al Derecho Internacional del jurista ruso Friedrich Fromhold Martens, afirmaba que, incluso en el transcurso de una guerra, las poblaciones permanecen bajo las garantías y el régimen de los principios del Derecho de gentes y de las leyes de la humanidad.

Según la Cruz Roja, pese a que los juristas han debatido enormemente esta disposición, una interpretación amplia sostiene que, habida cuenta de que son pocos los tratados internacionales relativos al derecho de los conflictos armados que son completos, según esta cláusula debe entenderse que lo que no está explícitamente prohibido por un tratado no puede entenderse que está permitido.

Durante el siglo XX, el tema del crimen de lesa humanidad se discutió y quedó relegado en varios documentos. En parte, por la posición desfavorable de las delegaciones estadounidenses que le criticaban al concepto que a diferencia de “las leyes y las costumbres de la guerra [que] son estándares ciertos, que pueden encontrarse en libros autorizados y en la práctica de los Estados. Las leyes y principios de la humanidad varían con cada individuo”.

Después de la Segunda Guerra Mundial, al momento de redactar el Estatuto del Tribunal de Nuremberg, la postura estadounidense había cambiado y este tipo penal se incluyó como el tercer tipo de hechos que esa instancia podía conocer.

En este documento, el crimen de lesa humanidad es en principio un delito conocido por el Derecho Penal (el asesinato, el exterminio, el sometimiento a esclavitud y otros) pero que se comete en el marco de la guerra o con una intención que excede la del delito común, en tanto que impacta en su comisión no sólo a la víctima sino a toda la humanidad.

Así, con sus variaciones y requisitos que ha tenido en los distintos documentos (relacionarse con la guerra, querer hacer un gran daño, etc.), el crimen de lesa humanidad aparece en Nuremberg como una violación penal del derecho internacional, que arroja responsabilidad individual.

LA ACTUALIDAD DEL CONCEPTO

El primer hecho a señalar, desde una visión positivista, es que el crimen de lesa humanidad es el delito previsto en el artículo 7 del Estatuto de Roma donde se enumera una serie de acciones que adquieren este rango cuando “se cometa como parte de un ataque generalizado o sistemático contra una población civil y con conocimiento de dicho ataque”.

Observándose que en su dimensión actual el Estatuto de Roma retomó algunos elementos de los documentos que usaron la categoría en los años 90 (estatutos del TPIY y del TPIR) pero difiere de ambos. Pues lo que caracteriza el crimen, como hemos visto, es que las conductas prohibidas se cometen como parte de un ataque generalizado o sistemático.

Sobre cuándo estamos frente a un crimen de lesa humanidad, la respuesta debe buscarse en la lectura del artículo 7 del Estatuto de Roma pero también tomando en cuenta un largo (y no lineal) acervo jurisprudencial, del cual extraemos:

Quien lo comete debe haber tenido la intención de cometer el crimen subyacente por el que se lo acusa, y que debe haber sido consciente “de que hay un ataque contra una población civil, y que sus actos formaban parte de ese ataque, o al menos [que asumió] el riesgo de que sus actos formasen parte del ataque”.

Quien lo comete debe tener el conocimiento por parte del acusado de que se está llevando a cabo un ataque contra la población civil y que su acto es parte del ataque.

Para que los actos inhumanos sean caracterizados como crímenes de lesa humanidad, basta con que se satisfaga una de las condiciones [a saber, generalizado o sistemático]. Sin embargo, sigue siendo cierto que, en la práctica, estos dos criterios son difíciles de separar puesto que un ataque generalizado contra una gran cantidad de víctimas generalmente se basa en algún tipo de planificación u organización.

Basta con demostrar que un cierto número de individuos fueron atacados en el transcurso del ataque, o que los individuos fueron atacados de manera tal que de ello se pueda inferir que el ataque estuvo, en los hechos, dirigido contra una “población” civil, más que contra una cantidad de individuos pequeña y escogida al azar.

En la pretensión venezolana de que la Corte Penal Internacional determine judicialmente que las medidas coercitivas unilaterales son un crimen, se encuentran reunidos estos elementos que fueron sintetizados para ser presentados al público, afirmando:

“En el documento introducido ante la CPI Venezuela relaciona un grupo de casos y de hechos que han impactado a la población venezolana, como el aumento de la mortalidad infantil y de personas adultas, el incremento de enfermedades, la reducción de la ingesta calórica, la contracción en la importación de alimentos, la afectación en servicios públicos como la educación, el servicio de agua potable, el servicio eléctrico, y el transporte; atribuibles a las medidas coercitivas unilaterales y demás amenazas impuestas a Venezuela.

“Venezuela denuncia los casos de muertes de pacientes en Venezuela y en el extranjero, sometidos a tratamientos de alto costo que no pudieron ser pagados por el Gobierno de Venezuela debido al bloqueo de cuentas bancarias y recursos en el sistema financiero internacional, como tratamientos de pacientes renales, trasplante de médula ósea y trasplante de hígado.

“Se exponen los fuertes impactos sobre las finanzas públicas y en particular la reducción de los ingresos del país por las restricciones aplicadas por el sistema financiero internacional, fenómeno que ha mermado significativamente la capacidad del Estado para dedicar recursos a la atención de los problemas sociales.

“Finalmente, la remisión relaciona los impactos del bloqueo y la expropiación de activos petroleros en el comercio internacional del petróleo venezolano”.

Con estos elementos en mano, podemos observar que la pretensión venezolana de que las acciones coercitivas unilaterales sean tipificadas como crímenes de lesa humanidad es plausible en tanto estas acciones reunen las características antes señaladas.

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